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Scenari

Slow Food, ecco tutti i nuovi presìdi italiani. La Campania fa il “pieno”

31 Agosto 2018
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Il debutto ufficiale a Terra Madre Salone del Gusto, dal 20 al 24 settembre

Da sempre Slow Food pone la difesa della biodiversità al centro dei suoi progetti con l’obiettivo di tutelare la straordinaria ricchezza del nostro Pianeta. 

Ed è proprio nella nostra Penisola, ricca di prodotti artigianali, tecniche tradizionali, specie autoctone e paesaggi rurali, che già nel 1999, la Chiocciola ha avviato la Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus. Il progetto ha dato vita a uno degli strumenti più forti dell’Associazione: i Presìdi, che sostengono le piccole produzioni tradizionali che rischiano di scomparire, valorizzano territori, recuperano antichi mestieri e tecniche di lavorazione, salvano dall’estinzione razze autoctone e varietà di ortaggi e frutta. In questo ambito, a Terra Madre Salone del Gusto 2018, a Torino dal 20 al 24 settembre, debuttano 22 nuovi Presìdi italiani che vanno ad arricchire lo straordinario bagaglio della Fondazione. Sono otto le regioni che presentano quest’anno una nuova ricchezza da tutelare: Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Toscana, Marche, Campania, Puglia e Sicilia. Ne approfondiamo la conoscenza qui di seguito.

Piemonte – Riso gigante di Vercelli
Iniziamo dal Nord con il Piemonte che quest’anno presenta il riso gigante di Vercelli. Coltivato nella capitale europea del riso, questa varietà è stata abbandonata intorno gli Anni ‘50 per lasciare spazio ad altre più produttive. Oggi alcuni agricoltori l’hanno recuperata per le proprietà nutrizionali e per la resistenza alle malattie fungine. Ottimo per la cottura e la mantecatura, la sua rappresentazione più tradizionale è la panissa vercellese: un risotto con vino rosso, salame della duja, lardo, fagioli e cotica di maiale.

Veneto – Broccoletto di Custoza
Proseguiamo a Est con il Veneto che propone il broccoletto di Custoza. Coltivato solo da otto agricoltori, un tempo era considerato una coltura di recupero per terreni aridi e sassosi. La pianta è facilmente distinguibile da altri broccoli perché non sviluppa il panetto fiorale, tipico di queste specie, ma un cuore centrale di foglie. Si raccoglie a mano e si consuma per intero, compresa la costola che è tenera e non filamentosa. Grazie alle sue caratteristiche e al gusto delicato e leggermente dolce, le famiglie di Custoza lo mangiano semplicemente scottato in acqua bollente, condito con olio extravergine e accompagnato da uova sode e salame.

Friuli Venezia Giulia – Fagiolo di San Quirino
A San Quirino, un piccolo centro del pordenonese, si coltiva fin dall’800 questo piccolo fagiolo dal grande potere economico. Infatti, a quel tempo il suo prezzo superava quello dell’avena e del granturco. Nonostante il loro grande valore, la coltivazione di questi fagioli è quasi scomparsa a partire dal Novecento. Fino a oggi, quando alcuni giovani hanno recuperato la semente e ripreso la coltivazione tradizionale: raccogliendo, essiccando e battendo le piante a mano con bastoni di legno per far uscire i semi dal baccello. I fagioli si lasciano poi asciugare al sole per qualche giorno e si conservano in sacchi di juta.

Friuli Venezia Giulia – Antiche mele dell’Alto Friuli
Nel Friuli Venezia Giulia la coltivazione del melo risale fino ai tempi della dominazione romana. Negli anni, poi, ci sono state varie contaminazioni: alcune varietà erano autoctone, altre importate da friulani emigrati in giro per il mondo. Nell’ultimo secolo la maggioranza di queste mele è stata soppiantata da poche varietà commerciali da reddito. Slow Food ha riunito nel Presidio gli agricoltori custodi di dieci varietà storiche (gialla di Priuso, di corone, ruggine dorata, rosso invernale, chei di rose, naranzinis, striato dolce, zeuka, Marc Panara e blancon) e ha stilato un disciplinare di produzione, che definisce l’area di produzione e prevede tecniche di coltivazione sostenibili.

