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Scenari

“Il ghiaccio per i nostri cocktail è fuori legge”

11 Luglio 2016
ghiaccio ghiaccio

di Manuela Zanni

In estate il consumo di ghiaccio, già prodotto in abbondanza durante tutto l'anno, aumenta in maniera esponenziale e con questo incremento crescono anche i rischi strettamentecorrelati alla sua produzione.

Ciò avviene perchè la modalità attraverso la quale il ghiaccio viene prodotto e conservato fino al momento della sua erogazione all'utente finale fino ad oggi non era mai stata regolamentata e quindi è sempre avvenuta in maniera arbitraria. L'Università di Palermo a un anno dal recepimento, da parte del Ministero della Salute, del primo “Manuale di corretta prassi operativa per la produzione di ghiaccio alimentare”, inedito in Italia e in Europa, ha condotto una ricerca sui “cubetti” di ghiaccio casalinghi e industriali utilizzati da bar e pub che ha evidenziato la necessità di rispettare (e far rispettare) con maggior rigore le norme igieniche che regolano tutti i passaggi produttivi legati al ghiaccio che deve essere consifderato alla stregua di un alimento e, come tale, sottoposto alle regole di Haccp per la sicurezza alimentare.

Lo studio è stato condotto dal gruppo coordinato dal professore Luca Settanni, professore associato di microbiologia agraria presso la facoltà di Scienze Agrarie e Forestali dell'università di Palermo, che ha messo a confronto il ghiaccio prodotto da 5 industrie di settore, da 5 attività di ristorazione (autoproduzione), infine da 5 freezer casalinghi.

“Ci siamo occupati del ghiaccio,considerandolo una matrice che, dal punto di vista della selezione e della sopravvivenza di microrganismi contaminanti, ha ancora molto da raccontare – dice Settanni -. Tutti i dati saranno disponibili per Novembre, quando saranno presentati a Barcellona al “Food Factor”, il congresso che  riunisce ricerca universitaria e industriale sui temi della sicurezza di filiera per cibi e bevande, della sostenibilità ambientale e della prevenzione degli sprechi”.

In particolare sono state esaminate le tre aree produttive principali del ghiaccio, cioè l’industria, i Bar/Pub e i freezer di casa scelti in modo random. Da qui sono stati prelevati, in due tornate successive a distanza di un mese, i campioni di cubetti da analizzare una volta liquefatti. Le analisi hanno rilevato che tutti i cubetti di ghiaccio esaminati ospitavano batteri anche se in quantità e di tipologia diverse e che, in base agli standard stabiliti dal “Manuale di corretta prassi operativa per la produzione di ghiaccio alimentare” possono essere definiti tutti “fuori legge”. Benché le concentrazioni rilevate in questa campionatura possano essere efficacemente neutralizzate dal sistema immunitario di adulti sani. Ciò che non sempre accade nelle persone fragili come i bambini, gli anziani, o i soggetti con ridotta capacità di difesa immunitaria e questo rende indispensabile capire quali sono i passaggi produttivi a maggior rischio.

“E’ importante considerare che in tutti i 15 campioni esaminati sono presenti contaminanti tipici delle tubature – precisa Settanni – ciò evidenzia quanto sia sempre opportuno proteggere i contenitori in cui si fa il ghiaccio di casa dal contatto con il diverso contenuto alimentare del freezer, così come dalla sfarinatura della brina, che imprigiona le particelle di polvere e cibi”.

A tal proposito si è espresso anche l'Istituto Nazionale per il Ghiaccio Alimentare (Inga) il cui presidente Carlo Stucchi ha commentato: “L’autoproduzione di ghiaccio per la ristorazione si aggira sulle 200 mila tonnellate annue mentre Il ghiaccio di provenienza industriale, invece, ha ancora una quota minoritaria, producendo circa 20 mila tonnellate all'anno. Alla luce di questi dati, i risultati della ricerca condotta all’Università di Palermo assumono particolare rilevanza poiché dimostrano che la produzione del ghiaccio per uso alimentare deve essere meglio tutelata, soprattutto per quanto riguarda l’autoproduzione destinata alla ristorazione collettiva. A garanzia del consumatore, é buona prassi, dunque, che l´autoproduzione nei locali pubblici rientri all´interno delle procedure Haccp e che la produzione del ghiaccio venga inserita all´interno di tale manuale. In alternativa il ghiaccio per uso alimentare puó essere acquistato presso ditte specializzate, aziende produttrici di ghiaccio alimentare confezionato certificato. Occorre, quindi, un’azione più incisiva da parte delle Istituzioni quali  L’Assessorato alla salute della Regione Sicilia che si  è impegnato per l’attivazione di controlli più capillari sul territorio da parte di Nas e Asl anche nelle piccole realtà di autoproduzione”.

Aggiunge Leopoldo Lipocelli dell’Inga: “Rispetto agli altri paesi d’Europa, in Italia siamo molto avanti sulla tematica del ghiaccio, ma il concetto che va fatto comprendere è questo: utilizzare acqua potabile per fare il ghiaccio non vuol dire avere ghiaccio pulito e non contaminato. Ci sono tanti passaggi in cui il ghiaccio può venire contaminato. Immaginiamo in un bar: il barista che prende i cubetti con le mani, o li spacca sul bancone. Ogni anno viene stimato un consumo di ghiaccio di 200 milioni di chili: il ghiaccio è un alimento e deve essere gestito in maniera adeguata”.
 
Insomma il rischio esiste, ma lo studio è ancora in fase embrionale per lanciare l’allarme: “Attenzione – dice Simone De Martino dell’Inga – al messaggio che viene trasmesso. E’ vero che il ghiaccio che è stato campionato non rispettava i parametri previsti dalla legge, ma è anche vero che è presto per dire quanto sia pericoloso. Al momento la cosa più sicura è quella di affidarsi alle aziende che producono ghiaccio certificato, per non togliersi il piacere di un cocktail ghiacciato in queste afose giornate estive”.