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Il caso

Doc Sicilia, il dilemma della certificazione Confermare l’Irvo o affidarsi a Valoritalia?

09 Aprile 2018
bottiglie bottiglie


(A destra, Antonio Rallo)

È probabile, molto probabile, che mentre leggete queste righe una decisione sia stata già presa e manchi solo l'ufficializzazione. Siamo ad un passaggio delicatissimo. Che riguarda la Doc più importante della Sicilia. 

Il consorzio della Doc Sicilia entro il 15 aprile, pochissimi giorni dunque, dovrà comunicare a quale ente o società affidarsi per far certificare i vini dei propri soci. Una scadenza che riguarda tutte le Doc italiane. Ma in Sicilia potrebbe registrarsi una svolta. A certificare in questi ultimi anni i vini delle doc siciliane – e della Doc Sicilia in particolare – è stato l'Irvo, quello che ancora tutti chiamano l'Istituto Vite e Vino, attraverso quattro commissioni di assaggio che girano in lungo e in largo l'Isola. Ma l'Irvo, come tutti sanno, è in vistose difficoltà. C'è un debito pregresso che pesa moltissimo, la politica non se n'é più preso cura, addirittura dopo oltre trent'anni è fuori dalla gestione della missione siciliana al Vinitaly. Il futuro è molto incerto. La certificazione resta un saldo appiglio ora che promozione e sperimentazione sono state abbandonate per mancanza di risorse. E grazie alla Doc Sicilia il lavoro è cresciuto moltissimo. Da un lato tutto questo ha generato nel 2017 un introito di circa 1,6 milioni di euro, ma bisogna togliere almeno 500 mila euro per le spese. Soldi importanti però per le casse vuote dell'istituto. Ma dall'altro l'incremento del vino da esaminare ha messo in difficoltà la delicata organizzazione dell'Irvo. Provocando tempi di attesa più lunghi nel dare risposta alle aziende che inviano i campioni. Addirittura ci sono state attese di 18 o 20 giorni lavorativi. Decisamente troppi per una cantina e troppi anche rispetto alle medie che garantiscono altre strutture adibite alla certificazione. Come nel caso di Valoritalia, un colosso che controlla i vini di oltre 250 denominazioni sparse in tutta Italia e che fa capo a Federdoc (socio di maggioranza) con quasi duecento dipendenti e circa mille consulenti e un fatturato di 30 milioni. E che ora potrebbe prendere il posto dell'Irvo.

È tutto nelle mani del consorzio col presidente Antonio Rallo e il direttore Maurizio Lunetta e il cda (i vice Salvatore Li Petri e Filippo Paladino e poi Gaspare Baiata, Damiano Fici, Laurent Bernard de la Gatinais, Alessio Planeta, Alberto Tasca e Salvatore Vitale). Saranno loro a scegliere a chi affidare la certificazione del vino Doc Sicilia nei prossimi tre anni. Non si può escludere che i contatti con Valoritalia ci siano già stati. Anzi. Anche perché la società è molto competitiva: costi che dovrebbero essere più bassi e risposte in cinque giorni lavorativi sono un po' il loro punto di forza. Tuttavia l'atteggiamento delle aziende siciliane si divide tra chi è critico per i tempi lunghi insostenibili dell'Irvo e chi comunque sostiene l'Irvo perché togliergli la certificazione significherebbe condannarlo a veloce e definitiva chiusura. E poi perché c'è anche un legame professionale storico tra le cantine e l'Irvo. Ma senza più certificazione che senso avrebbe tenere in vita l'ente, unico in Italia, svuotato da ogni sua funzione? Le altre Doc siciliane seguirebbero Doc Sicilia, resterebbe l'olio, ben poca cosa rispetto ai volumi del vino. L'Irvo dal canto suo non vuole mollare, si giustifica sui tempi di risposta più lunghi proprio per il fatto che la crescita esponenziale della Doc Sicilia (quest'anno si stimano più di 30 milioni di bottiglie) ha sparigliato i ruolini di marcia e annuncia una riorganizzazione per ridurre i tempi di risposta creando una quinta commissione per incrementare gli assaggi. I produttori chiedono soprattutto più celerità nel sapere se il proprio vino è Doc oppure no. Ed allora dare spazio ad altre società e forse condannare a chiusura l'Irvo? Oppure restare con l'Irvo nella speranza che sia più efficiente? Entro domenica il mondo del vino siciliano avrà una risposta. 

C.d.G.