Friuli Venezia Giulia – Varhackara
Il varhackara è un pesto particolare della provincia di Udine (Paluzza), preparato con lardo bianco, speck, pancetta affumicata e l’aggiunta di qualche erba aromatica. Tradizionalmente è conservato nella pietra e può essere consumato come antipasto spalmato sul pane o sui crostini caldi o, ancora, come condimento per un piatto a base di gnocchi di patate o una pasta tipica friulana che sono i cjarsons. Il prodotto può essere acquistato oggi solo da due produttori e rischia di scomparire presto.

Toscana – Pomodoro canestrino di Lucca
Dalla Toscana arriva il pomodoro canestrino di Lucca, il cui nome è legato alla forma a canestro. Una varietà tanto apprezzata in passato che ogni famiglia della zona conservava gelosamente i propri semi. Questo ha permesso di mantenere una buona variabilità genetica e, oggi, grazie agli ultimi superstiti custodi delle sementi, di salvare la varietà. Il Presidio nasce per valorizzare il canestrino, anche detto “costoluto” o “cresputo”, e distinguerlo dal più comune cuore di bue, un cugino ibrido e per questo di più facile coltivazione.

Toscana – Olivo quercetano
L’olivo quercetano è una varietà autoctona della località di Querceta (Lu) che oggi rischia l’estinzione a causa dell’urbanizzazione che ha ridotto la coltivazione a piccoli fazzoletti di terra tra le case. A causa delle piccole dimensioni delle olive e del rapporto polpa-nocciolo sfavorevole rispetto ad altre varietà, l’oliva quercetana è attaccata in ritardo dalla mosca delle olive e quindi consente di ottenere un olio di qualità superiore. La sua produttività non è sempre costante, ad annate buone si succedono annate molto scarse ma la qualità dell’olio resta sempre eccellente.

Marche – Anice verde di Castignano
Nelle Marche l’anice è consumato e commercializzato già dal ‘700 e la sua coltivazione è molto diffusa in particolare nel Piceno. In questa zona l’esposizione soleggiata e le fresche correnti permettono di selezionare un ecotipo di anice verde più ricco in profumo e dolcezza, grazie alla straordinaria concentrazione di anetolo (il composto aromatico dell’anice e del finocchio) pari al 94%. Oltre al liquore all’anice, simbolo della regione, classico è anche l’utilizzo in tisana, come decotto, e la trasformazione in latte di anice, che si ottiene pestando i semi e lasciandoli in infusione per 5 minuti nel latte bollente.

Marche – Fava di Fratte Rosa
A Fratte Rosa, piccolo paese tra le colline pesaresi, gli abitanti sostengono che le fave migliori siano quelle coltivate sui lubachi, i terreni ricchi di argilla bianca che hanno dato origine a due produzioni tipiche del posto: i “cocci” di terracotta e le fave. Nei secoli, i contadini hanno selezionato un ecotipo dal caratteristico baccello corto contenente in media quattro semi dal gusto dolce e teneri anche a piena maturazione. Per decenni le fave sono state un alimento base per la popolazione locale: fresche o secche erano ingrediente di varie ricette casalinghe, trasformate in farina, miscelata con la farina di grano, servivano per produrre pane e pasta.

Campania – Pecora laticauda
Il nome della pecora laticauda fa riferimento alla larga coda che la caratterizza e le serve da riserva di grasso e acqua. Questo ovino, di grandi dimensioni, è frutto di vari incroci, tra cui quello tra la pecora nord-africana, detta barbaresca, e la pecora appenninica locale. Il prodotto più pregiato della razza è l’agnello che ha un’alta resa alla macellazione e le cui carni sono prive del tipico odore ircino degli ovini. Oltre a produrre buone quantità di formaggi, la laticauda è particolarmente conosciuta per gli ammugliatielli, tipici involtini preparati con il quinto quarto.

