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Scenari

“Il Grillo? Non lo creò il barone Mendola”. La scoperta che rivoluziona l’ampelografia

24 Gennaio 2023
Attilio Scienza e Joe Castellano Attilio Scienza e Joe Castellano

Vent’anni di Blues & Wine celebrati con una serie di eventi in giro per la Sicilia e la chiusura con un importante incontro scientifico.

Un lavoro intenso quello portato avanti dal creatore e direttore artistico dell’evento Joe Castellano importanti risultati emersi nel corso della giornata conclusiva, destinati a cambiare forse i testi dei volumi di ampelografia e di studio della vite. Ad aprire i lavori, un excursus storico sul passaggio dall’era prefillosserica a quella postifillosserica, poi le scoperte degli ultimi anni in tema di paternità di taluni vitigni e di come da taluni semi sconosciuti (ai molti) di essi dell’era prefillosserica, con vari incroci si sia arrivati a quelli che oggi producono i vini sulle nostre tavole. E proprio da queste recenti scoperte, sono emerse delle grandissime novità. Se, infatti, anche ad Agrigento si è confermato quanto era stato già fatto emergere dagli studiosi del Crea, ossia sulle origini meridionali e più propriamente siculo-lucane del più diffuso vitigno italiano, quale il Sangiovese, (“Strinto Porcino” e “Visparola Bianca” gli accreditati genitori), proprio dal Convegno del Blues & Wine di Agrigento, emerge quella che sarebbe una clamorosa news sulla diversa paternità del famoso “Grillo”, che non si rivelerebbe come frutto dell’incrocio operato dal grande ampelografo favarese, Barone Antonio Mendola, ma che avrebbe origini del tutto naturali e pregresse agli esperimenti di Mendola, derivanti comunque dall’incrocio tra Moscato di Alessandria e Catarratto. L’esperimento del Mendola era stato dedicato al suo amico ed anch’esso grande ampelografo, Giovan Battista Cerletti ed era stato denominato “Moscato-Catarratto Cerletti”, con prima fioritura nel 1874 (come scriveva lo stesso Barone nei suoi diari). Ma quando lo stesso Mendola nel 1884, da un’inchiesta parlamentare venne sollecitato a redigere un inventario sulle tipologie di vitigni esistenti nelle varie province siciliane, indicò un “Grillo Bianco” come vitigno presente nella sola provincia di Trapani e non in quella di Agrigento, dove lui stesso dieci anni prima lo avrebbe partorito, secondo quella letteratura che si era elaborata e trasmessa fino ad oggi. Quindi già un dato assai stridente nella cronologia delle rilevazioni, rapportate ai documenti.

Ma anche dal lato prettamente scientifico, Manna Crespan fa rilevare che dalle indagini svolte dal Crea, con prelievo di campione dalla barbatella originale trasmessa dallo stesso Barone Mendola al famoso vivaio storico di Montpellier, non si riscontra nella stessa alcuna traccia di Catarratto. Quindi, assai probabile un errore di vitigno pre fillossera che lo studioso favarese aveva associato al Moscato, per generare quel “Moscato-Catarrato Cerletti”, che comunque mai lo stesso Barone aveva definito e denominato “Grillo”. La diffusione del Grillo invece nella Provincia di Palermo, in quegli anni veniva celebrata dal naturalista Marchese De Gregorio. Viene da se come già da sola, questa interessantissima tesi emersa nel Convegno di Agrigento del Blues & Wine Festival, rivoluzioni qualsiasi testo in cui si parli di vino e di Grillo. Ormai da diversi anni, infatti, la paternità di tale vitigno veniva attribuita al Barone Mendola di Favara.
Nel corso del convegno anche l’intervento di Attilio Scienza con la tematica “Barbatella americana o ritorno al Piede franco, visti i periodi siccitosi a cui stiamo andando incontro?”. Dal convegno emergono delle criticità e delle rilevazioni che dovrebbero fare riflettere tutte le Aziende e tutta la viticultura italiana. Attilio Scienza ha focalizzato il suo intervento in più punti: il rischio siccità e la totale desertificazione da qui al 2035 per alcuni territori. La Sicilia purtroppo tra i primi. Poi il ritorno al piede franco “non è una soluzione praticabile – dice Scienza – oltre che sconveniente. La fillossera, infatti, è sempre in agguato. E i suoli vulcanici, che sono inattacabili, sono troppo di nicchia”. E allora, cosa fare? “Ricorrere a nuovi portainnesti più resistenti e già sperimentati positivamente”, dice Scienza. Il problema sarà la modifica dei disciplinari delle varie Doc. Ma potrebbe essere interessante, aggiunge Scienza “un ritorno ai vitigni autoctoni che avevano una maturazione più lenta e quindi più lunga”. Le vendemmie ogni anno sonmo sempre più anticipate, “e questo porta alla alla perdita delle parti fenoliche del vino”, spiega Scienza. Ma un altro problema sarà quello di far abituare i consumatori ai nuovi sapori del vino, “diversi da quelli di oggi”, dice il professore.

“E’ tempo che le aziende del vino passino dal celebrare un po’ meno ogni vendemmia come “eccellente annata” e che invece affrontino una realtà che non si è voluta vedere ed affrontare da quando si è presentata, ossia già dal 1985 – dice Joe Castellano – Scienza ha illustrato di come già nei prossimi 12 anni interi territori italiani, tra cui in primis la Sicilia, potrebbero vedere trasformati i loro vigneti in terreni desertici dove sarà impossibile produrre alcunché. Lungi da noi fare allarmismo, ma i dati forniti anche dai più importanti Centri di Ricerca, purtroppo convergono in tal senso, visto che anche Cnr in Italia e Inra in Francia, parlano di desertificazioni delle superfici vitate per il 58% a livello mondiale, con appena un solo grado medio di temperatura in più, da qui al 2050”. Un momento importante di studio, ma anche un grido di allarme importante quindi quello che si alza da Agrigento e dal Blues & Wine Festival per tutto il Vino italiano.