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Scenari

Vincenzo Calì il nuovo enologo di Benanti

15 Aprile 2014
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“Tutto autoctono nell'azienda Benanti a cominciare dall’enologo”.

Così dicono Salvino e Antonio Benanti, la new generation che da più di un anno conduce la gestione della cantina storica etnea. Ieri, insieme al padre Giuseppe Benanti, tra i protagonisti di Le Contrade dell'Etna, la manifestazione giunta alla settima edizione che si è svolta nella cantina di Alberto Graci.

“Dopo aver messo nero su bianco, qualche giorno fa, ora possiamo annunciarlo al mondo – hanno detto -. Vincenzo, detto Enzo, Calì sarà il nostro enologo. Subentra ufficialmente a Michele Bean ed è la logica conseguenza alla luce di un contratto che con Bean prevedeva un rapporto di solo ventiquattro mesi. E arrivati al naturale compimento di questo rapporto, è stato altrettanto naturale proporre ad Enzo di assumere il ruolo formale di enologo”.

Al patrimonio culturale della cantina Calì aggiungerà del suo, arricchendo ciò che è stato lasciato anche dai suoi predecessori. “Un “capitale”  di conoscenze fatto di mille frequentazioni con i qualificati consulenti gravitati nella nostra cantina.  – chiosa Salvino Benanti – Le sue esperienze si sono plasmate e consolidate grazie anche ad una visione nuova, giovanile e ampia che caratterizzava la filosofia di Michele Bean. Una visione del mondo enologico, che prevede una avvicinamento ad una sempre maggiore bevibilità dei vini. Una sfida – conclude – se non proprio una provocazione verso un alleggerimento della caratteristiche  dei vini. Ed  Enzo si è limitato, per approfondirla, a coniugare questa filosofia a confinandola esclusivamente e alla vinificazione dei vitigni dell’Etna. 

“Per un enologo non c’è nulla di più appagante di lavorare sul proprio territorio di origine – dice Enzo Calì – e renderlo, questo lavoro di lucente chiarezza, ovvero ben visibile, sia come chiaro frutto di un bagaglio storico che per me si e accumulato maturando esperienze al fianco di Salvo Foti. Ora questo patrimonio possiamo dire di poterlo definire arricchito di un valore aggiunto, quello di declinarlo in forma esclusiva per i nostri vigneti e in generale per tutto ciò che rappresenterà la nostra produzione. E non sarà solo questione di “esclusività”. Salvo mi ha trasfuso il culto del monovitigno, la valorizzazione delle caratteristiche  della viticoltura tradizionale, in altre parole, il monovitigno come espressione di un vino che nasce dall’intimo rapporto tra il terroir e la mano dell’uomo che non si lascia influenzare dagli accorgimenti enologici. Vitigno che sia autoctono e soprattutto esclusivamente etneo”.

Stefano Gurrera