Campania – Fusillo di Felitto
Il fusillo di Felitto è un cilindro cavo di pasta all’uovo dalla lunghezza compresa tra i 18 e i 22 cm. Viene fatto completamente a mano dalle donne del paese del salernitano che danno la forma alla pasta servendosi di un ferro finissimo: una tradizione secolare, tramandata oralmente di madre in figlia fino ai giorni nostri. Oggi questa pasta è molto famosa e ricercata ma la produzione è scarsa. I fusilli sono una ricchezza artigianale della zona che potrebbe presto scomparire insieme alle poche donne che ancora ne custodiscono il segreto.

Campania – Fico monnato di Prignano Cilento
Da secoli il territorio intorno a Prignano Cilento (Sa) regala agli abitanti il fico monnato, meglio conosciuto come fico bianco del Cilento. I produttori hanno sviluppato una tecnica di essicazione unica: si sbucciano a mano i fichi prima di farli essiccare facendo attenzione a non incidere la polpa. Per questo sono detti monnati, ovvero mondati nel dialetto locale. Segue, poi, l’essiccazione: i frutti interi sono sistemati su graticci di canne, esposti al sole e al vento dalla mattina fino a poco prima del tramonto e girati a mano più volte, affinché l’essiccazione sia omogenea. Il Presidio riunisce i pochi produttori che ancora praticano questa complessa lavorazione.

Campania – Pomodorino verneteca sannita
Coltivata nelle zone pedemontane dell’appennino sannita (Benevento), la verneteca sannita è piccola e tonda di colore giallo. Entro poche ore dalla raccolta i pomodorini sono intrecciati e legati con lo spago, formando grappoli dorati che vengono poi appesi in luoghi areati e riparati, come balconi e tettoie, dove si conservano fino alla primavera successiva. Infatti, grazie alla consistenza della buccia, si mantiene all’aria aperta e si può consumare crudo durante l’inverno; da qui il nome di vernino o verneteca.

Campania – Antico aglio dell’Ufita
La valle del fiume Ufita, nell’Appennino avellinese, è una zona particolarmente vocata alla coltivazione di aglio fin da tempi immemori. Qui cresce il Presidio dell’antico aglio dell’Ufita che si caratterizza per l’alta concentrazione di allicina (il composto solforganico dell’aglio). Infatti l’aroma e il sapore di questa varietà sono molto intensi, così come la piccantezza, che facilita anche la conservazione dei bulbilli. Nella cucina irpina l’aglio dell’Ufita è l’ingrediente principale di alcune preparazioni tipiche come la frittata di aglio fresco, la ciambuttella di Grottaminarda e gli spaghetti alla chitarra aglio, olio e peperoncino.

Campania – Noce della penisola sorrentina
Le noci di Sorrento erano coltivate già dai Romani. Lo testimonia anche il nome di alcune località: il Comune di Piano di Sorrento, ad esempio, è conosciuto anche con il nome di Caruotto, dal greco charouon, che significa noce. La varietà che cresce in questa zona è molto pregiata per via del gheriglio voluminoso, tenero, croccante e del sapore gradevole e delicato. Inoltre, il gheriglio, a differenza di altre varietà, può essere facilmente estratto integro. Per queste sue qualità la noce sorrentina è molto apprezzata dai pasticceri della zona per la preparazione di biscotti, torroni e semifreddi. Famoso è anche il liquore chiamato nocino.

Campania – Vecchie varietà di albicocche del Vesuvio
Delle circa cento cultivar riportate nella letteratura ne sono state rintracciate una settantina, ma solo una quindicina è ancora presente in campo, in un’area del Vesuvio gestita da aziende di piccole dimensioni. Estremamente dolci, di qualità organolettica superiore alle varietà moderne, ma più delicate e deperibili, sono di difficile gestione nei mercati ortofrutticoli. I nomi sono curiosi, solo per citarne alcuni: boccuccia, vicienzo e’ maria, vitillo e cafona. Queste varietà testimoniano l’intensa attività di selezione svolta nei secoli dai contadini per ottenere il meglio da una delle risorse più redditizie di questa terra.

