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Scenari

Meno vino in Italia, ma non in tre regioni: Calabria, Campania e Sicilia col segno “+”

08 Settembre 2021

di Giorgio Vaiana

Ormai è la solita tiritera che si trascina da qualche tempo a questa parte. Ossia da quando tra i vigneti si sono cominciati a raccogliere i primi grappoli di uva.

In Italia la vendemia sarà più scarsa rispetto al 2020. Di quanto? Circa il nove per cento, con una produzione di 44,5 milioni di ettolitri. “Ma sono stime”, si affretta a dire il presidente di Uiv Ernesto Abbona. Che risuona quasi come una sorta di pacca sulle spalle dei produttori. “Non facciamone un dramma”, sottolinea Riccardo Cotarella, presidente di Assoenologi. Insomma dati e rassicurazioni nella ormai consueta conferenza stampa di previsione dei dati vendemmiali organizzata, per il terzo anno consecutivo, da Uiv, Assoenologi e Ismea. Alcuni numeri: in Italia si vendemmierà meno uva; il calo maggiore riguarderà soprattutto il Nord e il Centro (dove ha colpito forte la gelata del 7 e 8 aprile); più contenuto il calo al Sud (-5%), con regioni che addirittura termineranno la campagna vendemiale con il segno “+” (Campania, Calabria e Sicilia). Se da un lato GianMarco Centinaio, sottosegretario di Stato per le politiche agricole alimentari e forestali, sottolinea l’importanza di fare rete “e di confrontarci di qui a fine anno per il rilancio del settore”, dall’altro Filippo Gallinella, presidente commissione agricoltura camera deputati, spiega che bisogna puntare sulla promozione: “Ma anche sulla sostenibilità – dice – E sono certo che la Pac darà molte opportunità al nostro settore. Il vino è un segno distintivo del nostro Made in Italy”.

Tocca a Fabio Del Bravo, responsabile direzione servizi per lo sviluppo rurale di Ismea, sciorinare i numeri. Che lasciano emergere comunque una situazione complessa in Italia. Anche se, spiega, “alla fine dei conti il nostro paese riuscirà a soddisfare la domanda di consumi interni. Qualche incognita sull’export”. Rispetto allo scorso anno, il comparto vino fa registrare un +2,3 per cento di aumento del valore, con un “rimbalzone” degli spumanti, praticamente fermi lo scorso anno a causa della pandemia. Come detto, il calo della produzione italiana sarà del 9 per cento. E le gelate, quest’anno, hanno determinato una perdita del raccolto del 12 per cento al Nord e Centro Italia. Piemonte -10%, Lombardia -20%, Toscana -25%, Veneto -75, solo per citare le regioni più importanti. Di contro, tre regioni italiane, invece, faranno segnare il segno “+”: Campania +5%, Calabria +10% e Sicilia +5%. “Alla fine – conclude Del Bravo – il primato produttivo di vino dovrebbe rimanere in mano all’Italia anche quest’anno”. Paolo Brogioni, direttore di Assoenologi, spiega l’andamento climatico ialiano, che ha portato a questo calo della produzione: “Un’annata caratterizzata da eventi climatici di grande variabilità, soprattutto nelle temperature”, dice. “A marzo si è registrata qualche anomalia termica che poi si è evidenziata con la gelata del 7 e 8 aprile che ha colpito le regioni del Nord e del Centro determinando la morte di molte gemme già sbocciate – dice – A maggio tanta alternanza di precipitazioni a carattere temporalesco, mentre a giugno non si è instaurato l’anticiclone estivo e per questo è rimasto un clima abbastanza instabile. Luglio e agosto hanno avuto più o meno le stesse caratteristiche, con l’anticiclone che si è posizionato un po’ più al sud del solito determinando un innalzamento delle temperature e una crisi idrica che ha interessato il Centro e il Sud Italia. La settimana dal 9 al 16 agosto è stata quella in cui si sono registrate le temperature più alte che non si verificavano da oltre 20 anni”. E per dirla con i numeri, al Sud si sono registrate 600 ore di stress termico con calore oltre la media, mentre i numeri relativi alla crisi idrica sono più o meno nelle medie annuali”.

