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Dom Pérignon, il debutto italiano del nuovo chef de cave: a Milano arriva Vincent Chaperon
di Alessandra Meldolesi
È arrivato il momento del cambio della guardia per Dom Pérignon. Dal carismatico Richard Geoffroy a Vincent Chaperon, nuovo chef de cave della maison di Épernay, in questo momento appaiati in una trasmissione del sapere che durerà 6 mesi (ne parlavamo in questo articolo).
I due erano entrambi presenti alla presentazione ufficiale di Milano. “Provo grande emozione, ma anche sicurezza e rassicurazione - ha commentato Geoffroy - Vincent è un grande tecnico. Ma conta soprattutto l’aspetto umano e per questo sono fiero che sia lui a prendere il mio posto”. “Entrare in Dom Pérignon è un po’ come prendere gli ordini, qualcosa che richiede l’interezza di quanto è nelle nostre capacità”, ha replicato il successore. A ritmare l’evento una degustazione guidata, iniziata dal Dom Pérignon 2008, millesimo su cui tutti fantasticano in Champagne, nutrendo aspettative altissime. Per Geoffroy rappresenta quasi un archetipo. “Cosa fa di un vino un grande Champagne, è una domanda che ci poniamo tutti i giorni. Sono l’eccellenza e la costanza; ancor di più la capacità di sorprendere, il pubblico e noi stessi. Noi non cerchiamo la costanza, ma, insolitamente in Champagne, l’apologia del nuovo: ogni anno ci sforziamo di creare qualcosa di diverso”. L’anno è stato nuvoloso, caldo solo nel finale; la vendemmia quindi tarda, settembrina, la più lunga di sempre con le sue 4 settimane, in cerca della massima maturità. Ne risulta la rivisitazione di un archetipo tagliente, fatto innanzitutto di rigore.
(Vincent Chaperon)
“Quindi la sacrosanta acidità dello Champagne, ma è proprio l’equilibrio acido a esprimere l’annata, da vestire con un po’ di carne, o meglio muscolo longilineo, affusolato sull’osso. Perché la ricetta non è fissa: abbiamo la libertà di scegliere. E ogni millesimo influenza i successivi”, secondo Chaperon. Mentre Geoffroy ha enfatizzato la magia di quanto non è prevedibile. “Perché Dom Pérignon deve continuare a rischiare. Il rischio più grande sarebbe non correre rischi. Auspico che Vincent conservi questo spirito”.
A seguire 2004 e 2003, frutto di una maggiore concentrazione dell’uva dovuta al vento, foriera di un’illusione di maturità. “Il vino è stato fatto da tutta la squadra”, ha continuato Geoffroy. “Inizialmente il 2003 ha ricevuto anche critiche. Ma era solo uscito troppo presto. Sono sempre stato convinto che fosse un grande Champagne, quindi ho piacere di ripresentarlo adesso. Restituisce tutta l’energia che è stata profusa per produrlo come un vino tout court. Ma se il 2003 è stato l’anno di tutte le sfide, il 2004 è stato l’anno di tutte le facilità. Il coraggio è stato quello di non intervenire di fronte a una parentesi aerea di leggerezza ed equilibrio. Una carezza di Dom Pérignon”.
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