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Scenari

Export del vino italiano, i rossi piacciono agli Stati Uniti: vendite in aumento del 15 per cento

31 Agosto 2018
Umberto_e_Riccardo_Pasqua Umberto_e_Riccardo_Pasqua


(Umberto e Riccardo Pasqua)

di Michele Pizzillo

Nuovo record di esportazione di vino italiano all’estero? I dati dell’export dei primi cinque mesi confermano le previsioni di quanti sono convinti dell'ottimo posizionamento dei nostri vini sui più importanti mercati in cui aumenta anche il consumo pro-capite.

A trainare questa crescita delle esportazioni sono senz’altro gli spumanti che secondo l’Osservatorio dell’Unione Italiana Vini, già rappresentano il 25% delle vendite e la tendenza è decisamente favorevole a questo tipo di vino italiano, dicono i ricercatori di Wine Monitor di Nomisma. Tant’è vero che negli Stati Uniti a fronte di una crescita del 18% per gli spumanti, si registra un meno 0,8% per i vini fermi. Ma, solo se non si entra nei dettagli, come invece ha fatto Pasqua, cantina veronese leader nella produzione di vini rossi, in particolare dell’Amarone della Valpolicella. Perché Pasqua ha commissionato proprio a Wine Monitor di Nomisma, una ricerca che evidenzia come negli ultimi tre anni l’export di vino rosso è cresciuto del 15%. Con Cina, Stati Uniti, Francia e Germania, insieme all’Italia, sono i primi cinque mercati al mondo per consumo di vino rosso. Tra i principali vini rossi a denominazione protetta, quelli del Veneto (19% del totale rossi Dop), sono cresciuti nelle vendite del 13% ed anche con un aumento del valore del vino consumato, pari +20% in Giappone, +10% negli Stati Uniti e +7% in Canada. 

Secondo la ricerca di voluta da Pasqua, la vera sorpresa arriva proprio dal paese che nei primi cinque mesi dell’anno, ha registrato un -0,8% di import di vini fermi, gli Stati Uniti. In particolare dal Texas, che da solo assorbe il 7% del vino consumato negli States, ed ancora con un trend in forte espansione soprattutto per i vini d’importazione provenienti dalle più importanti regioni viticole del mondo. Siccome oltre il 30% dell’export di Pasqua è diretto negli Stati Uniti e il Texas è sicuramente il mercato del futuro “dove abbiamo intenzione di investire per incrementare la nostra presenza – ha detto l’amministratore delegato Riccardo  Pasqua, in occasione della presentazione a Milano della ricerca di Nomisma – abbiamo cercato di capire qual è la considerazione che i texani hanno dei rossi veneti. Un terzo ha dichiarato di conoscere l’Amarone, il cui consumatore tipo è Millennial, “winelover” (frequent user, acquirente online, alto-spendente, che predilige i wine-bar come canale di consumo) con reddito e titolo di studio elevato. Dopo la California,  il Texas è lo stato americano col più alto numero di famiglie con un reddito disponibile annuo superiore a 100.000 dollari e l’Italia risulta esserne il primo fornitore con un valore vicino ai 127 milioni di dollari, pari ad una quota di mercato del 38%, calcolata sul totale delle importazioni di vino. Dall’indagine è inoltre emerso come negli ultimi 12 mesi il 55% dei texani ha avuto almeno un’occasione per consumare vino e il 47% ha optato per il vino rosso”.

Quindi, una ricerca che andava fatta, visto che per l’azienda veronese gli Stati Uniti rappresentano una piazza strategica anche grazie all’apertura di Pasqua Usa, sede americana della casa madre veronese. Una scelta premiante, che in tre anni ha visto passare il fatturato da 35 a 50 milioni di euro, grazie al contributo della controllata americana che nel 2017 ha raggiunto i 17 milioni di euro di fatturato. E, questo, pur non avendo ancora pienamente sfruttato il potenziale dell’Amarone della Valpolicella fra i consumatori texani, interessati ai vini ottenuti da vitigni autoctoni, con il 60% che ama sperimentare e provare vini di altri territori e il 46% che mette al primo posto la qualità anziché il prezzo. La ricerca “Pasqua e il vino rosso di pregio: grandi cru e denominazioni a confronto. Il caso del Texas” commissionata da Pasqua Cantine a Wine Monitor di Nomisma, ha evidenziato che nella competizione fra grandi cru e denominazioni, in una comparazione con la Francia (i cui rossi pesano per il 74% nel totale dell’export di vini fermi imbottigliati), la principale denominazione (Bordeaux) presenta un export a valore quasi doppio rispetto a quello dei rossi Dop toscani, veneti e piemontesi considerati insieme (1,88 miliardi di euro contro 1,07 miliardi di euro). Mentre nel quinquennio 2012-2017 i Dop italiani sono cresciuti nell’export, i Bordeaux sono diminuiti di circa il 12% (e nel Regno Unito addirittura del 57%). Con una quota superiore al 20%, gli Stati Uniti rappresentano il primo mercato per i vini rossi italiani. In particolare, quelli con gradazione alcolica superiore ai 14°, dove l’Italia primeggia con una quota di mercato del 27% (110 milioni di dollari, + 57% nell’ultimo quinquennio). La Francia, invece, detiene una quota del 15% (- 3% nel quinquennio).

Nella classifica dei Paesi che producono i rossi di maggiore qualità, l’Italia è sul gradino più alto del podio: il 21% dei consumatori texani e il 25% dei premium consumers (cioè consumatori disposti a spendere oltre 20 dollari a bottiglia in enoteca e oltre 55 dollari a bottiglia al ristorante) indica il nostro come migliore Paese produttore di red fine wine. “Dati alla mano – ha sottolineato il presidente della cantina veronese, Umberto Pasqua –  è evidente come il vino rosso italiano di qualità, per il 41% dei consumatori medi e per il 43% dei consumatori premium, sia sinonimo di ‘storia e tradizione’. A questo vale la pena aggiungere che ben il 28% dei consumatori premium considera il nostro vino come simbolo di «esclusività» e di «lusso», due categorie da sempre appartenenti ai vini francesi”. Per Pasqua il Nord America si conferma il primo mercato con 17 milioni di euro di volume d’affari. Il dinamismo che ha caratterizzato quest’area ora “contamina” anche la Cina, dove la cantina veronese ha replicato il modello di business, che prevede la presenza di una controllata sul mercato. Dallo scorso anno infatti la cantina veronese controlla Pasqua Cina, con sede a Dalian, dopo l’acquisizione del 51% di Dalian Dego Biotech co. La Cina nel 2017 ha più che raddoppiato il giro di affari, oggi a quota 1 milione di euro. Mentre l’area dell’Asia e dell’Oceania, valgono, insieme, 4 milioni di euro.