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Scenari

Si fa presto a dire lievito madre e alveolatura: il nostro viaggio tra le pizze degli anni ’90

22 Settembre 2019
pizza_vintage pizza_vintage

di Roberto Chifari

Ti ritrovi una sera a cena a parlare di materie prime e impasti di pizza, di lievitazione di 48 o 72 ore e abbinamenti ideali con vino e birra, ma poi sorridi perché pensi agli anni '90: un decennio che sembra lontano anni luce, ma che in realtà è passato da appena vent'anni. 

Un decennio semplice e quasi ingenuo, come lo eravamo tutti noi. Sarà che sono passati tanti anni, sarà che sono cambiati i gusti e che oggi la clientela è molto più esigente e attenta a ciò che mangia, ma resta un dubbio. Sappiamo davvero cosa ci viene portato sulle nostre tavole? Siamo realmente informati? In parte sì, ma c’è anche tanta confusione. Probabilmente alimentata da addetti ai lavori poco preparati, operatori dell’informazione non qualificati che si spacciano per quello che non sono e una sana presunzione che serpeggia nel mondo dell'enogastronomia, dove tutti pensano di sapere tutto e dove chiunque può parlare di tutto. E allora rifletti, ma vent’anni fa che pizza mangiavamo? E soprattutto dove la mangiavamo decantandone le lodi? Noi per comodità racconteremo della Palermo degli anni '90, ma la scatola dei ricordi può essere replicata in qualunque città. E allora quali erano i posti che frequentavamo nel 1999?

Luoghi del cuore, locali che hanno segnato la nostra spensierata giovinezza, posti che oggi non esistono più (anche se qualcuno resiste) schiacciati dalla crisi e dall’incedere delle mode. Eppure le pizzerie che hanno segnato un’epoca sono i nostri luoghi del cuore e con loro ci portiamo il ricordo di serate memorabili, sarà stata per la compagnia di allora, per il fatto che il cibo non si condivideva se non dividendo la pizza a metà o per il semplice fatto che la massima evoluzione di gusto era la Capricciosa o la Parmigiana. E la Romana poi era sempre con würstel. Altri tempi, tempi in cui ci accollavamo anche di mangiare nelle verande color ottone o alluminio di alcune pizzerie. A Palermo per esempio, c’era il Batavia in viale Strasburgo con quella pizza a forma di catamarano e lo stecchino che reggeva una fetta di prosciutto crudo come fosse una vela. Oggi forse potremmo inorridire per una cosa del genere, ma se negli anni '80 abbiamo mangiato le pennette alla Vodka, possiamo accettare le stravaganze dei pizzaioli degli anni '90. C’era il Ciak in viale della Resurrezione con i nomi delle pizze dei film e quando leggevi il menù era un quizzone per sapere se quella pellicola l’avevi vista oppure no.

C’era la pizza alternativa di Ci Voleva in via Mater Dolorosa, il Crazy Bull che di pizzeria aveva poco, ma le serate passate lì avevano un sapore diverso. E poi, negli anni '90 di sera il Crazy Bull era riconoscibile da tutt'a Palermo. La pizzeria New York in via dell’Artigliere che ai tempi con quell'arredamento vintage sapeva di pizzeria anni '70 a Little Italy. In via Dante verso la fine degli anni '90 arrivò Sciuscià, la prima pizzeria a portare l’impasto napoletano in città e i bordi ripieni. Un successo clamoroso, che costringeva a prenotare un tavolo con almeno sette giorni di preavviso. In centro c'era – e ci sono tuttora – i Comparucci che si dilettava con i primi abbinamenti ricercati. E come dimenticare la pizza del Vecchio Cortile: poche pizze in menù ma eravamo tutti lì per cenare in cortile. A piazza Marina, I Beati Paoli sotto il ficus che tutta Europa ci invidia e il Cotto a legna con le varianti di prosciutto di canguro. Un must era la pizza de I tre Porcellini da abbinare al vicino cinema King. Un'accoppiata vincente nelle serate degli anni '90, ben prima delle promozioni di oggi. In via Trinacria c'era la pizzeria Al Maniero con le luci soffuse, le porte di legno sullo stile dei pub inglesi e le vetrate ambrate.

Di esempi da portare ce ne sarebbero tantissimi. La tavernetta di Johnny, in quella che un volta si chiamava semplicemente piazzale Giotto e dove si mangiava tutte le sere nelle panche e nella tavolate di legno. La prima esperienza palermitana di tavolo sociale. La pizzeria Bellini all’interno dell’omonimo teatro. Bella d'inverno e affascinante d’estate con i tavoli all’aperto e con lo sguardo all’insù estasiati dalla bellezza della Martorana. Per i più tenaci c’era la pizza del Baby Luna sulla strada che porta all’uscita della città. Per i raffinati la pizza sottilissima dei Biondo. Per gli amanti del dopocena, invece, c'era un'altra pizzeria da non perdere ed era tappa fissa per chi alla pizza voleva abbinare anche il dopocena. Erano i tempi d'oro dell’Oceania con annessa serata al minigolf. Non c'erano serate passate al telefono, foto da pubblicare per i social e non c'era a dire il vero la stessa varietà che c'è oggi. Tempi che furono nel bene e nel male.

In questa lista non ho voluto mettere le pizzette di Giannettino al Politeama, quelle di Benny al Tribunale, di Graziano in via del Granatiere, di Peppi's, della Romanella, di Dimas o del primissimo Ganci. Non dimentico le serate passate lì, ma fanno parte della tipologia pizza di asporto. Un'altra filosofia che meriterebbe un pezzo a parte, ma anche loro, così come le pizzerie che non ci sono più, sono quella memoria storica che ci appartiene.