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La degustazione

Therasia, le due “stelle” pronte a brillare: tutte le novità del 2023

30 Marzo 2023
Umberto Trani, Onofrio Pagnotto, Davide Guidara, Giuliana D’Angelo, Giuseppe Biuso, Gianluca Sottile e Saverio Borgia Umberto Trani, Onofrio Pagnotto, Davide Guidara, Giuliana D’Angelo, Giuseppe Biuso, Gianluca Sottile e Saverio Borgia

Ci sono location cui sembrerebbe non mancare proprio nulla: una struttura bellissima, un paesaggio mozzafiato, un ristorante stellato. Ma ci sono anche persone che non si accontentano mai, per esempio Umberto Trani, direttore del Therasia Resort di Vulcano e regista di un’operazione gastronomica vincente. Se è evidentemente impossibile migliorare qualcosa di unico come il mare e la natura selvaggia delle Eolie, esotiche e viscerali come nessun altro luogo in Italia, indimenticabili davanti alla cinepresa di Rossellini, è anche vero che il resort le inquadra da una postazione privilegiata, acquattato com’è sulle pieghe del vulcano come un felino pronto al balzo. E qui non manca veramente nulla, dall’infinity pool alle piscine di acqua salata e alla spa. Senza trascurare l’appetito degli ospiti, cui provvede da tempo un solido e creativo Giuseppe Biuso, stellato dal 2017.

Non pago, Trani ha voluto bissare il successo chiamando sull’isola un altro giovane chef di talento con una formula completamente diversa, incentrata sul vegetale: Davide Guidara. “Ti va di fare questa pazzia insieme?”, ha chiesto a quello che fino a giugno 2021 era lo chef del Sum di Catania. E la Michelin a stretto giro ha espresso la sua benedizione: nel 2022 insieme alla stella rossa è arrivata quella verde con il premio per il migliore giovane chef d’Italia. I due non potrebbero essere più diversi: tanto Biuso è esuberante nelle vibrazioni estetiche e negli assemblaggi estrosi, in cerca oltre il gusto dell’effetto sorpresa, quanto Guidara concentra il suo minimalismo come un faro sul singolo ingrediente, dopo averlo coccolato fra le zolle nere. La tensione gastronomica, tuttavia, li accomuna e rende imperdibile una doppietta al Therasia, con la certezza che la noia non aggiungerà un posto a tavola, senza alcuna possibilità di sovrapposizione. Tanto che già si può misurare un prolungamento nei soggiorni.

Vulcano, tuttavia, non è dietro l’angolo: per questo i tre sono volati a Milano a presentare stili e novità. Per esempio il Cappero di Biuso sarà aperto anche a pranzo per accogliere al meglio gli esterni; i Tenerumi di Guidara avanzeranno i loro 18 coperti anche a cena, con una cucina totalmente libera a un passo dai tavoli. Hanno scelto come appoggio il Bioesserì di Milano, locale polifunzionale dove scorre sangue siciliano grazie ai patron Vittorio e Saverio Borgia. Il resident chef Federico Della Vecchia ha firmato la crocchetta con maionese di ‘nduja e l’éclair alla ricotta e arancia. In abbinamento il meglio della Sicilia: dopo lo Champagne Steinbrück, due leggende dell’enologia isolana, Marco De Bartoli con il Vignaverde e il Marsala Vigna la Miccia, Palari con il Faro e il Rosso del Soprano.

Giuseppe Biuso, stella "lampo"

