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L'intervista

Licia Granello: ecco come sta l’enogastronomia in Italia

15 Giugno 2012

Fare il pane è la sua più grande passione.

Ama i buoni vini, l’ultima cena di Leonardo e un verbo francese: se régaler. Si commuove sempre quando pensa alla storia di una delle donne ritratte nel suo ultimo libro: la storia della sua amica Luisa – cuoca affermata con tre stelle Michelin – ma con un’infanzia piena di spine alle spalle.

Licia Granello, firma de La Repubblica, autore della doppia pagina I Sapori, food editor e docente di Antropologia Alimentare all’Università di Napoli, si occupa di alimentazione a 360 gradi. E’ una narratrice instancabile, appassionata con un eloquio a volte divertente, a volte malinconico, ma sempre inesauribile, sincero e originale.

L’abbiamo incontrata, a Palermo, nella cornice della Galleria di Arte Moderna, in occasione della presentazione del suo ultimo libro edito da Rizzoli Il Gusto delle Donne, il mestiere della tavola in venti storie al femminile.    

Come sta l’enogastronomia in Italia?
“Sta benissimo. Direi che non è mai stata così bene per maturità, personalità e coscienza della propria bravura. Credo che non si sia mai mangiato così bene in Italia, questo è un riconoscimento che ci viene dato anche all’estero dove i cuochi italiani sono sempre più apprezzati. Se non fosse per la terribile crisi economica che stiamo vivendo, sarebbe un momento di vera gloria per la nostra cucina”.

Come possiamo difenderci dalla fretta imperante nelle nostre vite, che a volte impone una cucina usa e getta in cinque minuti?
“La spesa media delle famiglie italiane continua a scendere da una parte a causa della crisi, dall’altra per la perdita di cultura e di una mancanza di attenzione nei confronti del cibo. Sale il mercato dei surgelati e dei precotti, che comunque costano tantissimo. Si fanno quindi i conti della spesa, ma si fanno in modo sbagliato. Per risparmiare veramente  bisognerebbe comprare tutto crudo e tutte materie prime. Poi ci si scontra con il tempo, che è il vero lusso del terzo millennio e allora magari acquistiamo l’insalata a 20 euro al chilo pur di averla già pulita. Il gioco vale la candela?”.

A tavola quale vino preferisce?
“A me il vino piace tutto, purché buono. Ma se voglio sedurre ed essere sedotta scelgo, per esempio, il vino della mia amica Silvia Imparato, il Montevetrano, che è quello che amo moltissimo perché c’è Cabernet, c’è Merlot e Aglianico. E’ un vino morbido, carnale, avvolgente. Un altro vino così è il Sarmassa della Anna Bona: questi sono vini da meditazione, fatti per essere gustati con calma e attenzione. C’è un verbo francese bellissimo, se régaler, un verbo dedicato soltanto alla enogastronomia: vuol dire farsi un regalo. Ecco questi due vini, per me, rappresentano davvero un bel regalo”.
          
Per vent’anni si è occupata di calcio per poi passare all’enogastronomia. Dietro questa passione  ci sono ricordi, memorie legate anche alla sua infanzia?
“Sì certamente. C’è una memoria di gusto, di odori e sapori. Il cibo è sacro, è condivisione spesso lo dimentichiamo. Cristo sceglie di mangiare e bere con gli apostoli prima di affrontare la sua Passione. Nel suo essere condiviso il cibo diventa anche comunicazione come avviene nella famosa tela di Leonardo. Ma il cibo è anche il frutto della fatica dell’uomo. Chiunque abbia visto come si svolge la raccolta delle olive o si è alzato alle quattro del mattino per la raccolta della cagliata del Parmigiano, sa che dietro il cibo buono c’è fatica e sudore”.

Oggi è una firma prestigiosa del modo gastronomico. In quanto donna ha trovato difficoltà ad affermarsi?
“Nel mondo enogastronomico no, ma all’inizio della mia carriera sono stata guardata con sospetto dal mondo del calcio. Sono stata comunque molto fortunata perché dopo un anno di collaborazione con TuttoSport sono stata chiamata dal quotidiano fondato da Scalfari, dove è stata pienamente riconosciuta l’amore per la mia professione. La passione è l’anima dell’esistenza. Vivere senza passione è una cosa molto triste. Passione, per me, è mettersi in gioco e anche sbagliare”.

Il suo ultimo libro è un ritratto di donne legate a filo doppio alle loro radici e alla loro memoria. Che peso ha la memoria nella storia delle donne che ha raccontato?
“La memoria è il filo conduttore del mio libro. Conoscere le proprie radici, sapere da dove veniamo e chi siamo è il bello dell’esperienza. Ognuno di noi è una storia da raccontare, un universo fatto di relazioni e di affetti che ci hanno cambiato, anche grazie alle persone che sono entrate nelle nostre vite per poco o per tanto, non importa. Noi siamo un prodotto culturale fatto di tempo, di incontri anche sbagliati e di memorie condivise. Questa è stata la chiave, che ha unito tutte le donne di cui parlo. Trovo meravigliose le storie delle persone, alcune sono state più commoventi di altre come quella di Luisa Valazza, ma tutte mi hanno toccato profondamente e mi hanno insegnato qualcosa. Hanno dato vita ad uno dei tanti paesaggi possibili dell’anima”.                     

Rosa Russo