Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Scenari

Consorzio dell’olio Toscano Igp, occhi al futuro: “Pronti a sbarcare su nuovi mercati”

19 Luglio 2021

di Christian Guzzardi

Nato nel 1997 per volontà di un gruppo di olivicoltori, da circa venticinque anni il Consorzio dell’olio Toscano Igp si occupa della tutela e della valorizzazione, in Italia e nel mondo, del prodotto da cui prende il nome.

Un’attività di grande pregio che è stata ufficialmente riconosciuta dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali nel 2011. A raccontarci la storia, le attività e progetti futuri del Consorzio è Christian Sbardella, responsabile marketing che, dal 2005, si occupa delle attività di comunicazione e promozione. “Negli anni – dice – sono accadute moltissime cose. Inizialmente il Consorzio era nato con l’obiettivo di proteggere il prodotto. Basti pensare che il piano ministeriale per il controllo di conformità della Igp è arrivato solo nel 1998. Prima di allora circa 600 mila quintali di olio venivano spacciati come toscano a fronte di una produzione reale di circa 200 mila. Questo dato allarmò il comparto produttivo spingendolo a ideare uno strumento capace di garantire sia l’autenticità del prodotto, sia la sua qualità e tracciabilità. È grazie a questa volontà che, oggigiorno, l’olio fintamente toscano che si trova in circolazione equivale al massimo a 3 mila quintali all’anno. Quella dei produttori è stata una grande intuizione per la tutela dell’intera filiera. A tal proposito, tengo a sottolineare che il disciplinare obbliga lo svolgimento di tutte le fasi produttive all’interno della Toscana”. Dal lontano 1997 molti altri passi sono stati compiuti. “Contrariamente a quanto si possa pensare – continua Sbardella – il ruolo principale del Consorzio non è quello di certificare gli oli, bensì di tutelarli: vigilare sul prodotto e promuoverlo. Il valore intrinseco su cui si basano le certificazioni, Dop o Igp, è infatti quello della terzietà, elemento che tutela tanto il consumatore quanto il Consorzio stesso, rendendolo indipendente. L’attività principale resta comunque quella di salvaguardare il nome e proteggerlo da imitazioni, abusi, mistificazioni. Si pensi a tutte quelle evocazioni alla toscanità, non giustificabili in assenza della certificazione, che si trovano sulle etichette e che hanno carattere fonetico o, per esempio, visivo come nel caso di riproduzioni di monumenti celebri. Una vigilanza importante che grazie al riconoscimento ministeriale viene svolta anche in sinergia con il corpo dei carabinieri”.

Compito del Consorzio è, per l’appunto, quello di tutelare un patrimonio di storia, di valori e di lavoro inestimabile. Anche se, come precisa Sbardella, non sempre gli abusi nascono con intenti di dolo. “Capita spesso – continua – che certi elementi vengano inseriti per mancanza di consapevolezza. In moltissimi casi gli ammonimenti del Consorzio si trasformano in percorsi di certificazione. Non si tratta quindi di atti coercitivi, ma informativi. Cosa che di certo consolida il percorso di valorizzazione e costituisce, al contempo, un grande vantaggio competitivo per le aziende che attraverso il Consorzio si posizionano nella dimensione della qualità”. Le attività del Consorzio non si limitano soltanto al livello nazionale. “Grazie a una serie di accordi bilaterali – racconta – tra l’Italia e alcuni paesi extraeuropei, come la Cina o il Giappone, la certificazione Igp toscano ha assunto valore in luoghi in cui il sistema non è riconosciuto. Questa conquista apre scenari estremamente interessanti per i produttori che possono affacciarsi su un mercato nuovo con una carta in più”. Tra le attività che il Consorzio porta avanti rientrano anche tutti gli aspetti relativi alla comunicazione e alla promozione. “Dal 2007 ad oggi – dice – sono stati attivati tanti piani di comunicazione con l’obiettivo di promuovere la conoscenza del marchio e del prodotto stesso. Queste azioni hanno avuto riscontri nelle attività di advertising classiche, come il product placement in trasmissioni culinarie, nella partecipazione a fiere ed eventi e, nel corso dell’ultimo anno, si è assistito anche ad un’intensificazione delle attività online. Tra i canali di promozione scelti, inoltre, ci sono stati anche tante iniziative svolte con le scuole alberghiere e con quelle di cucina”. Ma quanto influisce la presenza del marchio Toscano Igp sulle performance commerciali dei produttori? “Ad oggi il consorzio – spiega – riunisce 9 mila olivicoltori di cui 500 sono anche imbottigliatori. Spesso si tratta di piccole realtà a conduzione familiare che non riescono ad accedere ai grandi canali di vendita. Quello che sappiamo però è che la certificazione ha grande appeal sui canali di vendita non domestici e non italiani. Non è un caso che nel 2020 l’export per gli oli toscani sia cresciuto del 10%”. Accade talvolta però che, sebbene molti oliveti siano certificati Igp, alcuni produttori non intraprendano il percorso anche sull’olio prodotto. “Il sistema di certificazione – spiega – richiede tempi burocratici e costi. Ciò che il Consorzio fa però è quello di garantire tempistiche veloci che portano al rilascio del contrassegno in dieci giorni lavorativi. E anche le analisi hanno dei costi molto bassi. La dimostrazione è che ogni anno, sempre più aziende, richiedano la certificazione. Si tratta di un impegno per permettere a tutti, anche ai più piccoli, di potersi certificare”.

L’intervista a Christian Sbardella è anche l’occasione per tracciare un bilancio sull’annata 2020 degli oli toscani e per fare il punto sull’intero comparto. “È stato un anno – dice – da segnare nel grande libro dei ricordi. La perfetta sintesi tra qualità e quantità. La raccolta 2020 è stata praticamente perfetta, con un ottobre caratterizzato da una temperatura un po’ sotto la media che ha prodotto frutti sani, con un’ottima fissazione dei profumi e un importante corredo polifenolico, che sono stati lavorati in frantoio senza il rischio di fermentazioni e ossidazioni”. Un’annata importante testimoniata anche da un’incetta di premi ottenuti. “Questi riconoscimenti – dice – altro non sono che l’espressione sintetica del valore dell’annata. Un elemento di gratificazione per tutta la filiera e uno stimolo per tutti i produttori che non hanno ancora espresso tutto il loro potenziale”. Riconoscimenti, risultati importanti, ma cosa manca ancora al mondo dell’olio per fare il definitivo salto di qualità? “Credo – spiega – che la chiave del successo possa essere quella legata al gusto e alla dimensione edonistica. L’olio deve diventare un prodotto alla moda, un prodotto cool. Scegliere gli abbinamenti può diventare un’abitudine per i consumatori. È la scoperta sensoriale quella che va incrementata, creare un percorso educativo che passa attraverso la consapevolezza dei nostri sensi. Lavorando sul piacere emozionale, inoltre, si può fare informazione e trasferire il valore di un territorio. Ogni assaggio deve portarsi con sé un luogo”. In conclusione dell’intervista abbiamo chiesto a Christian Sbardella una curiosità, di dirci ovvero quale, tra i tanti oli toscani, è il suo preferito. “Per eleganza direi il Leccio del Corno, una varietà abbasta desueta rispetto ai bouquet tradizionali. Un olio che sa stupire per una parte olfattiva molto emozionale”.