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Il personaggio

Josko Gravner e l’arte della sottrazione per fare grandi vini

02 Luglio 2013
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Sottrarre per produrre meglio, togliere per fare grandi vini, ridurre per divertirsi di più.

Magari non ve lo dirà mai così apertamente ma Josko Gravner la pensa così. Lui è uno dei più grandi produttori italiani di vino, anche se l'appellativo italiano gli sta stretto.  E vi spiegheremo dopo il perché. Ma intanto approfondiamo meglio la sua filosofia in un pomeriggio estivo e piovoso mentre le colline di Oslavia, a pochi chilometri da Gorizia, splendono di un verde intensissimo come mai probabilmente accade in altri periodi dell'anno.

Gravner ha deciso da qualche tempo di puntare tutta la sua produzione su due soli vini, due vitigni. Punto. Niente altro. Uno è la Ribolla, ovviamente Anfora perché fa la macerazione sulle bucce e rimane altri mesi nei grandi contenitori di terracotta da duemila litri acquistati in Georgia. L'altro, ed è una sorta di novità, nel senso che il Pignolo vitigno a bacca rossa di questa zona del Triveneto a poche migliaia di metri dalla Slovenia, è diventato un vino in vendita solo da un paio di mesi. L'annata è il 2003, sì, avete letto bene. Anche per i rossi ormai Josko predilige i lunghissimi affinamenti, prima nelle anfore, circa un anno, poi nelle grandi botti, e infine in bottiglia. E con l'arrivo del Pignolo, pochissime bottiglie, tremila in tutto, ha deciso che quella del 2012 è stata l'ultima vendemmia di Breg, il suo bianco ottenuto da quattro vitigni. Ma chi ama questo vino avrà ancora tempo per berlo. In commercio per ora, assieme alla Ribolla Anfora c'è il 2006. E il Breg 2012 sarà venduto nel 2020. Sì, tra sette anni.  Avete letto bene anche questa volta.

Spiega Josko:  “È da tempo che mi voglio concentrare solo sui vitigni della zona. Credo che sia giusto interpretare nel modo migliore quello che vuole questa parte del Friuli. Mi basta così. Ho ridotto la produzione a due sole etichette, ho eliminato un po' di vigneti adesso gli ettari vitati sono circa 14 per ventimila bottiglie. Produrre di più? Potrei ma non mi interessa, caso mai ho in progetto di impiantare altri quattro di Ribolla per sostituire quello che ho tolto”. Tutto rigorosamente ad alberello e, come sempre, vicino a un boschetto affinché all'uva non manchi mai il supporto degli alberi che facilitano l'aria pura e le escursioni termiche. Poi Josko parla anche di vini naturali. Categoria che a lui non interessa. “Se qualcuno ha l'esigenza di affermarlo – spiega con una punta di ironia – vuol dire che non gli basta dire che fa vino. Io faccio vino, punto. E mi limito a dire che dei circa 300 additivi consentiti dalla legge nelle fasi di produzione io ne uso solo uno. Lo zolfo. Lo utilizzavano già i romani nel vigneto. Lo faccio anche io. E cerco di assecondare la natura. L'altro anno ho vendemmiato a fine novembre,  un rischio ma l'uva non maturava”.

Conversare con Josko significa coglierne anche i silenzi, ma le battute spesso sono fulminanti. Quando gli parliamo del suo rapporto con le guide, sorride. E dice: “Mi corrono dietro, mi inseguono”. E non c'è bisogno di aggiungere altro. E se gli chiediamo cosa ne pensa della moda dei vini naturali risponde con poche parole. “Moda? Perché diventi una moda se ne dovrebbe bere molto, molto di più. Non mi sembra che sia così. Parliamo sempre di consumi molto limitati, di nicchia”. Nel calice, quelli che Josko ha fatto disegnare dall'architetto veneto Massimo Lunardon, arriva prima il Breg, blend di Sauvignon, Chardonnay, Pinot Grigio e Riesling italico. Il colore è ambra scuro, spiazzante,  proponibile solo se ti chiami Gravner. Intenso, profondo, ricco, lungo,  l'assaggio ti fa notare subito una estrema bevibilità. Sarebbe un errore berlo freddo.  I vini di Josko, anche se bianchi, vanno bevuti quasi a temperatura ambiente per coglierne tutti i benefici. Poi c'è la Ribolla Anfora, sempre 2006, spettacolo liquido, di colore e profumi, ancora più intenso del Breg con una sapidità che non ti aspetti. Grande. Non un vino per tutti.


Gravner nella sua anforaia

Poco prima eravamo andati giù nell'anforaia. In questa stanza dove non esiste nessun correttivo della temperatura si respira un'aria solenne. Josko non parla. L'unica frase che gli viene fuori è intensa come il suo vino. “Qui ci sono cinquemila anni di storia”. Già, come se fossimo in un museo. Ma non è così perché dentro le anfore c'è materia viva, vivissima, che sta per diventare vino. Si fa fotografare seduto su una pedana di legno. E sembra tutto un palcoscenico surreale dove ad essere il protagonista è sempre il vino, anche se non lo vedi. Josko continua così il suo percorso all'indietro, togliendo, sottraendo, riducendo. Anche i calici, fatti disegnare sotto suo suggerimento dopo aver visto quelli in cui bevevano in un monastero della Georgia, hanno qualcosa di meno di quelli che siamo abituati a vedere: non c'è lo stelo. Sono ampi bicchieri che ricordano quelli del cognac ma solo un po' nella forma. Disegnati per dare alla bevuta un tocco di intimità e di solennità in più. 

Il discorso si sposta sul senso del mondo, su quel viaggio in America di tanti anni fa che cambiò le coordinate di Josko. E sul non sentirsi nè italiano, nè sloveno ma solo cittadino del mondo. Che parla la lingua del vino. La migliore, forse la più antica. Ecco un altro flash su Josko. Riappropriarsi del passato per andare verso il futuro.  E poi sottrarre, togliere, ridurre. Per fare grandi vini.

Fabrizio Carrera

Le foto sono di Giovanni Franco
 

Josko Gravner
Località Lenzuolo Bianco,  9
Frazione di Oslavia, Gorizia
Tel. 048130882
www.gravner.it>