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La degustazione

Il “testamento” di Franco Biondi Santi: in anteprima il Brunello di Montalcino Riserva 2012

10 Febbraio 2020
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(Franco Biondi Santi)

di Daniele Cernilli, DoctorWine

Ho potuto assaggiare in anteprima il Brunello di Montalcino Riserva 2012 di Biondi Santi, l’ultimo che fu vinificato e messo in botte da Franco Biondi Santi che di lì a pochi mesi ci lasciò. 

È stata un’emozione, perché ero molto legato al “dottor Franco”, come lo chiamavano tutti in azienda. Un’amicizia fatta di rispetto e di antica cortesia. Franco Biondi Santi aveva l’età di mio padre, ci davamo del “lei”, ed era un uomo di grande carisma e contemporaneamente di estrema gentilezza, il che non comportava sconti di sorta, perché era accompagnata da una decisione e una chiarezza uniche nel manifestare le proprie opinioni, magari sorridendo. Tutte cose che mi tornavano in mente mentre prima versavo e poi assaggiavo quel Brunello.  In particolare, mi sembrava di risentire la sua voce e le sue idee su come doveva essere un grande Brunello. Longevo, innanzi tutto, poi teso, agile, elegante, mai eccessivo ma neanche magro o troppo ossuto. Anche se Il Greppo, la leggendaria tenuta dei Biondi Santi, è nella zona interna del comprensorio, siamo sempre a Montalcino, una zona che da sempre si esprime con rossi di corpo, con tannini talvolta evidenti, oltre che con un livello di acidità adeguato. I migliori vini di qui, tutti a base sangiovese, sono così. In particolare quelli dell’annata 2012, e in particolare questa spettacolare Riserva. 

Se, insomma, Franco Biondi Santi avesse voluto uscire di scena con una standing ovation non avrebbe potuto farlo con un vino migliore. Uno di quelli che meritano di essere annoverati fra i suoi migliori di sempre, a partire dal 1971, prima annata della quale si occupò personalmente e completamente. Prima di lui i mitici ’45, ’55, ’61, ’64 e ’70 li aveva curati suo padre Tancredi. 

Ma torniamo alla Riserva del 2012. Colore granato limpido e brillante, e fin qui nulla di strano. Poi iniziano ad arrivare i primi profumi, uno spettro olfattivo già ampio, con accenni speziati iniziali, poi kirsch, lieve amarena, qualche nota floreale, tabacco scuro, prugna. Un profilo giovanile, senz’altro, ma perfetto, quasi delicato, che mi riportava a quelli di annate come il ’99, forse il 2006, e molto vicino al ricordo di quello che presentava addirittura la mitica Riserva del 1955, che assaggiai però solo venticinque anni dopo la sua uscita, perciò in una fase evolutiva più avanzata. L’assaggio non poteva che confermare tutte le premesse e le promesse. Componente tannica accennata e già molto integrata, con una trama fitta e vellutata, sfaccettata, sostenuta dal consueto apporto di acidità che tradizionalmente i Brunello del Greppo possiedono e che rendono tesa e agile la fase gustativa. 

Avrei dovuto sputare dopo l’assaggio, ma non ce l’ho fatta. E non solo perché si trattava di un vino molto costoso, non apparirà per meno di 450 euro sugli scaffali delle enoteche, ma perché era dannatamente buono pur in età ancora giovanile. Franco mi avrebbe bacchettato “Ma lei che ha tempo per attenderlo, perché lo beve adesso?” mi avrebbe detto. Per una volta avrei controbattuto “I grandi vini sono grandi anche da giovanissimi, perché già riescono a far prevedere la loro evoluzione”. E lui avrebbe sorriso quasi paternamente. 

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