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Scenari

“Le arance siciliane battute dalle straniere, per evitare il tracollo bastano tre mosse”: il piano del Consorzio Arancia Rossa Igp

27 Febbraio 2014
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Alessandro Scuderi

Se gli italiani dovessero scegliere il prodotto italiano per eccellenza, l’Arancia Rossa di Sicilia è al terzo posto.

Per notorietà infatti l’agrume siciliano viene solo dopo la Melinda e il Radicchio trevigiano. Eppure oggi le arance siciliane vivono un momento di difficoltà sul mercato, strette fra la concorrenza straniera e un problema di calibro dei frutti che quest’anno in particolare li rende meno competitivi sul mercato. Insieme al presidente del Consorzio Arancia Rossa Igp, Alessandro Scuderi, abbiamo provato ad analizzare la questione.

“I due aspetti del problema – spiega Scuderi – sono fra loro interconnessi. Quest’anno c’è sicuramente un problema di qualità degli agrumi, in particolare i tarocchi. I frutti sono piccoli, e le cause sono diverse: la Tristeza, innanzitutto, l’eccesso di produzione per pianta, le scarse piogge dell’ultimo periodo. Ciò significa che sul mercato c’è un numero di pezzi piccoli in eccesso, più di quello che il mercato possa assorbire. Ed è una quota rilevante del mercato. Questo cammina di pari passo con il fatto che il prodotto che arriva dall’estero costa meno. Se in Sicilia al produttore vengono riconosciuti 15 centesimi al chilo, in Spagna, Marocco ed Egitto si passa a 5 centesimi. E anche a parità di costo pagato al produttore, i costi della logistica in Sicilia costano molto di più. Un esempio? Per mandare le arance dall’Egitto all’Olanda si spende meno che a mandarle da Catania a Milano”.

Mentre dunque dai nostri agrumeti escono arance troppo piccole per essere vendute ad un prezzo soddisfacente, dall’estero arrivano frutti ad un prezzo nettamente inferiore. Ecco perché spesso le arance rosse siciliane vengono battute dalle straniere. “Teniamo conto anche del fatto che oggi – dice ancora Scuderi – la Grande distribuzione organizzata ha ridotto il periodo di commercializzazione, da sei mesi a tre circa. Ma i consumi familiari non variano di pari passo”.

Una soluzione unica e immediata, secondo il Consorzio che oggi raggruppa 60 operatori commerciali e rappresenta 5 mila ettari di superficie associata con 128 mila tonnellate di produzione (su 1,2 milioni di tonnellate di arance rosse prodotte in Sicilia), non c’è. “Non abbiamo la bacchetta magica – dice Scuderi – ma tre strategie andrebbero applicate. Innanzitutto è necessario guardare alla riconversione degli agrumeti, sostituire quelle colpite dalla tristezza con piante nuove. Altra strada deve essere quella dell’internazionalizzazione: oggi il 92% della produzione è destinata al mercato interno, l’8% appena all’estero. Esportare significa togliere prodotto in eccesso dal mercato, anche senza guadagnare nulla o addirittura perdendo dall’esport ne deriverebbero vantaggi al mercato interno. Infine, ma non ultima, la promozione: mentre in generale si investe in marketing e comunicazione fra il 5 e il 10% del fatturato, nel nostro settore si raggiunge appena lo 0,3% fra istituzioni, consorzi, privati. Non si è ancora capito che è la cosa fondamentale, si cercano ancora le vie brevi come quella della trasformazione industriale”.  

Via breve però non è quella dei canali Horeca, dove una spremuta di arance siciliane è difficile da trovare. “È una strada in salita – aggiunge Scuderi – oggi il gestore di un locale trova più conveniente economicamente vendere succhi pronti, perché ottiene un guadagno più alto e ha meno problemi logistici, di magazzino e di smaltimento degli scarti.  Abbiamo provato a entrare in questo canale, anche con accordi per tenere i prezzi accettabili, ma non è facile”.

Intanto, il Consorzio Arancia Rossa di Sicilia Igp si avvia ad una nuova stagione. Dopo sei anni Scuderi lascerà la presidenza fra qualche settimana perché lo statuto non prevede la sua rielezione. E lascia ai suoi successori la sua “eredità”. “Oggi l’Arancia rossa Igp – conclude – rappresenta l’eccellenza rispetto alle arance rosse, abbiamo lavorato per il posizionamento sul mercato e per spuntare prezzi migliori. La commercializzazione è uno degli aspetti più importanti, oggi troppi operatori piccoli sono costretti ad abbassare i prezzi per sopravvivere. Servono invece poche figure che vendano a prezzi equi, riconoscendo al produttore la giusta dignità. Penso ad un contratto di filiera che deve rispondere anche ad un principio etico e solidale. Oggi al produttore viene riconosciuta la differenza fra il prezzo di mercato che si riesce ad imporre ed il costo dei servizi, è una logica capovolta rispetto alle regole aziendali in cui è il prezzo ad essere determinato dalla somma fra il prezzo di produzione e i tutti gli altri costi. Dobbiamo fare in modo che si inverta questa logica”.

Stefania Giuffrè