Nato a Palermo, il trentaquattrenne Giuseppe Biuso aveva appena 27 anni quando è entrato in struttura, dopo essersi formato con Nino di Costanzo, Antonino Cannavacciuolo, Matteo Metullio e Corrado Fasolato. E la stella è stata lampo. Oltre al Cappero, è executive di tutta la struttura. “Ma negli ultimi anni qualcosa dentro di me è cambiato e ho rivoluzionato completamente la cucina, che era improntata a una creatività spinta. Mi sono stancato di rivisitare il repertorio siciliano, limitandomi a ri-assemblare un canovaccio preesistente, e mi sono concentrato sul prodotto, con il massimo rispetto e nella massima integrità. Dal cubo di caponata sono passato al cannolo di melanzana ripieno di ricotta al basilico con datterino confit e grattugiata di cioccolato di Modica. E poi a piatti come i gamberi rossi con centrifugato di carota al tosazu, cavolo trunzu croccante e chicchi di cuccia soffiata, dove la materia è in purezza. L’arrivo dei Tenerumi mi ha sollevato dall’incombenza di modificare i piatti, anche se lo faccio tuttora su richiesta; e per quanto anch’io utilizzi l’orto, la proteina è sempre più centrale”. È il caso del branzino asciugato in frigorifero, praticamente frollato, con petto d’anatra marmorizzata siciliana stagionato in casa per un bis di testure; più tamarindo per l’acidità, maionese di peperone crusco per la nota amara che porta complessità, crema di giuggiulena a ingrassare. Mentre è un souvenir del passato (non più in carta) lo sfincione in forma di risotto 2.0, mantecato al provolone delle Madonie con crema di cipolla bruciata all’acciuga, pomodoro confit, cipolla fritta e riso soffiato per il croccante.

Davide Guidara, essenza vegetale...

Proprio il 28 marzo Guidara compiva ventinove anni, vissuti intensamente e quasi tutti in cucina: campano di nascita, era adolescente quando mise piede per la prima volta al Don Alfonso, seguito dal Mosaico di Ischia, le Terrazze di Roma, il Sea Grill di Bruxelles, Michel Bras e il Noma. Certo gli ultimi due avevano già sviscerato il vegetale. “Ma il loro approccio non mi ha influenzato, sto percorrendo una strada tutta mia. Ho anche la fortuna che la struttura sia aperta da aprile a ottobre, quindi ho cinque mesi liberi da dedicare alla sperimentazione in un laboratorio di Milazzo, dove lavoro al perfezionamento dei piatti. In modo che se erano da 8, possano sfiorare il 10”. Guidara può attingere da due ettari e mezzo di orto per il 90% del suo fabbisogno. “Questo rende per me disponibili vegetali a punti di maturazione inconsueti, per esempio più acerbi. Inoltre si tratta di un terreno particolare, la stessa acqua ricavata da un pozzo è dolce ma mineralissima. L’abbiamo fatta analizzare dall’Università di Messina ed è un concentrato di sali, che trasmettono sapore ai vegetali. Di foraging invece ne facciamo pochissimo, perché l’isola, a dispetto delle apparenze, non offre un granché. Mentre resta qualche alga, come la mauro”.

“L’anno scorso su circa 1.600 coperti abbiamo avuto solo 14 ospiti vegani o vegetariani. E fare scoprire le potenzialità delle verdure a chi è onnivoro è per me ancora più stimolante. Per questo ho scritto un manifesto chiamato ‘Cook More Plants”, composto di sette punti sul futuro della cucina vegetale. Il mio compito come chef è rendere il cibo divertente e gustoso, oltre le problematiche nutrizionali e l’ideologia della sostenibilità, ma solo la tecnica consente di sviluppare qualcosa di interessante, nel senso che le verdure più le tocchi, meglio è. Contrariamente al cliché. Un altro punto è il dialogo con gli scienziati: adesso sto usando un enzima chiamato naringinase, che idrolizza una molecola dell’amaro, in modo da mitigarlo senza bilanciamenti gustativi. Poi è importantissimo non scimmiottare l’universo animale, sarebbe come esprimere un complesso di inferiorità, quando questo spettro gustativo è più ampio”. Lo hanno dimostrato due piatti. Prima l’insalata di pomodoro composta di cuore di bue macerato per diversi giorni, datterino cotto nella calce per la testura e fatto essiccare pian piano, acqua di pomodori fermentati e scalogno marinato nello shoyu, salsa di soia a base di ceci fatta in casa. Acidità, testure, umami, praticamente mono-ingrediente. Poi il cardoncello cotto a pressione, marinato con aceto, aglio, prezzemolo e vino bianco, affumicato e grigliato, nappato con un’emulsione di escapece vegetale alla paprica e brodo di funghi, a centrare una dimensione intima, sulla soglia di casa.