Campania – Fagiolo quarantino di Volturara Irpina
Nell’altopiano irpino, ai piedi del monte Terminio (Av), si coltiva un fagiolo bianco, tenero e leggermente farinoso, detto anche quarantino per la durata del suo ciclo di maturazione. La coltivazione manuale e laboriosa di questa varietà ha impedito la sua produzione su vasta scala e, poco per volta, ha ridotto drasticamente il numero dei produttori. I fagioli si conservano aggiungendo pepe nero e spicchi d’aglio e sono ingrediente di numerose zuppe e minestre della tradizione di Volturara. Un piatto, in particolare, è simbolo di questa zona: i fagioli con cotiche di maiale e castagne serviti caldi sul pane raffermo.

Campania – Cece di Teano
Il cece di Teano (Cs) è piccolo, color nocciola, ha pelle sottile e superficie rugosa. Per questo è anche conosciuto come “cece piccolo riccio”. Sono pochi gli agricoltori che hanno conservato i semi di questa varietà e che continuano a coltivarla. Con il Presidio nuovi produttori si sono fatti avanti e ne hanno ripreso la coltivazione, ma questa varietà antica è ancora a rischio di estinzione. In questo territorio è coltivato da sempre per il consumo familiare e, fino agli Anni ‘60, era ingrediente base della cucina contadina: nelle zuppe, nelle passate, con la pasta. Il piatto tradizionale più noto prevede tagliolini tirati a mano conditi con ceci, sugo di pomodoro e salsiccia di maiale nero teanese.

Campania – Pisello centogiorni
Coltivato nell’area del Vesuvio da almeno un secolo, il pisello centogiorni deve il suo nome alla durata media del ciclo produttivo. Tutte le fasi della produzione avvengono manualmente, dalla semina alla raccolta dei baccelli freschi. I piselli, che si mangiano verdi o secchi, sono molto apprezzati per la loro estrema dolcezza e la consistenza tenera della buccia. Ingrediente cardine della minestra di pasta e piselli napoletana, vengono fatti cuocere con cipolla e pancetta prima di aggiungere i classici tubetti o pasta mista.

Puglia – Pomodoro giallorosso di Crispiano
Nel cuore della provincia di Taranto, immerso tra colline e ulivi secolari, nell’area agricola più fertile della Puglia, le famiglie di Crispiano coltivano da secoli il pomodoro giallorosso. Forma tondeggiante, polpa morbida e buccia spessa, ha un colore aranciato che sembra non arrivare mai a maturazione completa. I pomodori giallorossi sono ottimi in insalata, per preparare sughi e come condimento delle frise.

Puglia – Pomodorino di Manduria
Il pomodoro di Manduria ha una resa bassa rispetto agli ibridi commerciali e richiede molto lavoro. Perciò, nonostante le ottime caratteristiche organolettiche, è stato via via sostituito da coltivazioni intensive. Il seme, rintracciato grazie ad alcuni agricoltori anziani che lo avevano gelosamente custodito, è ora un Presidio che coinvolge anche alcuni giovani produttori, tutti certificati bio. Alcune famiglie, ad agosto, lasciano appassire i pomodori su graticci di canne mentre, con i frutti più maturi, si prepara la passata. Tradizionalmente il pomodorino di Manduria si mangia fresco insieme al cetriolo carosello o nella jatedda, un’insalata a base di pomodorini freschi, aglio, olio, sale, capperi e origano con cui si condiscono le friselle.

Sicilia – Lenticchia nera delle colline ennesi
Infine, dalla Sicilia arriva a Torino la lenticchia nera delle colline ennesi, una delle più caratteristiche per via della colorazione che la distingue dalle altre varietà: tegumento nero, ma interno rosso-brunastro. La sua variabilità genetica – testimoniata dalla presenza frequente di semi non neri – non è un difetto, ma al contrario una ricchezza, che le permette di sopravvivere e adattarsi al cambiamento climatico che sta rendendo queste aree sempre più aride. Grazie alla particolare nota minerale è ottima anche con il pesce, in particolare con i gamberi.

C.d.G.