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Scenari

Fiere ed eventi del vino, Milano vs Verona. Il parere di 10 giornalisti: ecco cosa accadrà

25 Marzo 2021

di Fabrizio Carrera e Giorgio Vaiana

Ha cominciato, forse, Angelo Gaja in una famosa intervista rilasciata a Luciano Ferraro del Corriere della Sera nel marzo di quattro anni fa.

“Non ho nulla contro il Vinitaly. Ma abbiamo bisogno di un appuntamento dedicato ai professionisti del vino, senza l’assalto popolare come a Verona. Un appuntamento che ci metta al centro del mondo. Milano, con la sua vitalità, è la città giusta in questo momento. Non sto parlando di una alternativa al Vinitaly, ma di un nuovo traguardo per il vino italiano”. Fin qui le parole di Gaja. Da allora qualcosa è cambiata e quest’emergenza sanitaria sta mettendo alle corde lo stesso concetto di fiera del vino. Due anni senza Vinitaly per esempio nessuno lo avrebbe immaginato. Così torna a far discutere l’idea di un evento a Milano dedicato al vino italiano che faccia parlare il mondo intero. Mentre accende gli animi l’idea di Veronafiere di organizzare un evento significativo ad ottobre (mese affollato di iniziative) molto B2B e orientato all’estero. Abbiamo sentito dieci giornalisti di settore sull’argomento per darci un’idea di cosa potrà accadere.

Giuseppe Carrus, Gambero Rosso
Ovvio che c’è tutto l’interesse della città di Verona e VeronaFiere a tenere Vinitaly a Verona. E bisogna essere onesti: Verona ha dato tanto in questi anni sia al Vinitaly che al mondo del vino italiano. Certo, vista la crescita di questi anni, le problematiche ci sono state, nonostante l’impeccabile organizzazione di VeronaFiere. Ma quando c’è un afflusso così grande, è normale che anche nella città meglio organizzata e preparata al mondo, qualche problemino si avverta sempre. A me, e lo dico da utente, dispiacerebbe una cancellazione del Vinitaly a Verona. Ma è chiaro che, vista la crescita degli ultimi anni e per non vederci ancora surclassare da altre fiere, penso al ProWein, sarebbe doveroso fare un ragionamento su Milano, una città grande e molto organizzata, ma non lo dico perché Verona sia meno organizzata. E’ evidente che ci sia un problema anche sulla ricettività. Milano, senza nulla togliere a Roma, penso che potrebbe contribuire a far crescere ancora di più un evento simile. Vinitaly 2021? Poche aspettative. E’ evidente che è stato un modo per tappare un po’ un buco e lo apprezzo molto, ma ormai ritengo che la prossima edizione del Vinitaly sarà quella del 2022.

Daniele Cernilli, fondatore e direttore Doctor Wine
Ho assistito a un paio di cose fatte a Milano che non hanno avuto grande successo. Poi magari si possono fare in un altro modo. Ma in questo momento ingaggiare un braccio di ferro con Verona sarebbe una guerra fratricida. Attenti a Düsseldorf: sta diventando il punto di riferimento internazionale con il ProWein. Sono molto organizzati, tutto finalizzato al trade. Fino ad adesso il Vinitaly aveva retto bene, ora che succede? So che ci sono state polemiche sull’idea di un Vinitaly a giugno, ora rientrate. Allora dico che la cosa va risolta a livello politico. Ripeto: una guerra sarebbe un autogol per il sistema italiano. Il mio auspicio? Si mettano d’accordo e si cerchi una quadra. A Milano di eventi sul vino ce ne sono tantI. Il Vinitaly gioca in un altro campionato. A meno che non ci sia un accordo tra Veronafiere e la fiera di Milano. Attenti anche all’indotto che per Verona svolge un ruolo importante. Come cambieranno le fiere? Non lo so. Si dovranno trovare soluzioni diverse. Voglio aggiungere che una fiera del vino per Milano é importante ma non decisiva. Per Verona invece è decisiva. Pensate all’indotto. Per il vino italiano c’è da augurarsi che il mondo riparta con il canale horeca e il turismo determinanti per il vino. Ma non mi metterei a dividere sul settore fieristico ma cercherei una ragionevole soluzione politica.

