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Scenari

Il futuro dell’Etna del vino/15. Davide Rosso: “Non sediamoci sui successi e sia pure Docg”

07 Settembre 2019
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(Davide Rosso)

di Francesca Landolina

“Per non sbagliare, basta non sedersi sul successo”. Sono le parole di Davide Rosso, il produttore langhetto Doc con uno dei vigneti più belli d’Italia a Serralunga d’Alba e un marchio rinomato con oltre cento anni di storia, che ha scommesso sull’Etna da qualche anno. 

Chiediamo il suo punto di vista nel corso della nostra intervista sul tema del futuro dell’Etna. “Due sono secondo me gli errori da evitare – spiega – Il primo, principale, è quello di sedersi sul successo, che al contrario va alimentato, soprattutto con la promozione all’estero, in Asia, per esempio, dove c’è tanto da fare. Occorre tenerlo vivo, come l’amore: bisogna sempre fare innamorare la propria persona per non perderla. Un errore che spesso si commette è questo, e l’ho visto anche col Barolo. Non va abbondonato l’obiettivo di fare il più grande vino al mondo e di fare salire la qualità, che è già alta, ma c’è molto spazio e tanto da fare ancora. Quella etnea è una denominazione di per sé molto antica ma anche molto giovane, perché è rinata da circa 20 anni. Occorre investire in vigna e in cantina, dare tutto il possibile. Chiaro è un fatto: quando tutto cresce, si possono verificare tante cose, errori se ne sono fatti in passato e ce ne saranno, perché solo chi non fa nulla non li commette. Ma bisogna stare sempre all’erta, senza mollare il tiro. In più c’è un secondo errore da evitare: non va mollata la stampa e e neppure i giornalisti. Bisogna continuare sempre a parlare, a fare promozione e ad intercettare, vista la bellezza del luogo, anche quella stampa trasversale, non solo di settore, che attraversa i temi del life style, del lusso, del turismo. Ci dimentichiamo spesso che quel posto, l’Etna, è unico. Non c’è solo il vino che fa da attrattore. Il contesto aiuta e aiuterà molto anche il mondo del vino”. 

E riguardo al tema dei prezzi, a quella forbice forse ancora un po’ ampia? “In tutte le denominazioni c’è il problema di una forbice ampia, anche nel Barolo, ma si risolve con ciò che ho detto prima, con strategie di marketing e facendo in modo che il pubblico possa sempre più apprezzare la qualità che c’è dentro ad una bottiglia, così tanto da attribuirgli il corretto valore per spendere con senso di riconoscimento di tale valore”. Il caso dei prezzi è risolvibile, per il produttore piemontese, con una sana politica di marketing e non lo intimorisce affatto la crescita produttiva. Tutt’altro. “Non c’è una questione di volumi, si fanno pochissime bottiglie. Pensiamo che di Barolo se ne calcolano circa 14 milioni e mezzo. In confronto l’Etna è una minuscola produzione”. E sull’invenduto dice: “L’invenduto se c’è è perché mancano quei due punti chiave a cui accennavo prima o non vengono ancora sviluppati bene. Siamo davanti ad una denominazione che è sulla cresta dell’onda da poco. Si cominciano a vedere i risultati di chi ha iniziato negli anni ’90. Ora bisogna sostenere i piccoli nuovi produttori che si affacciano sull’Etna e che rappresentano il sale, ma molti di questi, proprio perché piccoli, magari non hanno la capacità di esportare bene ed è molto importante che tutta la denominazione faccia molta promozione anche per loro. Occorre una buona strategia di push marketing per “spingere” il prodotto fino al consumatore finale attraverso intermediari che operano nei canali di distribuzione. Il Consorzio dovrà attuare questo”. 

E a proposito di promozione, sul tema di un probabile grande evento afferma: “Secondo me non bisogna fare tanti eventi, per non creare confusione. Ne basta uno, fatto bene. Che si chiami Contrade dell’Etna o meno poco importa. Si pensi ad un evento come alla Premier Bordeaux. Importante è invece potenziare l’evento con investimenti adeguati, invitare giornalisti, non solo italiani, ma da tutto il mondo, e i buyers dei monopoli canadesi o scandinavi per esempio. Bisogna pensare al loro tempo. Inutile sperare che vengano due volte in un anno. Ci sono altri territori del vino nel mondo. Non ha senso disperdere le energie. Bisogna mettersi d’accordo. Oggi bisogna aggiungere molti più servizi e bisogna fare questo passo. In più, l’evento lo farei al chiuso. Fatto bene. Con ottimi servizi. E con momenti didattici, utili e altamente formativi. Il Consorzio oggi ha la credibilità e la capacità di relazionarsi con vari Enti per trovare fondi. Senza dimenticare infine che voi siciliani avere la classe e l’eleganza dell’ospitalità: si potrà fare”.  

“Aspetta un compito non facile – prosegue Rosso – ma alla vostra portata. Quando arrivano giornalisti, che non conoscono l’Etna, sarebbe bello che ci sia qualcuno che li guidi, che spieghi la geologia dell’Etna, la storia delle Contrade. La differenza si fa lì, perché di eventi ce ne sono tanti. Credo che sul Vulcano ci sia già tutto quel che serve, ma va messo insieme armoniosamente e va proposto bene alle persone”. 

Per tornare invece a quel che attualmente accade sull’Etna e alla crescita produttiva, parliamo di nuovi impianti. Ma tale crescita non sembra essere un timore per il produttore che, al contrario, afferma: “Limiti di impianti? Dico la stessa cosa che ho detto riguardo al Barolo. La prima cosa che va lasciata andare è la libertà che, tuttavia, deve trovare, ci auguriamo, un senso di corrispondente responsabilità. Poco tempo fa, ho fatto un giro in elicottero sul Vulcano e ho visto che nella zona Nord non c’è in realtà più di tanto da piantare. Guardando dall’alto però è un paesaggio meraviglioso che si delinea. Lascerei crescere ancora la vigna. Arriviamo prima a circa 5 milioni di bottiglie, per esempio, vediamo poi come stiamo andando, come va il mercato e a quel punto decidiamo se andare avanti o se mettere freni. Ma adesso no. Anche per un fatto estetico, le vigne sono tutte belle e curate e questo migliora il territorio. Faccio un esempio: il Barolo non sarebbe bello così com’è oggi, se non ci fossero stati quei lunghi 35 anni di impianti. L’intervento responsabilmente libero dell’uomo migliora il paesaggio, e porta vita lì dove non ce ne era più. L’agricoltura sostenibile aiuta il territorio, non lo danneggia. Siamo ancora in una fase di espansione, per me. E poi, pensiamo al ritorno all’agricoltura di molti giovani, che si stanno avvicinando trovando un lavoro”. E dunque espansione anche della zona della Doc? “In zone vocate naturalmente sì, con certe altitudini e caratteristiche. Molte vigne ad alte altitudini hanno dato vita a dei cru che hanno riscosso molti premi; se si facesse un protocollo per riconoscerne il valore si potrebbe estendere verso l’alto in zone vocate. Certe vigne ad alte quote oggi sono un esempio di come il terroir non sia stato utilizzato per fare volume. E, ad ogni modo, per ogni argomento va ricordato che la qualità non deve essere negoziabile”. Favorevole alla Docg? “L’Etna lo merita”.

Concludiamo con un’ipotesi di futuro. Come immaginarlo? “Lo vedo magnifico, soprattutto perché ci sono persone preparate, giovani motivati e che hanno voglia di riscatto. Adoro questa sorta di rabbia addosso: bellissima. Insieme ad un grande terroir, è la benzina sul fuoco”. 

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