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Le interviste della domenica

Le interviste della domenica/1. Salvatore Passalacqua: “La tuma persa sono io”

05 Aprile 2020
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Salvatore, come trascorri il tuo tempo in questi giorni?

“Per fortuna vivo in azienda e in campagna non ci manca niente. Questo sarebbe un periodo di maggiore lavoro. Animali al pascolo, tanto latte… Che poi diventerà formaggio. Ma in questo momento visto che molto del nostro prodotto finisce nella ristorazione di media e alta fascia siamo fermi. È tutto fermo. E mi dispiace vedere che la grande distribuzione ha rinunciato ad acquistare i miei formaggi nonostante fossero pronte alcune iniziative di promozione concordate. Non lo comprendo”.

E quindi fermi anche voi?
“No. Andiamo col motore al minimo. Lavoriamo tremila litri di latte, il 15 per cento della produzione quando siamo a regime. I dipendenti sono tutti operativi finché ce la facciamo”.

Quando pensi si potrà ripartire?
“Non lo so. Voglio e devo essere fiducioso e ottimista per il futuro. Voglio e debbo”.

Salvatore Passalacqua è un bravissimo produttore di formaggio. Passionale e cocciuto. Non ama i compromessi. E sa anche essere ruvido, se serve. Anzi se gli sei amico non te le manda a dire. Ma attenti. Più ti strattona più ti vuole bene. È un modo per proteggerti. Una vita scandita dall’amore per il suo lavoro. Dalla Sicilia più profonda ha creato un formaggio che è un marchio. La tuma persa. Ed anche per questo nel lontano ormai 2008, per la prima edizione di Best in Sicily, decidemmo di premiarlo come Miglior Produttore di Formaggio. Non ce ne siamo mai pentiti. Vive e lavora a Castronovo di Sicilia a metà strada tra Palermo e Agrigento. Le strade che portano da lui in queste giornate sono costellate da colline di un verde smagliante. Ricchi pascoli per mucche e pecore. Se la Sicilia del formaggio ha un cuore, quel cuore batte in questi luoghi, i Monti Sicani. Sono sicuro che lo pensa anche Salvatore. Ma lui, a dirlo, peccherebbe di presunzione. Lo pensiamo e lo scriviamo noi al posto suo.

(La tuma persa)

Come nasce la tuma persa?
“Nasce per lo stimolo che arriva da Roberto Rubino, mio carissimo amico, scienziato di fama internazionale nel mondo dell’alimentazione degli animali, del latte e dei formaggi. Nel ‘97 mi dice che aveva scoperto un piccolo libro di Alberto Romolotti che alla fine dell’Ottocento elencava alcuni formaggi siciliani tra cui il caciobufalo o tuma perduta. O ancora cacioturc. Con l’aiuto del Corfilac di Ragusa e del suo presidente, Giuseppe Licitra, cercammo senza esito anche altri elementi per ricostruire la storia di questo formaggio. Tuttavia decisi di iniziare a produrlo rispettando il racconto di Romolotti”.

Come andò?
“Una mattina mi sentii ispirato. Presi un po’ di latte. E cominciai. Cinque, sei forme li misi a stagionare per sei mesi. Ma alla fine dei primi quattro mesi la curiosità era tale che decisi di prenderne una forma, tagliarne e assaggiarne un pezzo”.

Era buono?
“Di più. Dico sempre: rimasi folgorato sulla via del formaggio. Perché capii che in bocca c’era la sintesi della Sicilia. Quella più buona. Profumata e gustosa. Quella della tua infanzia. Sapori decisi e nitidi. Da lì è partito il progetto. Ed anche la produzione. Tanto che nel 2004 ho realizzato la mia azienda tutta pensata e in funzione della tuma persa. Ormai tutta la mia vita ruota attorno alla tuma persa. Senza togliere nulla all’altra mia creatura, il Fior di Garofalo”.