Giorgio dell’Orefice, Il Sole 24 Ore – Agrisole
E’ molto difficile esprimere un parere, è una disputa che secondo me risente anche dei tempi che stiamo vivendo. Intanto, sia che sia Milano che Verona, bisogna capire se potremo riprendere molto presto a fare le manifestazioni in presenza. Credo che questo sia il tema principale da affrontare. Diciamo, però, che in un certo senso Vinitaly è un po’ legata alla tradizione. Anche se c’è una frangia di produttori che vorrebbero che Vinitaly diventasse un po’ come il ProWein, quindi una fiera dedicata al business. Mi pare difficile, visto l’indotto che c’è su Verona. Vediamo cosa succederà dopo la pandemia per cercare di capirne un po’ di più.

Giancarlo Gariglio, Slow Wine
Conta la tradizione e il lavoro che si è fatto in tanti anni. Milano ha dimostrato le sue potenzialità soprattutto dopo l’Expo e comunque in epoca pre-Covid. Stava diventando una città dal punto di vista gastronomico molto interessante e importante. Un settore, quello della ristorazione di qualità, molto trainante. Ecco, credo di poterla definire la città più frizzante del nostro paese. A livello di vocazione internazionale poteva rivaleggiare con le grandi capitali del mondo. E in Italia non credo esista una città a vocazione così internazionale, almeno a livello di dimensioni. Il trend era sicuramente questo. Crescendo il mercato del vino italiano, con un traino così forte, era logico che cominciasse ad attirare sempre più manifestazioni di questo genere, penso a Milano Wine Week che stava crescendo molto bene. Ma da qui a creare una manifestazione che possa competere o rivaleggiare con il Vinitaly ce ne passa. Loro hanno creato in così tanti anni un’identità precisa e abbastanza strategica. Milano tornerà ad essere il mercato di riferimento per il mondo del vino italiano da un punto di vista dei consumi. Ma credo che in generale bisognerà fare un ragionamento generale sul mondo delle fiere. Che evolveranno e non è detto che saranno presentate allo stesso modo. Magari i produttori si sono fatti due domande sulla loro centralità, dopo che investono parecchi soldi in fiere che sono ormai molto generaliste. Invece credo che le fiere dovranno rispondere a nuove esigenze. Non credo che rimarrà tutto uguale.

Alessandra Moneti, Agenzia Ansa
Due anni senza Vinitaly pesano. E’ una energia che va presto ritrovata. Per il mondo del vino e della ristorazione che vuole risentire l’adrenalina di quello strano mix tra affari e convivialità. Ma anche per chi i varchi della Fiera di Verona non li ha mai superati, ma che in questo appuntamento internazionale a Verona riconosce l’icona della festa globale del vino. Per le piccole aziende un trampolino nell’altrove, per i big una catena di incontri coi buyer e la bella stampa, ma anche un modo di sentirsi Azzurri nella Coverciano del vino. Ora, tutti chiusi in casa con collegamenti da remoto con la redazione, sembra impossibile quel bagno di folla fuori e dentro i padiglioni. Ma è proprio l’esperienza del lockdown che fa misurare l’abisso che c’è tra un meeting su Zoom o Skype, magari con bicchieri da degustazione che goffamente trovi tra le carte della scrivania, e la vita vera che al Vinitaly respiri, racconti e vedi rappresentata. Da cronista, nella fatica della quattro giorni in Fiera, ho sempre la sensazione che mentre racconti una storia di vino, te ne sfuggano altre mille. E’ una imprenditoria e una cultura che ha mille declinazioni nei diversi territori. Qualcuna di queste aziende forse ha anche imparato a farne a meno del Vinitaly, un po’ come nelle storie d’amore a distanza, dopo tanto che non ti vedi capisci che anche da solo ce la puoi fare. Ma sono molte di più, ne sono certa, quelle che stanno contattando consorzi e enti regionali per tornare in pista. Per fare squadra. Anche col mondo della ricerca e dell’olio. E in questo Verona ha una marcia in più, il vino è cultura ed economia di ogni casa e vetrina, le vigne sulle colline le vedi se alzi lo sguardo. Da romana, dico che in una grande città sarebbe diverso, non così totalizzante. Ora resta la chance di far tesoro del vuoto imposto dal Covid. Da habitué spero di ritrovare un Vinitaly rinnovato, più coerentemente vicino al mondo del vino e meno alla politica di passo, ospitale, smart e aperto al mondo.