E i nostri paesi competitor? Anche loro non se la passano bene. Soprattutto i cugini fracesi che, come spiega Ignacio Sanchez Recarte del Ceev, Comité Européen des Entreprises Vins, perderanno oltre il 24 per cento del loro raccolto: “Situazione drammatica nella Champagne e a Bordeaux soprattutto per i bianchi. La produzione si dovrebbe attestare sui 34,2 milioni di ettolitri”. In generale, tutti i paesi produttori hanno sofferto i cambiamenti climatici. In Spagna la perdita dovrebbe essere del 16%, in Germania del 5 per cento, nonstante le gravi calamità naturali, mentre il Portogallo fa registrare un lieve incremento (+1%), ma lo scorso anno aveva avuto una bassa produzione. Nel mondo, segno “+” nella produzione solo per Australia (+18%) che lo scorso anno ha fatto i conti con i gravissimi incendi, Cile (+15%), e Sudafrica (+0,7%). Mentre sono in negativo Argentina (-6,4%) e Nuova Zelanda (-8,8%). Ma tutti questi 5 paesi insieme producono quanto produce l’Italia da sola. “Oggi è una giornata importante per fare una riflessione sul nostro comparto – dice Ernesto Abbona, presidente di Uiv – Non bisogna solo pensare a produrre e produrre bene, ma anche a vendere e difenderci dalle aggressioni di altri settori economici. Mi auguro che questa giornata possa essere una sorte di confine tra il biennio devastante della pandemia e un futuro più roseo che va programmato bene”. Poi Abbona lancia una stoccata al governo: “Come sapete le nostre interlocuzioni con il governo sono costanti – dice – Ma i ministri cambiano celermente e, spesso, le promesse fatte da uno devono poi essere ricordate all’altro che a sua volta ne farà di sue. Noi, come al solito, cercheremo di mantenere viva l’attenzione sul nostro settore”. Un settore che ha bisogno di “sostenibilità”, dice Abbona, “ma con uno standard unico che servirebbe ad aiutare le medie e piccole imprese – spiega il numero 1 di Uiv – Ecco anche qui il governo deve dare seguito alle promesse fatte soprattutto nel campo della formazione che permetterebbe ai produttori di rispondere alle esigenze dei nostri clienti”.

Riccardo Cotarella ribadisce il suo concetto di viticoltura di precisione: “Non c’è più spazio per il fai da te o per il coltivatore del fine settimana – dice il presidente di Assoenologi – Ormai il nostro è un settore in cui l’applicazione scientifica la farà da padrone. Scienza che di certo non servirà a cambiare il clima, ma ci permetterà di mitigarne gli effetti”. Per Cotarella, il cambiamento climatico “non è poi così nocivo se applichiamo bene le nostre conoscenze”. Ma, “la scienza non può essere applicata mentre siamo seduti dietro ad una scrivania – dice – vanno calpestati i terreni e noi enologi dobbiamo essere sempre più precisi, puntuali e anche più appassionati al nostro lavoro”. I numeri di una produzione in negativo in Italia “non devono preoccupare – dice – Certo in alcuni territori importanti, come le zone del Prosecco, Chianti, Amarone o Barolo, questa mancanza di prodotto equivale a una perdita di redito, ma non tutti i mali vengono per nuocere. Potrebbe essere l’occasione, come già successo nel 2017, di rivedere il prezzo di vendita dei nostri vini. Ai produttori dico di non tirare troppo la corda, ma credo che ci potrebbe essere una rivalutazione della nostra produzione e quindi un prezzo dei nostri vini adeguato ai sacrifici che si fanno. Una sorta di rivalutazione morale prima ed economica poi. La qualità? Sarà eterogena, credo buonissima in generale con punte di eccellenza”. In chiusura l’intervento di Luigi Moio, neo presidente Oiv, l’organizzazione internazionale della vigna e del vino che ha annunciato il cambio della sede istituzionale dell’organizzazione che si sposterà da Parigi a Digione: “La questione dei cambiamenti climatici – dice – è estremamente complessa. E una sua risoluzione richiede tempi lunghissimi. Per questo sono richieste competenze scientifiche multidisciplinari e non ci si può permettere di sbagliare. Perché un errore fatto oggi rischia di trascinarsi per anni e non ci permetterebbe il raggiungimento dei nostri obiettivi”.