Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Il caso

Il nome Chianta troppo simile al Chianti: e il Gallo Nero diffida un produttore dell’Etna

09 Novembre 2017
chianta_pianta chianta_pianta


(L'etichetta del vino di Ciro Biondi prima e dopo)

di Giorgio Vaiana

Può un piccolo (ma badate bene solo per numeri di bottiglie prodotte) produttore dell'Etna spaventare un consorzio importante e riconosciuto nel mondo come il Chianti Classico?

Beh, può eccome. E questa che stiamo per raccontarvi è la storia di Ciro Biondi, bravissimo produttore del Vulcano, con l'azienda che si trova a Trecastagni, nella parte orientale dell'Etna. Una “cosa di famiglia” potremmo definirla la sua attività, visto che tutto comincia alla fine dell'Ottocento con il nonno Cirino e il fratello Salvatore che diedero vita all'azienda. Cirino era esperto viticultore. Salvatore, invece era speciale, un vero imprenditore, uno spirito innovativo. Ai primi del ’900 bisognava fare qualcosa di diverso. Non bastava più vendere le uve a Riposto, il porto dove venivano imbarcate per raggiungere il nord, destinate a tagliare i vini degli altri. Si mise in società con un produttore di Trecastagni, un certo Lanzafame. E così, Biondi&Lanzafame (questa la denominazione della nuova azienda) cominciarono a imbottigliare, esportarono in Europa e in America, parteciparono alle fiere internazionali. Nel biennio 1913-14 vinsero premi importanti a Parigi, a Lione, a Casal Monferrato. L’azienda fu iscritta anche nel Grande libro d’oro del Re.


(Il vigneto Chianta di Ciro Biondi)

Si attraversano gli anni, si viaggia veloci fino al Dopoguerra, anni di declino, dovuto al mancato adeguamento alle moderne tecnologie e al nuovo mercato del dopoguerra. Un declino che dura cinquant’anni. Alle soglie del millennio, Ciro e Stef Biondi si rimboccano le maniche con l’idea fissa di far risorgere questi posti bellissimi e le piante che vi sono ospitate. Ristrutturano i vigneti di famiglia e cominciano a produrre vini di altissimo livello. E tra i vigneti c'è quello che si chiama “Chianta” che dal 2011 ha dato il nome ad uno dei cru dell’azienda. Una vigna esposta a est, quasi a 700 metri sul livello del mare, terreno vulcanico fatto di pomice rossa che ospita tipici alberelli etnei di Carricante, Cataratto, Minnella. Ma a marzo di quest'anno il vino Chianta, che prende come detto il nome dalla vigna e non dalla Contrada, subirà un brusco stop. Come racconta lo stesso Ciro: “Mi arriva una lettera dallo studio legale Torta di Torino. Gli avvocati mi scrivono, in una lettera comunque dai toni amichevoli, che il nome Chianta è simile e confondibile con il Chianti. E per questo mi concedevano comunque del tempo per esaurire le scorte di magazzino e comunque imbottigliare il mio vino con un nome diverso”. 


(Una suggestiva immagine dall'azienda di Ciro Biondi)

Ciro parla con il suo legale, lo studio Pierallini di Roma. I legali parlano tra di loro. “Gli avvocati hanno studiato la soluzione migliore per entrambi. Io nel frattempo ho pensato al nuovo nome del vino. Da Chianta a Pianta il passo è stato breve”. In siciliano, infatti, la parola “chianta” vuol dire sia pianta che il verbo piantare. “La vigna si chiama Chianta, mio nonno l'ha sempre chiamata così. E ci sono documenti del 1928 che lo provano. Ma alla fine abbiamo preferito fare la scelta migliore e più rapida. Senza inutili e dispnediose battaglie legali”. Chianta è in commercio dall'annata 2011. L'annata 2016, rilasciata da pochissimo tempo è andata in commercio con il nuovo nome “Pianta”.