Carlo Ottaviano, Il Messaggero
Sono del parere che ormai Verona sia considerata la capitale del vino in tutta Europa. Ha un’attrattiva che Milano non ha. Forse logisticamente ti può dare di più, sul numero degli alberghi, per esempio. Ma proprio il caos di Verona è un vero e proprio richiamo. Tutti noi che andiamo a Verona nei giorni del Vinitaly, sappiamo cosa troveremo. Girando fuori dalla fiera, ci incontriamo, ci guardiamo, ci salutiamo. Ecco le fiere servono a incontrarsi. E quindi dico: evviva la confusione di Verona. Milano ha dimostrato i suoi limiti in questi anni, si curasse le sue ferite, e pensi al salone del Mobile e le sue specialità. Non deve pensare di primeggiare per forza. Ognuno ha le sue caratteristiche e i suoi punti di forza. Penso che ad ottobre saremo ancora limitati negli spostamenti. E per questo io sono già proiettato al 2022.

Alessandra Piubello, I vini di Veronelli
Il Vinitaly è il Vinitaly e ha la sua autorità. E secondo me è opportuno che rimanga a Verona. Ci sono alte realtà che possono lavorare benissimo a Milano. Improbabile che ci si sposti da Verona per raggiungere il capoluogo lombardo e pensare ad un solo evento sul mondo del vino. Ma poi a che pro? Per risparmiare soldi? Difficile, anche se non sta a me decidere. Credo che invece, si possono pensare altri eventi su Milano, e quindi provare entrambe le vie. Magari a Verona si fa il Vinitaly e a Milano un’altra cosa. Si può lavorare bene senza farsi la guerra immaginando però, diversi periodi dell’anno in cui proporre gli eventi, senza sovrapporsi. Poi non penso che Vinitaly sia messa peggio delle altre fiere del vino del mondo. E’ successo a tutti quello che è successo al Vinitaly. A VeronaFiere va il merito di aver tentato in tutti i modi di andare avanti. Poteva mollare un po’ prima, è vero, ma vediamo di capire meglio cosa sarà questo nuovo evento previsto per ottobre. E’ un modo per stare vicino ai vari produttori, anche se è un po’ un palliativo. Ma va apprezzato lo sforzo di fare squadra, cercare di fare qualcosa per il mondo del vino italiano. Funzionerà? Vedremo. Giudicarlo adesso mi sembra troppo prematuro. Anch’io sono alla finestra in attesa di capirne di più. Ma poi pensare a due grandi eventi del vino non mi pare una scelta azzeccata, che siano a Verona e Milano. Si rischia di svuotarli di forza tutti e due.

Anna Scafuri, Tg1 Rai
Stiamo entrando in una nuova era. Anche per il vino. Siamo in un mondo nuovo. Sconosciuto e inimmaginabile. È tutto un po’ da ripensare. La tecnologia spinge sulla comunicazione e offre scenari totalmente nuovi. Gli eventi? La gara tra Milano e Verona c’è da tempo. La trovo però un po’ stucchevole. Bisogna lavorare tutti su un’unica direzione. Io lavoro per il vino italiano, dal mio punto di vista il vino va sostenuto. No alle guerre. Si perdono sinergie positive. Milano? Vedo che c’è già Milano Wine Week. Non va vista in contrapposizione con Verona. La leadership di Verona non è messa in discussione. Ma è il format di Verona che va rivisto. Vivono un momento di shock. Non durerà per sempre, speriamo. Quello che cambierà sarà l’approccio. Avremo un Vinitaly che non sarà più quello che conosciamo. Tutto il resto ben venga ma non in concorrenza con il Vinitaly. Il fuoco amico me lo risparmierei. Per piacere, lavoriamo tutti per l’Italia. Per l’Italia del vino.

