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Il caso

Prosecco, produzione senza freni, ma i prezzi rimangono bassissimi: vale la pena produrlo?

05 Settembre 2017
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L'inchiesta del Corriere della Sera. Per Matilde Poggi “puntare solo sulla quantità non darà i risultati sperati”. Carlin Petrini: “Così è come vendere la Coca Cola”. La replica di Zanette, presidente del Consorzio: “Parlino solo gli addetti ai lavori”


Vale la pena invistire in Prosecco? Se lo chiede il giornalista del Corriere della Sera Gian Antonio Stella che ha dedicato un ampio reportage al fenomeno enologico italiano del momento.

Stella racconta che i supermercati Lidl nel Regno Unito sono stati presi d'assalto per una promozione: un cartone da sei bottiglie di prosecco a 20 sterline. Cioè 21,60 euro, 3,33 sterline (3,60 euro) a bottiglia. Nessuno scandalo, si sa che gli ipermercati lanciano oggi un prodotto “civetta” sotto costo e domani un altro contando sul traino dell’offerta speciale. Ma, secondo Stella, c'è una contraddizione. Stando a uno studio Cirve (Centro Interdipartimentale Ricerca in Viticoltura ed Enologia, legato all’università di Padova) una bottiglia di prosecco costa in media al produttore 3 euro e 71 centesimi (1,65 euro l’uva, 1,12 euro la vinificazione e l’imbottigliamento, 46 centesimi la bottiglia di vetro, 17 centesimi il tappo, 3 centesimi la gabbietta, 4 centesimi la capsula e così via): com’è possibile, allora, che quella bottiglia sia poi venduta a prezzi più bassi? A volte molto più bassi? E non succede solo, dice una ricerca del consulente Lorenzo Biscontin pubblicata su vinix.com, in casi speciali. Tolta l’Iva al 20% e l’accisa di 2,67 euro su ogni bottiglia, spiega il rapporto, il prosecco più economico è venduto nel Regno Unito comunemente (senza offerte civetta) a 2,75 sterline negli ipermercati Tesco, 1,90 in quelli Asda, 1,49 in quelli Aidi. Rispettivamente 2,99 euro attuali il primo, 2,07 il secondo, 1,62 il terzo. Meno di un litro di “sfuso” comprato sotto casa non a Edimburgo ma a Pordenone.

Il confronto con i cugini francesi è impietoso. Una bottiglia di Champagne, che di certo ha tradizioni più antiche e richiede più tempi e investimenti, viene venduto a un prezzo medio di 26,72 euro a bottiglia, il prosecco a 3,88. Sette volte di meno. Il che permette alle bollicine francesi di prendersi, con una quota pari solo al 12% dell’export, il 48% in valore delle esportazioni complessive. Al contrario, pur esportando praticamente il doppio dei francesi e degli spagnoli (el Cava è terzo in tutte e due le classifiche), dice il Dossier Spumanti 2017 del Corriere Vinicolo, il nostro vino di punta fattura meno. Certo, tira su il morale l’ascesa impetuosa delle nostre bollicine venete. Un grafico che schizza verso l’alto. A questo punto Stella si chiede: “vale la pena di produrre mezzo miliardo di bottiglie, che quest’anno dovrebbero diventare, a dispetto della siccità e delle grandinate, 550 milioni (parola del Consorzio di tutela della Doc) per poi venderle spesso a prezzi stracciati”?

Per Fabio Giavedoni di Slowine, “una bottiglia di Prosecco a poco più di 2 euro fa andare in corto circuito ogni sano ragionamento economico”. Mentre Carlin Petrini, il fondatore e patriarca di Slow Food, spiega cge preferirebbe produrre magliette piuttosto che fare Prosecco, perché, spiega, “una produzione così strabordante non va bene. Soprattutto per le nostre colline e campagne. La “prosecchizzazione” rende il prosecco una “commodity” come la CocaCola, senza legami col territorio. Suicida”.

“Questa ingordigia porterà guai: la scelta di puntare solo sulla quantità a lungo andare non è sostenibile – dice al Corriere Matilde Poggi, presidente della Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti – Prosecco, prosecco, solo prosecco: è una monocultura sbagliata. Segno di una scarsa lungimiranza”. “Il Friuli sta diventando la tetta dove succhia il Veneto – continua sempre al Corriere Paolo Valdesolo, a lungo consigliere dell’Assoenologi – i veneti arrivano, comprano terreni, tolgono merlot, chardonnay, friulano. Prima il 60% dei nostri vigneti era a bacca rossa, oggi 70% a bacca bianca. Siamo travolti dal prosecco”. “Peccato – aggiunge Gianola Nonino – Il prosecco è una meravigliosa vena d’oro. Ma va tutelata. Amata. Rispettata. Non puoi togliere perfino le siepi per metterci sempre e solo prosecco”. “Quanti vignaioli pensano solo al guadagno immediato senza dar peso a quello che succederà nel lungo periodo? – si chiede su slowfood.it il produttore asolano Luca Ferraro in un intervento dove invocava di puntare sulla qualità invece che sulla quantità – quanti produttori svendono i loro vini senza dare valore al duro lavoro che implica la viticoltura di alta collina”?

La replica del presidente del consorzio Prosecco Doc non si è fatta attendere: “I numeri! Contano i numeri! La mia azienda, da sola, ha 1.200 soci: come la federazione residuale della Poggi! Ma i nomi di chi parla? Noi rappresentiamo decine di migliaia di produttori. Loro nessuno. Non sanno neanche l’italiano: ma quale monocultura del prosecco! Semmai il monovitigno! E neanche questo è vero! Ma lo sa qual è il vitigno che quest’anno è andato meglio in Veneto? Il Pinot grigio! È inutile venir qui a “fare i vergini”! Lo so, c’è chi fa certi discorsi anche nell’area dello champagne: “amico, pianta anche dell’altro…”. Provi a dirglielo lei, a chi ha le vigne e si spacca la schiena: cambia, fai la fame! Ooooh! Qui c’è una cosa che funziona. E bene. Perché cercare di rovinarla”?.

Sulla questione prezzi: “Sono scelte commerciali degli imbottigliatori! La qualità, però, resta altissima! Ognuno di noi ha in media due ettari e mezzo e ci fa 180 quintali a ettaro. Possiamo farne milioni, di bottiglie di qualità. Lo champagne? Mai inseguito, noi, lo champagne! Loro fanno una cosa, noi un’altra! Se no non avremmo questo successo. Il prosecco è un prodotto da consumo. È un vino democratico. Un lusso democratico! Per tutti”. Fino ad arrivare a un miliardo di bottiglie? Mai dire mai… 

C.d.G.