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Scenari

Il futuro del Chianti Classico/6. Marco Pallanti: “Potremmo essere come la Borgogna”

11 Settembre 2019
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(Marco Pallanti)

di Giorgio Vaiana

Uno sguardo al cielo, una capatina in ufficio a sistemare le scartoffie burocratiche. Poi un'occhiata all'agenda. E' tempo di vendemmia anche al castello di Ama, che si trova nella frazione di Lecchi in Chianti, a Gaiole, in provincia di Siena. 

Marco Pallanti, che gestisce l'azienda insieme alla moglie Lorenza Sebasti, freme. Come tutti i produttori da queste parti. Ma è abbastanza sereno: “Le aspettative, come sempre – dice – sono molto elevate. Ma mi sento di dire che l'annata è andata molto bene. Abbiamo avuto i mesi di giugno e luglio molto belli. Un maggio piovoso che ha rimpinguato le falde acquifere. L'uva per ora è bella e sana. Ma fino a quando non è finita la partita, e quindi fino a che l'uva non è dentro la cantina, è inutile parlare. E' che, da un po' di tempo a questa parte ci stiamo abituando a delle bellissime annate. Sono più quelle buone che quelle complicate”. Il Chianti sta vivendo un momento molto importante della sua vita: “Un successo, però – dice Pallanti – che è arrivato solo in tempi relativamente recenti. Noi siamo produttori di uva dal 1982 e abbiamo sempre e solo lavorato con il migliore Sangiovese da cui ricavare Chianti Classico. Non ci siamo mai lasciati attrarre da Super Tuscan o cose simili. Tutti i nostri vini di punta sono fatti con il Sangiovese”. E il mercato finalmente sta riconoscendo questi atti di coraggio fatti da tanti produttori: “Negli anni '80 e negli anni '90 – spiega Pallanti – andava un po' di moda il fare tutto dappertutto. Mi spiego meglio. Sembrava che fosse possibile produrre qualsiasi tipo di vino in qualsiasi parte d'Italia. E' lì che è stato fatto l'errore. Oggi, invece, il consumatore non vuole più distinguere fra vini buoni e vini cattivi. Perché tutti, più o meno, produciamo vini buoni. Oggi il consumatore cerca vini che hanno identità, anima, origine. La bontà di un vino è certamente importante, ma non è il fine. Il produttore ha il compito di fare un vino che sia esplicativo di quel territorio”. 

Ed ecco la praola chiave di Pallanti: territorio. Anzi, per dirla alla sua maniera, vini di territorio. “I produttori di qualità lo hanno finalmente compreso – spiega Pallanti – e adesso si sono messi a produrre vini che sono rappresentativi delle zone in cui crescono le uve. Se c'è un modo per sfondare nei mercati del mondo, questa è l'originalità. Il Chianti Classico è un posto unico, anche e soporattutto dal punto di vista naturalistico. Noi dobbiamo fare un po' come quello che hanno fatto in Borgogna con il Pinot Nero. Non ci sono tante zone di elezione di questa uva. E così deve essere per il Sangiovese, che da queste parti riesce ad esprimere il meglio di se. Abbiamo la chiave per aprire questo territorio, che è fatto di tanti fattori diversi, come diverse altitudini e tipologie di terreno”. E quindi evviva i cru: “Sono stato un fautore della Gran Selezione durante i miei due mandati come presidente del consorzio – spiega Pallanti – Avere collegato una bottiglia ad un pezzo di terra è un'idea che mi piace molto. Il cru, in stile Borgogna, è una cosa che il Chianti Classico potrebbe avere. Ma dobbiamo rafforzare molto questa immagine”. In che senso? “Oggi far comprendere le differenze tra il Chianti Classico e il Chianti Docg mi pare una missione quasi impossibile – spiega Pallanti – Noi produciamo in un territorio che si chiama Chianti un vino che si chiama Chianti Classico. Il Chianti geografico non è il Chianti enologico. Il Gallo Nero mi sta simpatico. E' un simbolo molto carino. Ma da mettere sul merchandising, non attaccato ad una bottiglia. I mercati sono lenti a recepire le differenze. E un Gallo Nero non può certo sistemare le cose”. E fa un esempio: “Bolgheri e Maremma sono cresciuti molto di più e più rapidamente rispetto al Chianti Classico – dice Pallanti – sia in termini di immagine che di qualità. Loro, secondo me, hanno lavorato benissimo e sono un esempio da seguire”.

Un piccolo dubbio sulle sottozone: “Giusto che ci siano dei cru per dare delle identità ai vini – dice Pallanti – ma i produttori comincino a darsi da fare. Bisogna notare in bottiglia queste differenze tra un vino prodotto in un territorio o in un altro. E per il momento non le noto tantissimo. Quindi va bene l'apparteneza ad un comune nel Chianti Classico, ma si punti anche su altitudine, esposizione al sole e tipologia di terreno”. Per Pallanti, fra dieci anni, il Chianti Classico “sarà sempre più bello – dice – Sta finendo da queste parti la moda dei vini super colorati e super potenti. Adesso i nostri vini sono sempre più elegati e aggraziati. Credo che le cose potranno solo migliorare”. Il Castello di Ama ricava circa 320 mila bottiglie da 75 ettari di vigneto. Il 60 per cento della produzione vola all'estero. I mercati principali sono Stati Uniti, Canada, Giappone e Corea. 

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