Giulio Somma, direttore Corriere Vinicolo
Certamente la nuova normalità porterà ad una rivisitazione della promozione del vino e delle fiere. Ormai ne siamo consapevoli tutti, soprattutto Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere il quale ha dichiarato che il Vinitaly 2022 sarà molto diverso da quelli che abbiamo conosciuto fino al 2019. Come questo cambierà non lo so. Milano rappresenta invece la città più interessante per le aziende del vino perché al mercato strutturale dei milanesi si aggiunge tutto il mercato del business che ruota attorno al capoluogo lombardo. Che è enorme. Milano tornerà ad essere il polo economico più interessante del paese per gli acquisti di vino. È chiaro che un imprenditore non potrà trascurare questa situazione. È vero, c’è Milano Wine Week. Le prime edizioni sono andate abbastanza bene ma la domanda è: riuscirà a intercettare nel tempo quest’esigenza? Terrei distinta la sensibilità del vino italiano verso Milano e la capacità che avrà la Milano Wine Week di intercettare e interpretare questo sentimento. Vedremo se riuscirà nella sfida. È un evento ancora giovane. È evidente che se entrambe le manifestazioni si mantenessero distinte negli obiettivi e nei target ci sarebbe spazio per i due eventi perché non si troverebbero in concorrenza, rispondendo in fondo ad esigenze di promozione diverse delle aziende. Il vero anno cruciale sarà il 2022. Si gioca tutto l’anno prossimo. Se accadrà qualcosa in autunno saranno solo scaramucce. Tuttavia c’è una cosa di cui l’Italia non ha bisogno: un nuovo evento.

Alessandro Torcoli, Civiltà del Bere
Non è una novità che il mondo della promozione vinicola non tenga particolarmente conto dei principali interessati: i produttori vinicoli. Pur comprendendo la necessità delle organizzazioni che vivono di eventi di tornare a venderli prima possibile, è chiaro che ritrovarsi tutti a pianificare degustazioni in autunno, senza curarsi delle conseguenze del domino che ne conseguirà, sarebbe indelicato verso le aziende. L’effetto sarà nel migliore dei casi di sbornia collettiva, nel peggiore di un gran rumore di fondo, temo. Tanto più che i principali destinatari di certi eventi sono i ristoratori e i professionisti del vino che, non appena si ripartirà per davvero, dovranno dedicarsi anima e corpo al proprio esercizio e non avranno molto tempo per le pubbliche relazioni. Bisognerà quindi preoccuparsi di riempire il più possibile i ristoranti, presidiare i mercati da cui i produttori saranno stati lontani fisicamente per troppo tempo… quindi, tre eventi al Nord Centro e Sud d’Italia sarebbero più che sufficienti, ma più nel segno della gioiosa festa per lasciarsi alle spalle due anni di pandemia, che nel nome del business. Ma questa è pura utopia, come dicevo troppe “compagnie” dovranno riaprire il loro circo. Tra queste, ci saremmo anche noi di Civiltà del bere tra l’altro… Ma le aziende credo che preferiranno visitare palmo a palmo i mercati del mondo. Sulla disputa tra Verona e Milano sinceramente non so che dire: è un po’ penosa, una stizza che dura dai tempi del MiWine (2004): sarebbe bastato alzare il telefono e mettersi d’accordo sulle date, se proprio si sentiva la necessità di organizzare questi eventi in ottobre (che non sarà un periodo facile nemmeno nel migliore degli scenari). Per dare almeno una settimana di respiro alle aziende interessare a presidiare le due piazze. C’è un problema di relazione, evidentemente. Ma ripeto: a farne le spese sono le aziende vinicole. È pur vero che questa pandemia sta stravolgendo le abitudini, si sono affermate nuove modalità e la lunga pausa ha fatto anche riflettere qualcuno sul valore reale di investimenti talvolta enormi richiesti da un certo tipo di promozione: nulla tornerà come prima, ma l’esperienza sarà da stimolo a chi promuove e comunica di professione. Le imprese, anche le nostre – intendo della comunicazione – dovranno adattarsi e cambiare.