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Scenari

Gavi Docg, successo senza fine: “Miglioriamo i consumi interni. Nuovi vigneti? Perché no”

07 Agosto 2018
Roberto_Ghio Roberto_Ghio


(Roberto Ghio)

di Michele Pizzillo

Alla presidenza del Consorzio tutela del Gavi, Roberto Ghio, arriva nel momento in cui il grande bianco piemontese è nel pieno del suo vigore produttivo, commerciale e di immagine. 

E, in questa intervista, Ghio – classe 1977, una laurea in filosofia, alle spalle una famiglia di Bosio viticoltori da sette generazioni e, in prima persona, creatore di “Vigneti Piemontemare” con il recupero e l’acquisto di vigneti storici che oggi compongono i 15 ettari vitati della sua azienda agricola -, conferma questo trend positivo del Gavi Docg che con 1.500 ettari di vigneti e 440 aziende tra produttori, vinificatori e imbottigliatori di cui 193 soci del Consorzio, produce 14 milioni di bottiglie, impiega 5.000 persone nell’intera filiera e conta un giro d’affari di circa 60milioni di euro. Questo vino, tradizionalmente vocato all’esportazione –  è presente in 65 paesi – tra gennaio e luglio di due anni fa, per esempio, ha registrato un incremento produttivo del 9,4% (pari a 766.370 bottiglie) rispetto agli stessi mesi del 2015, arrivando a 9 milioni di Al 31 luglio 2015 erano poco più di 8 milioni. Adesso ci si avvicina al traguardo dei 15 milioni di bottiglie. 


(Il laboratorio Gavi)

“Solo 1,5 milioni di bottiglie sono consumate in loco – commenta Ghio – E' un dato che potrei anche dire non soddisfacente perché ritengo che sia opportuno incrementare il consumo di Gavi nel suo territorio di produzione”. E’ un controsenso, visto che tutti i produttori di ogni parte d’Italia spingono per incrementare le vendite sui mercati esteri. Ma, non è così per il Gavi, che sta festeggiando i 20 anni del riconoscimento della Docg con una serie di iniziative di forte impatto culturale – come Gavi for arts, il premio Gavi la Buona Italia, l’appuntamento di fine mese con lo chef Antonino Cannavacciuolo e l’attore Neri Marcorè – e, anche, con l’introduzione della bottiglia del Ventennale che caratterizzare ancora di più il grande bianco prodotto nell’area piemontese a ridosso della Liguria. “E’ una scelta culturale fortemente legata al territorio – spiega il presidente Ghio – Vino e territorio, un legame indissolubile: vogliamo che il consumatore di Gavi sia consapevole che il vino che porta a tavola è prodotto in un’area fantastica, dove sostenibilità è un concetto accettato ancor prima che nel 1947 fosse introdotto nella nostra Costituzione”. E, quindi, per sapere se la scelta di valorizzare il territorio incontra il favore dei consumatori, bisognerà monitorare le vendite di vino nella sua zona di produzione. Più se ne vende in loco, più si è certi che il territorio del Gavi è percorso da nuovi viaggiatori o da chi ci ritorna volentieri. “Noi siamo in condizione di offrire molto a chi ci viene a visitare – sottolinea Ghio – Maurizio Montobbio, che mi ha preceduto alla guida del Consorzio, ha fatto molto per il Gavi; è stato un presidente che dal primo giorno ha fatto quello che dovrebbero fare tutti i presidenti dei consorzi di tutela, valorizzare il territorio”. E Gavi – o meglio tutta l’area di produzione di questo grande bianco – adesso è una denominazione molto familiare, e in tutto il mondo. Oltre ad essere il Consorzio che il concetto di responsabilità sociale è diventato un imperativo per le imprese associate. Tant’è che è stata studiata proprio a Gavi e pronta per essere adottate dalle imprese che vogliono stare sul mercato.


(La bottiglia del ventennale) 

Insomma, Roberto Ghio eredita la guida di una realtà forte e sana, con un export in crescita costante. Perché la politica integrata della filiera condotta finora dal Consorzio Tutela del Gavi, dove la promozione della denominazione procede in parallelo ad una attenta attività di tutela del patrimonio vitivinicolo, ha giovato al territorio che vede anche tornare giovani generazioni di imprenditori agricoli. E’ un successo che parte da lontano, ci spiegava Maurizio Montobbio quando era ancora presidente del Consorzio. E, cioè, con la scelta di continuare a produrre un Cortese autoctono, unico con caratteristiche molto riconoscibili e uno standard di qualità alto, praticamente come facevano i nostri avi – risale al 972 d.c il primo documento che parla di viticoltura a Gavi – che avevano capito che il nostro è un microclima unico: continentale “arricchito” dal vento marino che soffia dalla Liguria attraverso l’Appenino e sa di sale. Un clima che permette la crescita di un vino elegante, fresco, longevo, delicato e molto caratteristico. Una ricchezza che dobbiamo preservare e, contestualmente, continuare ad investire sulla valorizzazione del territorio e sulla produzione e commercializzazione del nostro grande bianco. Aumentando anche la produzione, perché Ghio è intenzionato a chiedere l’ampliamento della superficie coltivata a vigna: “Un incremento che deve essere graduale, con autorizzazioni contingentate e sempre finalizzate a inglobare aree vocate alla coltura del Cortese”.