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Il personaggio

I protagonisti della comunicazione/ quattro Carboni (MG Logos): il successo? Merito del team

22 Luglio 2016
Stefano_Carboni Stefano_Carboni

Parla uno dei titolari di una delle più importanti agenzie di Roma. Il ruolo dei social, le differenze tra la Capitale e Milano, la sorpresa di Napoli. “Mai creare aspettative che non puoi soddisfare”


(Stefano Carboni)

di Fabiola Pulieri

Titolare, insieme alla moglie Maria Grazia D'Agata, di una delle società di comunicazione più conosciute di Roma, la MG Logos, Stefano Carboni si racconta a Cronache di Gusto e lo fa con ironia e umorismo, svelando di essere “un romantico d'altri tempi” che condivide, in primis con la moglie e poi con tutta la squadra, i risultati di venti anni di lavoro. 

Roma è una metropoli, la Capitale d'Italia, è il luogo dove si incontrano tanti mondi diversi, dalla politica all'industria passando per la cultura e tutto avviene sempre più spesso durante eventi che ruotano intorno al cibo. E' difficile mantenersi sempre al top della comunicazione quando tutto cambia, soprattutto i mezzi di informazione, ma Stefano Carboni in quasi venti anni ci è riuscito e ci rivela come ha fatto.

Come e quando è nata la MG Logos?
“Nasce da un’intuizione di mia moglie Maria Grazia che, nel creare un’agenzia di comunicazione, comprese la necessità di dedicarsi a un settore specifico. E decise di puntare sul mondo dell’agroalimentare e dell’enogastronomia e di specializzarsi su quello. Era il 1997 e quindi l’anno prossimo festeggeremo i primi 20 anni di attività”.

Il primo cliente?
“Partimmo subito in grande stile. Il nostro primo cliente è stata l’Enoteca Italiana che all’epoca rappresentava un fondamentale punto di riferimento per il mondo dell’enogastronomia. Videro in noi un gruppo giovane e pieno di voglia di fare e decisero di accordarci la loro fiducia. Il primo lavoro fu una manifestazione a Roma sull’olio extravergine che poi è rimasto una delle nostre grandi passioni”.

Tutti parlano della necessità di comunicare. Ma cosa e come? Qual è la sua strategia di base? Uguale per tutti o cambia in funzione di qualcosa?
“L’impegno è uguale, ma le strategie e le dinamiche necessariamente cambiano e vanno contestualizzate. Non si può pensare di comunicare allo stesso modo un consorzio e il lancio di un locale. Quello che di base è e deve essere comune sono l’impegno e l’attenzione, il gusto per il particolare, la conoscenza dell’argomento”.

Segue la comunicazione per importanti consorzi, aziende, ristoranti e locali. Cosa le chiedono: articoli sui giornali, visibilità sui social o relazioni?
“Dipende molto dal cliente e dall’oggetto della comunicazione. Comunque, in linea di massima, ormai il cliente si aspetta un giusto mix tra cartaceo, mondo web, magari radio e tv. Una cosa fondamentale, a mio giudizio, è essere bravo e onesto nel dichiarare subito, in sede di contrattazione, quello che è possibile ottenere. Poi noi abbiamo la fortuna, l’ostinazione, e forse un pizzico di abilità, nel riuscire spesso ad andare oltre le aspettative create. E in ogni caso molti di quelli che si rivolgono a noi comprendono come la nostra agenzia comunque sia in grado di creare per loro una fitta rete di relazioni ad alto livello. E questo non è poco”.
 
Qual è il suo segreto per comunicare “meglio di altri”?
“Francamente non so se noi comunichiamo meglio di altre agenzie. Di sicuro la MG Logos è caratterizzata da una forte etica del lavoro che ci spinge ogni volta a cercare di dare il meglio. Il resto lo fanno determinate caratteristiche come la cura dei dettagli, la conoscenza del settore, un lavoro di PR con gli amici della stampa che ci viene naturale e che è figlio di una buona propensione alla cura dei rapporti. E poi ho un bel team, composto da giovani che hanno passione e voglia di fare. Luigi Abate, ad esempio, ha una naturale predisposizione per la scrittura e conosce bene il mondo del vino. Francesca Nappo è molto portata alle pubbliche relazioni e sa praticamente tutto sul variegato universo degli chef”.

Come è cambiato il modo di fare comunicazione dal 1997, anno in cui è nata la MG Logos, ad oggi?
“Di base alcuni concetti sono rimasti inalterati. Diciamo che il nocciolo è sempre quello che vede un’agenzia come la nostra fare da trait d’union tra mondo che produce e mondo che racconta. E’ tutto quello che c’è intorno che è cambiato in modo netto. Basti pensare all’avvento dei social che già da solo ha cambiato le regole del gioco”.

Quanto sono importanti i social per la MG Logos?
“Devo ammettere che inizialmente non ne avevo valutato la reale portata. E’ stata Maria Grazia, come spesso accade, a intuirne gli sviluppi. E quindi abbiamo inserito nella squadra Giulia Murdocca, sempre molto attenta e straordinaria nello studiare la digital strategy adatta a ogni cliente. Non è un caso che abbiamo “reclutato” un altro giovane talento, Francesco Costantini, che promette già bene”.

I social hanno determinato la fine del giornalismo?
“Non sarei così assolutista. Il giornalismo, quello ben fatto, rimane una componente essenziale del puzzle. Di sicuro i social hanno modificato la percezione e la fruizione del tutto. Di base sono due sfere diverse che, pur muovendosi nello stesso ambito, hanno peculiarità proprie”.

