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L'anticipazione

La fantastica scoperta sul Grillo

26 Maggio 2014
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“È un incrocio voluto da un ampelografo dell'800. Ecco atto di nascita, identità e familiari…”. Per il professore Scienza si aprono nuovi scenari per la viticoltura siciliana


Giacomo Ansaldi

È nato a Favara sul finire dell’Ottocento, i suoi genitori sono il Cataratto e lo Zibibbo. 

E non è “figlio unico” ma sono due “gemelli”. Il Grillo, vitigno siciliano fra i più diffusi, ha una nuova carta d’identità e un nuovo albero genealogico. Una scoperta destinata a cambiare il destino di questa varietà a bacca bianca oggi molto in voga e forse anche dei vini siciliani.

Gli studi sono frutto della collaborazione fra l’assessorato regionale all’Agricoltura e il Centro per l’innovazione della filiera vitivinicola, diretto da Vito Falco, e sono stati condotti nei campi sperimentali dell’istituto “Antonietta Spanò”. Un progetto dedicato alla valorizzazione dei vitigni autoctoni, avviato nel 2003, e che si è avvalso di prestigiose collaborazioni come quella del professor Attilio Scienza, ordinario di Viticoltura all’Università di Milano, e del professor Rosario Lentini, storico dell’economia.

Una ricerca da un lato effettuata spulciando fra materiale d’archivio, libri e testi antichi, dall’altro fra campi e laboratori. I risultati emersi sono a dir poco sorprendenti, allo steso tempo suggestivi e scientificamente rivoluzionari. “Sul finire dell’Ottocento a Favara, il barone Antonino Mendola, agronomo e ampelografo, si dedicava allo studio delle viti – spiega Giacomo Ansaldi, tecnico del Centro per l’innovazione della filiera vitivinicola – . Aveva oltre 4 mila varietà di viti, fitti rapporti internazionali e scambi frequenti. Un appassionato che, quasi per caso, arrivò al Grillo”.

Fra i documenti ritrovati c’è quello che potrebbe essere l’“atto di nascita” del Grillo, è datato 1874 ed è stato scritto proprio dal barone Mendola: “seme di Catarratto bianco fecondato artificialmente col Zibibbo nella fioritura del 1869 nel mio vigneto Piana dei Peri presso Favara; raccolto a 27 agosto dello stesso anno; seminato in vaso a 3 marzo 1870 e nato verso il 20 maggio. Nel 1871 osservando nel vaso 105 una piantolina ben distinguersi tra le molte sue consorelle per vigore e colore delle foglie e più per tormento (…) trassi una piccola mazza e la innestai nel febbraio 1872 sopra un robusto ceppo di Inzolia nera onde affrettare la fruttificazione e così ebbi il piacere di gustarne i primi grappoli nell’autunno 1874. Dedico questa pianta al chiariss. Ing. G. B. Cerletti, direttore (…) della Stazione Enologica di Gattinara”. Giovan Battista Cerletti erano uno dei tanti contatti di Mendola, a lui dedicò questo che chiamò “Moscato Cerletti”. Lo stesso Mendola scriveva anche nel 1904 “ibridai il Cataratto comune di Sicilia (…) collo Zibibbo, per ottenere un ibrido colle virtù miste dell’uno e dell’altro progenitore, per potere fabbricare un Marsala più aromatico”.

Ma lo studio non ha solo stabilito le origini del Grillo, sotto l’aspetto agronomico sono state individuate due varietà, chiamate A e B, che presentano differenze sostanziali. “Una è più fresca, più simile a un sauvignon blanc – aggiunge Ansaldi . L’altra è più potente, più alcolica e dall’aroma più mielato. Con entrambe stiamo facendo delle prove, in territori diversi come Contessa Entellina, sulle colline di Regaleali, tra le province di Palermo e Caltanissetta e Vittoria. In tutti i terreni le due varietà mostrano il loro carattere, mantengono le differenze”.

Dalla scoperta dipenderanno tante scelte future, dalla possibilità di impiantare un mix di entrambi i ceppi per un miglioramento varietale o una scelta univoca, per ottenere vini ben più definiti. Ma anche la diversificazione dei nomi dei due ceppi che “potrebbe essere una scelta di marketing”, aggiunge Ansaldi che, a proposito di nomi, ipotizza che Grillo “possa derivare dalla caratteristica un po’ discontinua, saltellante, per l'appunto, della produzione”.

La scoperta però può rappresentare anche la strada maestra nel settore della vitivinicoltura. “Il Grillo – spiega il professore Attilio Scienza – è il vitigno bianco siciliano che ha la maggiore prospettiva di sviluppo. Ma questa ricerca va vista in senso molto più ampio, sottolinea il significato dell’elemento genetico, cosa si può fare con l’incrocio. Il futuro si giocherà anche su questo, su nuovi vitigni ottenuti dall’incrocio. Non possiamo continuare a coltivare solo vitigni di 200 anni fa. È una nuova prospettiva ma anche metafora di quello che può fare la ricerca siciliana. Non dimentichiamo quanto può essere importante sul fronte della resistenza alla malattia”. E di tutto questo è molto probabile che se ne parli a Sicilia en Primeur, la manifestazione di Assovini che, alla presenza di ottanta giornalisti da tutto il mondo, celebra il vino dell'Isola.  E che quest'anno, nella sua undicesima edizione, farà tappa a Vulcano il 28 e il 29 maggio prossimi.

Stefania Giuffrè