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Dalle Nazioni Unite il monito all'Italia: "I migranti non sono schiavi da usare nei campi"
La relatrice speciale delle Nazioni Unite sulle forme contemporanee di schiavitù, Urmila Bhoola, esorta il governo italiano a prevenire in modo più efficace lo sfruttamento dei migranti nel settore agroalimentare, vittime del caporalato, affrontando il problema alle radice e riconoscendo i migranti quali titolari di diritti.
Se è vero che "passi concreti" e "progressi" sono stati compiuti in Italia, la situazione attuale "non è sostenibile", afferma la relatrice in un rapporto pubblicato oggi a Ginevra. L'esperta dell'Onu, che ha visitato l'Italia dal 3 al 12 ottobre 2018, sottolinea l'impatto diretto delle politiche migratorie sulla "vulnerabilità dei migranti allo sfruttamento, al lavoro forzato e alla schiavitù". Secondo le stime citate dal rapporto, ogni anno circa 430.000 lavoratori sono a rischio di essere assunti tramite 'caporali', di questi oltre 100.000 possono subire gravi sfruttamenti. La maggior parte sono migranti provenienti da Africa, Europa orientale, Balcani, India e Pakistan e secondo le stime, quasi la metà (42%) dei lavoratori agricoli irregolari sono donne. Il governo italiano sta prendendo provvedimenti concreti per affrontare lo sfruttamento dei lavoratori migranti nel settore agricolo, afferma la relatrice menzionando in particolare "il solido quadro giuridico che criminalizza il caporalato". Se le leggi e le politiche esistenti fossero attuate in modo efficace, si potrebbe porre fine allo sfruttamento lavorativo, aggiunge.
Tuttavia la questione dello sfruttamento della manodopera nel settore dell'agricoltura è stata affrontata in modo insufficientemente coordinato, adeguato e efficace, sottolinea il rapporto, esortando politiche strutturali che affrontino i diversi aspetti del fenomeno. Urmila Bhoola formula infine numerose raccomandazioni al governo, ma anche ai sindacati, alla società civile e all'Unione Europea, invitata ad "affrontare le cause profonde dello sfruttamento del lavoro in agricoltura valutando il modo in cui il cibo viene coltivato, raccolto e distribuito all'interno dell'Unione europea".
C.d.G.
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