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Scenari

Angelo Gaja: cari colleghi produttori, fate impresa senza fondi pubblici

20 Maggio 2015
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Il produttore piemontese all’incontro organizzato da Cronache di Gusto parla anche di cambiamenti climatici, Langhe e turismo, Etna e giovani. Un’ora e quaranta tutta d’un fiato


(Angelo Gaja, durante l'incontro organizzato da Cronache di Gusto – Foto Gianni Paternò)

Tra le tante cose dette in un'ora e quaranta minuti tutti inchiodati sulle poltroncine attenti ad ascoltarlo con rara compostezza e silenzio, una è quella più scomoda e dirompente. “Lasciate stare i soldi pubblici. Fate gli imprenditori del vino senza fondi pubblici, scommettete su voi stessi”.

Una provocazione. Un monito. Un consiglio. Angelo Gaja non ha tradito le attese. Per la prima volta sull'Etna grazie ad un invito di Cronache di Gusto, il produttore piemontese tra i nomi italiani più famosi al mondo ha tenuto una delle sue conferenze per raccontare di vino e di visioni, di Italia e di giovani, di cambiamenti climatici e riconoscimenti Unesco. Citando Cavour e Biondi Santi, Oscar Farinetti e Marco de Grazia. Cento minuti, un'overdose di energia e di carica. L'incontro che si è tenuto al Picciolo Golf Resort, sala stracolma (c'erano oltre trenta produttori di vino, in prevalenza etnei e anche una delegazione di studenti di San Michele all'Adige) era di quelli che non si poteva perdere. Un incontro al termine di un tour che Angelo Gaja ha compiuto con Cronache di Gusto tra cantine dell'Etna, vignaioli ed altri protagonisti e che racconteremo in un altro articolo.

Ma torniamo a quell'invito a non usare soldi pubblici. È un monito a credere di più in sé stessi, a motivare le proprie sfide, a non sentirsi mai di essere sul traguardo, ma semmai di spostarlo sempre oltre. Scomodo, certo. Ma che deve invitare tutti a una riflessione sul ruolo di imprenditore. C'è molto altro. Ha parlato del clima che cambia, dei nuovi parassiti che si affacciano sui vigneti e dei metodi per contrastarli. Ma non è una lezione per agronomi. Senza pause, senza cali di ritmo Gaja ha anche parlato delle trattorie, delle osterie dove c'è ancora una cucina casalinga fatta dalle donne, sentinelle del territorio, patrimonio indiscusso di tipicità. E che nelle Langhe sono ancora vive e attraggono nutrite schiere di turisti di qualità. E parla anche del riconoscimento Unesco con tanto di cartine. “Sono venuti a dirci che adesso questo riconoscimento farà crescere il turismo a due cifre e che pure il Pil ne avrà benefici. Ma scherziamo? Ora invece bisogna usare più gestione del territorio, più regole, per esempio niente più altre case”, dice alzando il tono della voce. 

C’è una lunga carrellata di immagini che passa sullo schermo. E poi plana su Michele Ferrero, sì, quello della Nutella e degli ovetti kinder che nessuno voleva consigliarli di produrre “perchè, gli dicevano, che si vendono solo a Pasqua. Ma ha avuto ragione lui e la sua visione. Agite con la vostra testa e osate”, dice ancora rivolgendosi ai giovani in sala. E poi Luigi Einaudi, l'economista, il liberale, il Presidente della Repubblica, “un uomo brillante che aveva bisogno di stare a contatto con i contadini per chiedere, per domandare; un uomo con una visione del denaro pubblico che non corrisponde certo a quella corrente”. Mentre tutti ascoltano, Gaja legge alcuni passi di Beppe Fenoglio, forse l'autore più amato, il langarolo che ha fatto conoscere le Langhe attraverso i suoi romanzi. “Attingete anche voi a piene mani agli scrittori siciliani, è molto importante anche per il vostro lavoro”, dice ancora rivolgendosi ai produttori. Il finale è tutto per i giovani (“Viaggiate, viaggiate, viaggiate. E imparate l'inglese. Dovete cantarlo”) e per l'Etna, “territorio del vino ricco di fascino. Si può immaginare pitturato su una tela e chiedersi per tutta la vita se esiste un luogo così, tra la montagna e il mare, con alberi di frutta in fiore e un verde lussureggiante. Poi arrivi qui e dici sì, esiste. È l’Etna”. 
 


La sala affollata durante l'incontro con Angelo Gaja


E allora come decollare in un momento tanto delicato, in cui il Vulcano e il suo vino sono oggetto di grande attenzione mediatica? “Non ci sono ricette – dice ancora Gaja – ma buone prassi. Una di queste, è fare sistema, investendo nella formazione per tramandare alle nuove generazioni il sapere degli anziani. Un’altra tappa fondamentale è quella riassumibile nel concetto di artigianalità. Siate artigiani, piccoli o grandi, poco importa, ma approcciatevi alla vostra passione e al vino con la cura dell’artigiano, recuperando saperi, usanze, usi e costumi che non possono andare persi. Poi, non correte, non correte. La fretta è cattiva consigliera”, afferma ancora una volta alzando la voce. 

Artigianalità, rispetto, cultura, territorio, formazione, devono essere, secondo Gaja, un unicum per quel fare, saper fare, saper far fare e far sapere. Il gioco di parole è una grande verità. Serve un comune progetto, una visione, e uomini che con determinazione la portino avanti nonostante le difficoltà. Si continui così giorno dopo giorno: è il suo messaggio. Con coerenza. Trasmettendo ai giovani la passione. Saranno loro a trasformarla in successo. Ma oggi si devono gettare le basi e alla base servono cuore, testa e un pizzico di follia, perché il domani lo fanno gli uomini del presente. Gaja si ferma qui. Cento minuti di attenzione. Un lungo, lunghissimo applauso finale.

 

Francesca Landolina