Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Scenari

Quasi il 70 per cento del cibo etnico venduto in Italia non è sicuro

17 Maggio 2018
Le_mani_nel_piatto_il_tavolo_degli_operatori Le_mani_nel_piatto_il_tavolo_degli_operatori


(I relatori del convegno)

di Michele Pizzillo, Bari

Uno spaccato sulla sicurezza alimentare è stato offerto da un interessante convegno organizzato presso la facoltà di Veterinaria dell’ateneo di Bari da una serie di soggetti come la Presidenza della regione Puglia, Università degli Studi di Bari, Slow Food Murge, l’associazione Il Sogno di Arlecchino che si interessa di ricerca e tutele delle biodiversità. 

Dal convegno – tema: Le Mani nel Piatto – è emerso che per il 68% degli italiani il cibo etnico – il 50% è rappresentato dal kebab e il 40% è dalla cucina cinese – non è sicuro. Peccato, rivela il sondaggio che ha preceduto il convegno, che solo il 20% della ristorazione o take away di cibo etnico sia gestito da stranieri, mentre l’80% è in mano ad italiani. Quindi, come la mettiamo? E’ il grande interrogativo che ha caratterizzato il convegno barese “Le Mani nel Piatto”. A tentare di dare una risposta gli esperti che si sono riuniti nell’Aula Magna di della facoltà di veterinaria,  sotto la guida del direttore scientifico, Michele Polignieri. Prima domanda. Chi sono i nuovi “guru” tv e internet del food? “Andrebbe richiamata l’attenzione dell’Autorità Competente sul rischio che la manipolazione sia percepita, come una “ability”, un mero fatto ginnico, legato cioè alla mera maestria di questo o quello chef, ma svuotato delle peculiari e necessarie proprietà culturali legate al cibo, che il pubblico pagante richiede”, ha fatto notare Polignieri. Poi l’affondo: “L’aver delegato, da parte di una fetta dell’opinione pubblica, la garanzia sul concetto di qualità al favore o meno di una pattuglia male assortita di “recensori” affollanti il caleidoscopico orizzonte delle guide ai ristoranti e guida alle osterie in particolare, espone la salute pubblica a lacune, se non addirittura sofferenze”.

“Col cibo viaggiano anche i rischi tipici di alcuni sistemi sociali e di determinati areali. Quanto più si tende a globalizzare, tanto più la tracciabilità e la rintracciabilità deve essere puntuale, precisa e rigorosa per evitare che i pericoli siano, poi, fonte di rischio per i consumatori e magari per le fasce più deboli come i bambini, gli anziani oppure le donne in attesa. Se si possono accettare nuovi alimenti, le varie fusion gastronomiche e sensoriali nonché le commistioni di ingredienti e ricette, non è assolutamente negoziabile – ha affermato Alberto Ritieni, docente nell’Università di Napoli – né la sicurezza degli alimenti né una maggiore esposizione dei consumatori a dei rischi dovuti ad una minore tracciabilità delle materie prime, e dei prodotti finiti”. Quindi? Caccia al cibo straniero? Meglio occhi sulle false convinzioni. Perché “Il Paese che ha ricevuto il maggior numero di notifiche per non conformità in materia alimentare è la Turchia, la Cina viene dopo. Però lo scandalo delle uova è arrivato dall’Inghilterra – ha evidenziato Ritieni -. E, quindi, fra vere tradizioni etniche e cibi europeizzati, sul kebab che è in vetta ai desideri degli italiani, è opportuno che ci si soffermi un po’ di più. Il doner kebab è preparato con carni di agnello, manzo e pollame che devono avere il bollo sanitario e che, una volta impilata nello spiedone, deve rimanere congelata a -30° fino al momento della cottura. Questo è il kebab (letteralmente arrosto) moderno, quello nato nel XIX secolo perché in origine era il cibo dei turchi nomadi e gli spiedi erano cotti orizzontalmente sulle braci, con carni insaporite con yogurt ed erbe aromatiche”. Ma le tipicità italiane sono esenti da rischi? Si direbbe proprio di no. Tant’è che la direttrice della scuola di specializzazione ispezione degli alimenti dell’Università di Bari, Marilia Tantillo, tra i tanti episodi, ha ricordato il sequestro di un punto vendita di ricci di mare sulla costa adriatica.


(Dario Dongo)

L’atteso intervento del notissimo Dario Dongo, esperto in diritto alimentare e founder di Great Italian Food Trade (Gift) è stato possibile solo restando fuori dal tavolo dei relatori, perché con la sedia a rotelle non era possibile accedervi. E, quindi, è stato sottolineato che fra le tante lacune c’è anche la scarsa applicazione delle leggi; per cui, qualcuno ha detto “Ma perché in Università ci sono ancora le barriere architettoniche?”.  Dopo questa disgressione, ritorniamo a Dongom che si è soffermato sulla scarsa attenzione sugli allergeni. “Le etichette varate dal governo Gentiloni? Secondo Dongo una presa in giro per le aziende, e per noi consumatori, visto che “deliberatamente è stata interrotta la procedura a Bruxelles”, ha detto deciso Dongo. Per saperne di più, suggeriamo di consultare il suo ebook gratuito “1169 Pene” con notizie aggiornatissime su cibi, controlli e sanzioni.

Nello specifico, poi, si è arrivati ad interrogarsi sui controlli nella ristorazione “che quasi sempre trascurerebbero l’extravergine di oliva. Eppure da più di un decennio c’è la legge anti rabbocco, quella che vieta di servire a tavola bottiglie di olio in cui sia stato versato un contenuto diverso da quello originario. Peccato che finora non sia mai stata elevata una sanzione. Olio rabboccato, in frode, significa che ha disperso il suo corredo olfattivo e, soprattutto, le sue proprietà nutraceutiche”, ha sottolineato Maria Lisa Clodoveo. E, qui, si apre un altro capitolo, perché Michele Troiano, direttore Servizio Igiene degli Alimenti di Origine Animale Asl Ba Macroarea Nord, ha detto che nella sua struttura (e non è una eccezione) manca il 30% del personale. Come si fa a controllare? Solo repressione, allora? “Forse di organi competenti ce ne sono fin troppi e, di fatto, potrebbe essere più utile una maggiore formazione di chi – davvero – mette le mani nel piatto e cioè gli chef”, ha evidenziato il presidente dell’Unione Italiana Cuochi Michele D’Agostino che rappresenta i 2.500 cuochi della Puglia. La curiosità del sapere a tavola, come ha concluso il presidente di Slow Food Murge Nicola Curci, ha guidato “Le Mani nel Piatto” e dato molte risposte sulla sicurezza alimentare. Ora quel seme, piantato con il contributo dell’Associazione “Il Sogno di Arlecchino”, dovrà essere coltivato.