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Le interviste della domenica

Le interviste della domenica/3. Spadola: “Un caffè buono? Vi svelo il modo per capirlo”

19 Aprile 2020
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Buongiorno Sandro, come trascorri le tue giornate?

“Lavorando. Dal primo giorno mi sono organizzato lavorando da casa. La tecnologia digitale per fortuna aiuta molto. Siamo isolati a casa da oltre un mese e l’altro giorno confidavo a un amico che non sto soffrendo molto. Forse sono più impegnato di prima. E gli dicevo: sono cambiate le strategie delle nostre giornate lavorative”.

In che senso?
“Sino a pochi giorni fa si cercava di vendere, vendere, vendere. Ora invece stiamo cercando di pensare alle strategie, all’organizzazione, a tutti quei lavori di ammodernamento che un’azienda delle nostre dimensioni deve ottemperare. E quindi nuovi progetti di automatizzazione sia nella parte produttiva ma anche in quella dell’amministrazione e poi l’e-commerce. Che non può più tardare”.

Ti senti dentro un film di fantascienza in questo periodo?
“Beh, diciamo di sì. Ma per carattere guardo sempre al lato positivo delle cose. C’è sempre un lato positivo. Ad esempio in questi giorni sto valutando il fattore tempo. Cambierà il modo di gestire il tempo. Perché stiamo scoprendo che prima per risolvere una situazione o gestire un aspetto legato alla vita della tua azienda dovevi prendere un’auto o un aereo. Adesso puoi fare tutto con una videochiamata. Questo momento ci porterà ad aumentare la produttività personale. E sarà un vantaggio”.

Lo stile di Sandro Spadola è molto british. Lo senti anche quando parla del calo di fatturato inevitabile che lo aspetta a fine anno. Riflessivo senza esagerare, una passione per i viaggi e il fitness, è l’amministratore delegato della Moak, azienda di caffè con sede a Modica, in provincia di Ragusa. Lui rappresenta assieme alla sorella Annalisa, che è a capo del marketing e della comunicazione (“un ruolo fondamentale”), la seconda generazione di questa società che in poco più di 50 anni è un marchio di riferimento, una realtà produttiva molto dinamica che oggi fattura 19 milioni, conta 65 dipendenti, produce circa 2.500 tonnellate di caffè all’anno e la quota export, crescente di anno in anno, oggi è del 30 per cento. Se dici Moak, insomma, stai citando un’azienda dalla reputazione alta. A confermarlo la presenza del loro marchio tra i migliori bar italiani, gli accordi per la somministrazione in alcuni aeroporti dove spicca il logo, l’avere tra i clienti anche chef di fama, alcuni stellati. E mentre si parla con lui di miscele, filtri e moka borbottanti, immaginare l’aroma e il sapore di un espresso – che per ora ci manca moltissimo – è un passo.

A cosa state puntando nel breve e medio periodo?
“Alle capsule. È un mercato che cresce a due cifre da qualche anno, un mercato maturo. Ma c’è anche tanta confusione. Tanti produttori. Ed è il momento di delineare chi fa qualità e chi no. Per noi è un momento propizio. Chi proviene dal canale horeca sa cosa deve fare. Faremo la differenza con chi improvvisa per garantire una tazzina perfetta”.

(Sandro Spadola con il papà Giovanni e la sorella Annalisa. La famiglia è proprietaria di Caffè Moak)

Come nasce la Moak?
“Nel 1967 per una intuizione di mio padre che ha sempre apprezzato il buon caffè. Ha capito subito che la strada dell’alta qualità poteva garantire una prospettiva. La prima sede era una stanza di trenta metri quadri”.

Qual è la vostra idea di caffè?
“Abbiamo un obiettivo. Soddisfare il palato del consumatore. E lo facciamo diversificando l’offerta. Il canale horeca per esempio può disporre di dieci miscele. Così da poter avvicinare il palato del consumatore ai diversi gusti”.

L’Italia non è tutta uguale, neanche nel prendere il caffè. Vero?
“Sì, è così. Il Nord beve un caffè più leggero. Dolce. Al Sud si cerca un caffè cremoso che abbia struttura”.

Nel vino una certa acidità è sinonimo di qualità. Vale anche per il caffè?
“Sì, vale anche per il caffè. I migliori caffè hanno un’acidità marcata. Ma non sempre le acidità sono gradevoli. A volte non basta”.

Dicono che in questo momento uno dei desideri maggiori per un italiano è prendere un caffè al bar. Siete la coperta di Linus…
“È vero. Quello degli italiani e del caffè è una grande storia d’amore. Ma penso che si tornerà al bar e spero che non debba passare ancora troppo tempo. Unica problematica sarà il distanziamento. La gestione degli spazi andrà rivista. E noi siamo già al lavoro per dare supporto ai nostri clienti”.

