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L'intervista

Silvana Ballotta: “Successo in Cina? Il vino italiano segua l’esempio della nostra moda”

19 Febbraio 2019
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(Silvana Ballotta)

di Giorgio Vaiana

Ci risponde al telefono mentre a Shanghai è piena notte. Ma Silvana Ballotta, Ceo di Business Strategies, è troppo elettrizzata per andare a dormire. 

“Troppe cose da sistemare e verificare”. La Cina per la Ballotta è la sua seconda casa. Lavora tra l'Italia e il Paese del Dragone ormai da tantissimo tempo e conosce tutto (o quasi) di questa nazione così gigantesca e di questo popolo. Soprattutto è una delle massime esperte di questo mercato, in fortissima espansione. E che può (anzi dovrebbe) rappresentare una grandissima occasione di sviluppo per le cantine italiane. Ne parliamo proprio alla vigilia di uno dei più importanti eventi legati al mondo del vino, il China Wine Summit, che si terrà il 23 e 24 febbraio e dove ogni anno vengono premiati da critici ed esperti internazionali del settore i migliori vini cinesi.

Il summit, però, è anche l'occasione per fare il punto della situazione: “Il vino italiano in Cina in questo momento naviga a vista – dice la Ballotta – Sta provando a fare gli esperimenti di comunicazione, a farsi conoscere, ma rimane un po' al palo, non riesce a partire”. Secondo la Ballotta, il problema è nella mancanza di un sistema efficiente che lo appoggi, “perché, soprattutto quando si è qui, ci si accorge di come servirebbe una cabina di regia sul sistema di promozione italiano che sappia valorizzare i singoli player. Non tutti, infatti, possono fare tutto e ci sono delle singole competenze che devono per foza di cose essere messe in gioco”. 

I produttori italiani lo hanno capito: da soli non si va da nessuna parte. Per questo servono enti intermedi che, di concerto, riescano a mettere in atto programmi di promozione a medio e lungo termine: “Ognuno deve fare il proprio – dice la Ballotta – i produttori hanno il compito di far conoscere le loro cantine, i loro vini e i territori di appartenenza, mentre le istituzioni devono consentire che queste conoscenze siano più approfondite e profonde, creando magari un network. Basti solo pensare che in Cina, a parte qualche piccolo tentativo, non c'è una piattaforma di distribuzione di vino e food italiano”. 

Eppure in Cina, gli esperti non mancano: “Qui la gente chiede e vuole il vino italiano – dice la Ballotta – E ti rendi conto di quanto abbiano studiato il nostro paese, quando chiedono vini di denominazioni semi-sconosciute. Insomma il mercato c'è, la gente è curiosa e vuole capire e conoscere. Bisognerebbe trovare un filo conduttore comune, un messaggio che dica a tutti l'ottima qualità di vini che sappiamo produrre”. Già, perché in Italia di certo non ci manca la qualità: “C'è un problema di fondo, una percezione sbagliata – prosegue la Ballotta – Incontro spesso persone che pensano di avere in mano questo mercato, di poterlo comandare, di sapere come approfittarne. Ma quando si viene qui, ci si rende conto della grandezza. I numeri sono troppo importanti e vanno affrontati con strumenti innovativi, intendo di marketing. Che sia capace di catturare l'attenzione concreta di questo consumatore. Invece, su alcune realtà, c'è ancora un marketing arcaico, quasi giurassico. Va ripulito, alleggerito, fatto solo di contenuti che interessino davvero a chi deve e vuole solo andare a comprare il vino”. 

Secondo la Ballotta, il successo del vino italiano può dipendere tantissimo dalla ristorazione italiana, in grande fermento da queste parti. Un modello che ha funzionato, e bene, negli Stati Uniti. Ma l'ostacolo tremendo sono i dazi: “Una bottiglia di vino italiano, da queste parti costa almeno tre, quattro volte il prezzo cantina. Tutto diventa più caro. Immaginiamo i vini premium. Ma il problema è che qui l'Italia non è ancora percepita come produttrice di vini di lusso”. Vent'anni fa, però, la stessa identica cosa avveniva con il mondo della moda. “Io già venivo spesso qui per lavoro e le grandi maison di moda erano quelle dei cugini francesi. Un po' come succede oggi per il vino da queste parti, che tutti fanno i nomi di cantine francesi – dice la Ballotta – Oggi, però, se ai cinesi parlo dell'Italia, loro mi rispondono subito con Dolce&Gabbana, Gucci, Giorgio Armani. Tralasciando di chi sono adesso le proprietà, i marchi sono icone del nostro paese. Ecco credo che il vino italiano debba fare la stessa strada che ha fatto la nostra moda, posizionandosi sul luxury. Siamo sulla buona strada per farlo, ma c'è ancora tanto lavoro da fare”. 

In Cina, dai primi dati, nel 2018 l’export ha raggiunto i 130 milioni di euro, quasi nove volte rispetto al 2017. Entro il 2022 è prevista una crescita del +38,5% (Dati Istat).