Descriviamo questo formaggio?
“Qualcuno spesso mi chiede: a cosa assomiglia la tuma persa? Assomiglia alla tuma persa, rispondo io. È ottenuto da latte vaccino che viene stagionato per otto-dieci mesi. Acquisisce molte delle sue caratteristiche organolettiche proprio durante la stagionatura. Sarà il clima, saranno i pascoli, sarà il latte. Ma non assomiglia a nessuno dei formaggi siciliani. La sensazione al palato è quella della pasta morbida, pastosa, per niente salata. Il primo impatto è piccante poi vira verso il dolce. Con una persistenza lunghissima. Tanto che se dopo averla mangiata magari a fine pasto poi ci bevi un caffè dopo un po’ rispuntano i sapori del formaggio, il fieno, la dolcezza. La nota burrosa. Non esagero”.

Quanto ne produci?
“La produzione varia, ma all’incirca negli ultimi tre anni tiriamo fiori sei-settemila forme l’anno. Ogni forma è di circa sette chili. Quest’anno non sappiamo quanta ne produrremo”.

Tre clienti della tuma persa che vuoi citare?
“Tre? Te ne dico sei. Un piccolo negozio gestito da un grande personaggio, come Gino Armetta in via dei Quartieri a Palermo. Poi Andrea Graziano, il patron di Fud con locali a Palermo, Catania e Milano. E ancora: la società Valsana di Piave che distribuisce formaggi di qualità nel Triveneto. E Dallatte a Napoli, altro negozio gourmet. E per concludere due chef a cui mi lega una grande amicizia. Pino Cuttaia della Madia a Licata. E Giovanni Guarneri del Don Camillo a Siracusa”.

Come diventi produttore di formaggio?
“Per colpa della mia gola. Amo i formaggi. L’infinita passione nel mangiarli mi porta a giocare e sperimentare. Nell’89 nasce il fior di garofalo, o fiore sicano, altra mia creatura da latte vaccino a pasta molle a crosta fiorita che mi ha dato grandi soddisfazioni e continuo a produrla”.

Come sta il formaggio siciliano?
“Nelle mani di nessuno”.

Perché?
“Perché siamo da sempre individualisti. E quando qualcuno cerca di mettersi in mezzo in modo sano e pulito gli altri pensano che alla fine resteranno fregati. C’è troppa diffidenza. E da soli non si va da nessuna parte. Ecco, manca compattezza”.

Eppure c’è tanta storia, quattro Dop, quasi cinque… un grande patrimonio…
“Tutto questo lascia il tempo che trova. Però i formaggi buoni, buonissimi, non mancano. Ti faccio un esempio. Il pecorino siciliano potrebbe fare moltissimo di più. Per la promozione di questa Dop i produttori riescono a ottenere pochi quattrini, alcune migliaia di euro. Quelli del Parmigiano Reggiano invece ottengono milioni di euro. E li spendono anche bene. La quantità della produzione ovviamente non è confrontabile. Ma ci si potrebbe arrivare. Tutto questo è colpa di chi gestisce le Dop siciliane”.

Ti piacciono tutti i formaggi siciliani a marchio Dop? Il Pecorino, il Piacentino, il Ragusano, la Vastedda del Belice. E tra poco anche la Provola dei Nebrodi…
“Sono tutti buonissimi potenzialmente. Ma dipende da come vengono prodotti. Preferisco il ragusano stagionato e il pecorino. Ma solo se fatti bene”.

Altri formaggi in Italia che ti piacciono molto?
“Parmigiano Reggiano, in cima alla lista. Numero uno. Poi il Monte Veronese. E il Gorgonzola, quello duro. C’è ancora qualche artigiano bravo”.

Ma è vero che noi italiani non sappiamo mangiare il formaggio?
“Diciamo che al Nord hanno più cultura. Per noi tuttora vige l’idea che il formaggio sia un companatico. Non è così. Ma qualcosa sta cambiando anche al Sud. Sono molto fiducioso”.

Fabrizio Carrera