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La guida

Guida agli Extravergini Slow Food: ecco gli oli slow e i grandi oli

13 Maggio 2013
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Dodici chiocciole, 25 oli slow e 58 grandi oli, ben 1.131 oli extravergine recensiti per un totale di 772 aziende.

E' stata ufficialmente presentata a Slow Fish l'eccellenza olivicola nazionale descritta nella guida agli Extravergini 2013 di Slow Food Editore e curata da Diego Soracco. Come già avevamo anticipato su Cronache di Gusto (per leggere l'articolo cliccare qui) il panorama produttivo dimostra ancora una volta l'orientamento all'espressione territoriale e alla salvaguardia della biodiversità ma con un'annata, come l'ha definita lo stesso curatore “di transizione” e con una minore produzione. La pubblicazione conta 448 pagine e suddivide gli oli in due categorie: Olio Slow e Grande Olio. Nella prima rientrano quegli oli che rispondono ai valori di Slow Food del “buono, pulito e giusto”. Nella classe Grande Olio rientrano anche quelli ottenuti da agricoltura convenzionale e che rispecchiano il profilo dell'eccellenza.

Toscana, Sicilia, Lazio, Puglia le regioni che hanno espresso il maggior numero di eccellenze, ma una rivelazione sono state regioni dell'estremo nord come il Trentino.

La guida accenna anche ad alcune novità normative come il Decreto Sviluppo del 22/6/2012 e con la legge Salva Olio Italiano. Tra le disposizioni più interessanti ci sono: il divieto di marchi che possono indurre in errore riguardo all’origine (tipo “frantoi del Chianti”); la possibilità di indicare l’annata di produzione solo se il 100% dell’olio di produzione proviene dalla annata dichiarata, e l’obbligo del tappo anti trabbocco che impedisce di ricolmare una bottiglia etichettata (come massima tutela per il consumatore e per il produttore, il quale rischia di essere danneggiato da questa pratica). 

Oltre i premi, gli spunti interessanti alla presentazione della guida agli Extravergini 2013 di Slow Food non mancano. Due in particolare sembrano catturare l’attenzione del pubblico e dei produttori in sala. Il primo è di Stefano Masini di Coldiretti il quale accenna a un problema di non poco conto, quello di individuare un parametro oggettivo di qualità nell’olio extravergine italiano che ne protegga l’immagine. Tale parametro sembra, infatti, essere stato individuato e normato dal nuovo Regolamento (UE) n° 61/2011 relativo all’ufficializzazione del metodo analitico ed alla definizione dei limiti per gli esteri metilici e gli esteri etilici degli acidi grassi (detti comunemente alchil-esteri) negli oli extravergini di oliva. Il problema è stato tracciato da controlli delle autorità e delle forze dell’ordine a seguito della l’importazione di quantità rilevanti di oli di bassa qualità provenienti da Turchia e Spagna, e pronti a essere immessi sul mercato come prodotti in Italia.

Gli alchilesteri si formano dall'esterificazione degli acidi grassi liberi con l'alcol metilico e sono da imputarsi ai processi fermentativi a carco degli zuccheri costitutivi del frutto. In altre parole, è un processo di formazione inevitabile quando le olive vengono conservate per periodi più lunghi, prima di essere molite per l’estrazione dell’olio. Ed ecco il punto cruciale: un extravergine di alta qualità deve essere prodotto con olive appena raccolte e molite, evitando quella perdita di tempo che non solo ne diminuisce le caratteristiche organolettiche, ma che avrà evitato – appunto – la formazione di alchilesteri. Quest’olio sarà caratterizzato da valori degli alchilesteri molto bassi e sicuramente ampiamente inferiori al livello massimo di 75mg/Kg riportato dal Reg. UE n° 61/2011.

Altre riflessioni molto interessanti arrivano da Carla Capalbo la quale, writer USA, individua alcuni “peccati” gravi della comunicazione delle aziende italiane, spesso non aiutate dal legislatore italiano ed europeo.

Ecco qualche suggerimento:
1) Internet: ormai la ricerca delle migliori aziende e dei migliori prodotti avviene sulla rete, su pagine istituzionali ma anche sulle pagine dei social media, come Facebook. Esserci è fondamentale.

2) Le pagine devono essere tradotte in un inglese, o in altra lingua straniera, in maniera professionale e competente, necessariamente da un traduttore madrelingua. Sono tantissime le aziende che s’improvvisano in tale traduzione con risultati nel migliore dei casi deludente.

3) Anche l’accoglienza deve essere migliorata, con personale in grado di condurre una visita in inglese.

4) Invitare dei giornalisti stranieri influenti in modo da promuovere il prodotto con articoli in lingua.

5) Le indicazioni sono insufficienti e spesso fuorvianti. Più che il comune o l’area, sarebbe preferibile indicare la regione di produzione in etichetta, se questo non fosse possibile individuando l’azienda su una cartina che illustri l’area geografica di produzione. Questo è uno degli aspetti oggi più trascurati. L’esempio offerto da Carla Capalbo è la Valle del Belice. “Dov’è la Valle del Belice?”

6) Evitare le musichette sul sito, molto fastidiose. Meglio andare subito al punto con una notizie chiare e utili.

7) Trasporto: spesso il prodotto, perfetto al momento della partenza, arriva a destinazione in condizioni deteriorate. Un problema che andrebbe studiato e risolto.

8) Anche la confezione ha la sua importanza. Non usare bottiglie di vetro bianche, meglio del vetro scuro; anche delle lattine metalliche proteggono molto meglio il prodotto.

Francesco Pensovecchio

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