E’ più importante la pubblicazione di un articolo su un giornale o mille “mi piace” su un post?
“Dipende molto dal cliente e dall’argomento. Il post è immediato e può dare una svolta a situazioni che necessitano di “tempi di reazione” brevi. L’articolo, l’intervista radio e tv, consentono approfondimenti che per alcune tematiche sono indispensabili”.

Anche un comunicato stampa è un po’ la fine del giornalismo? Tutti con la stessa notizia nello stesso momento.
““E’ la stampa, baby, e non puoi fermarla…” così avrebbe sentenziato il grande Bogart. Però è vero che la spaventosa massa di informazioni costringe spesso il giornalista a un lavoro di desk che talvolta flirta con il copia e incolla. Detto ciò, personalmente apprezzo molto quei giornalisti che utilizzano il comunicato come base di lavoro ma poi ci mettono del proprio”.
 
Mi dica i nomi di tre/quattro giornalisti o testate giornalistiche che segue e reputa tra i più bravi del settore enogastronomia in Italia.
“Urca, questa è difficile. Tra l’altro uno dei complimenti che ho ricevuto più spesso in questi anni è stato proprio quello che non faccio figli e figliastri, nel senso che noi, come agenzia, riusciamo ad avere ottimi rapporti tanto con il giornalista affermato che lavora con una testata ritenuta importante, quanto con il giovane alle prime armi che magari scrive per una piccola realtà. E poi abbiamo davvero talmente tanti amici che stimiamo e ammiriamo che alla fine sarebbe un elenco lunghissimo di testate e di nomi”.

E’ accaduto che qualche “indelicatezza” commessa da qualcuno, durante un evento da voi organizzato, vi abbia messo un po’ in difficoltà? Se sì, come lo avete gestito?
“E’ accaduto decine di volte e per i motivi più vari. Per la gestione quella più brava è Maria Grazia, che saprebbe sorridere amabilmente anche durante l’armageddon. Io faccio un po’ più fatica a nascondere l’irritazione che certi comportamenti a volte mi provocano. Ma alla fine siamo fortunati perché con la stragrande maggioranza degli ospiti dei nostri eventi abbiamo ormai stabilito un rapporto davvero splendido”.

Quali sono le caratteristiche, i pregi e i difetti che si affrontano lavorando nella comunicazione a Roma?
“Roma è una città difficile, in tutti i sensi. Intanto perché qui è tutto “fuori misura” nei numeri, nei comportamenti, nelle reazioni. E’ una realtà spesso border line con la quale non è facile confrontarsi. Però ha il pregio di essere assolutamente stimolante. Se sfondi a Roma, allora vuol dire che sei davvero bravo”.

C’è differenza nell’organizzare eventi e “comunicare” in altre città o altre regioni che non siano Roma e il Lazio?
“Essenzialmente noi abbiamo uno stile ben definito che riusciamo anche a esportare “fuori porta”. Detto ciò le differenze sono tante ed evidenti. Per quanto concerne la stampa un conto è confrontarsi con quella romana, altro discorso quella milanese, tanto per fare un esempio. Orari, format, approccio… cambia quasi tutto. Lo stesso discorso vale per il pubblico, quello capitolino ha delle peculiarità che lo rendono unico. Io, per esempio, sto imparando ad apprezzare molto quello napoletano, sorprendente per eleganza e competenza”.

L’evento che ha organizzato e che non dimenticherà mai?
“La selezione dei vini del Lazio per lo sforzo richiesto. La conferenza del Consorzio della Mozzarella di Bufala Campana Dop durante la crisi della Terra dei Fuochi per importanza e impatto mediatico e perché lì si giocava una partita che coinvolgeva migliaia di persone. E i Solisti del Gusto, con Walter Filiputti, per il piacere di lavorare con dei professionisti come quel gruppo di incredibili friulani. E poi tanti altri, il che mi fa venire in mente che sto diventando vecchio”.

I suoi hobby?
“Ne ho diversi: lettura, cinema, sport visto e praticato, in particolare la boxe. Ma soprattutto scrivere. Alla fine della storia, ero e rimango uno sceneggiatore/scrittore”.

L’ultimo libro letto?
““Il mambo degli orsi”  di Joe R. Lansdale”.

E l’ultimo film visto al cinema?
“Lo so che sembrerà strano ma è stato “Batman vs Superman”. Io e Maria Grazia siamo stati invitati alla prima riservata alla stampa da una persona deliziosa e, alla fine, ci siamo pure divertiti. In tv “Non essere cattivo”, semplicemente bellissimo”.

La sua città preferita?
“Roma a parte, quella dove ho trascorso la luna di miele e dove voglio tornare quanto prima. Ebbene sì, New York ha rubato il cuore sia a me che a Maria Grazia. So cool, so amazing”.

Il suo ristorante preferito?
“Ne ho tanti che amo, anche perché il lavoro mi porta spesso a frequentare ristoranti. Però non posso rinnegare la scelta fatta per il pranzo di nozze e quindi dico l’Imago, il roof restaurant dell’Hassler. Una vista su Roma che stordisce, un servizio in sala impeccabile senza essere pesante, in linea perfetta con il grande Marco Amato. E poi c’è Francesco Apreda, talento, tecnica e simpatia. Magari sembrerò un po’ snob, visto il livello del locale, ma Grazia e io lì ci sentiamo un po’ a casa”.

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