La gente si fiderà di una tazzina?
“Il rischio tazzina non c’è. Non mancano i prodotti e gli strumenti per sterilizzare ogni cosa. Certo, ci sarà timore soprattutto all’inizio. Ma la tazzina non scomparirà”.

Quanto caffè consuma un italiano? Una stima parla di dieci milioni di caffè al giorno… quanti a casa e quanti fuori casa?
“Dieci milioni? Credo siano molti di più. In ogni caso due terzi consumano il caffè in casa, l’altro terzo fuori casa. E dei due terzi consumato a casa il 15-20 per cento utilizza le capsule”.

Quindi la moka resiste?
“Altro che. Quello della moka è un rito bellissimo e intramontabile. È uno dei simboli del nostro lifestyle”.

Consumi in aumento?
“L’anno scorso l’Italia ha registrato un leggerissimo aumento. Che è un buon segno perché si è invertita una tendenza al calo”.

È vero che al nord Europa si beve più caffè?
“Sì. Non siamo noi quelli che consumiamo più caffè. Ma perché cambia la tecnologia. Noi lo prendiamo concentrato in un espresso dove ci sono sette grammi di caffè. Loro nei caffè filtro arrivano anche a dodici grammi. Ma il caffè è molto più lungo, vere e proprie caraffe. E siccome la miscela prevalente è l’arabica, ovvero quella con il più basso contenuto di caffeina, riescono a berne di più”.

Ma i caffè filtro attecchiranno anche in Italia?
“Sì. Sono convinto che prenderanno piede con le nuove generazioni. Che sono più aperte alle novità. Non so quanto inciderà domani, però accadrà”.

Il valore del caffè sta crescendo? I prezzi all’ingrosso sono cresciuti del venti per cento. Federico Rampini su Repubblica ha scritto “chiusi in casa, siamo tutti caffeinomani”.
“È una realtà dettata dai fondi di investimento. Che stanno credendo molto nel caffè. E una commodity che dà una certa sicurezza. E le loro acquisizioni e le loro vendite determinano le oscillazioni. Noi subiamo il fenomeno”.

Perché nel sud Italia la gente prende il caffè che sa di bruciato e non protesta? È un’abitudine?
“È vero. Ma ho una spiegazione. È un fatto che nasce dalla storia del Sud. Dove il lavoro agricolo, quello dei campi è stato in passato prevalente, duro e faticoso. Immagino così che chi lavorava aveva bisogno di una forte carica. Poi, diciamolo, l’uomo del Sud è meno votato al cambiamento. Li acquisisce ma più lentamente. E poi diciamo pure che spesso il consumatore non sceglie. È il barista che sceglie per lui. E quindi bisogna partire da loro per cambiare l’atteggiamento. Negli ultimi cinque anni in Sicilia una nuova generazione di baristi si sta facendo avanti. È cresciuta tantissimo. E noi siamo al loro fianco. Servono narrazione, formazione, e comunicazione all’utente finale. Dobbiamo spiegare che il consumatore deve essere coinvolto. Il vino lo ha fatto. Ed anche bene. Ora tocca al caffè. Gli stranieri hanno avuto un approccio al caffè diverso e sono stati più aperti ai cambiamenti”.

Descriviamo i segreti per capire che l’espresso che stiamo bevendo è molto buono?
“Il caffè buono deve avere innanzitutto equilibrio. Non deve avere picchi. Spesso al Sud è troppo amaro. Se è troppo amaro o non è fatto bene o non è buono. Anche l’acidità. Se è troppa non va bene. Magari è una miscela arabica ma non è di qualità eccelsa. E allo stesso modo se è troppo liquido non va bene. Un po’ di corpo è necessario”.

Dire arabica non vuol dire caffè buono?
“Oggi ci sono eccellenti robusta che sono nettamente superiori a pessimi arabica”.

Progetti Moak a breve e medio termine?
“Capsula e macchinetta con progetti molto innovativi. Lo dicevamo prima. E poi forte prevalenza dell’e-commerce. Il canale horeca è fondamentale. Ma ora puntiamo anche a diversificare. Moak vuole arrivare nelle case degli italiani. Porteremo il caffè a casa loro. Mentre mi piace citare la certificazione Igo Green ottenuta grazie al fatto che tutta l’energia utilizzata in azienda, sia quella auto-prodotta sia quella acquistata, arriva da fonti rinnovabili a zero emissioni”.

Quanti caffè prendi in un giorno?
“Fino a sette. Troppi? Se sono buoni e fatti bene non sono troppi”.

Fabrizio Carrera

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