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Scenari

Sangiovese Purosangue, per sapere tutto su questo vitigno e assaggiare di tutto

25 Gennaio 2014
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Conoscere e approfondire le varie declinazioni territoriali del sangiovese: questo l’obiettivo di Sangiovese Purosangue manifestazione che si svolge a Roma sabato e domenica all’hotel Radisson di via Turati (per approfondire  http://www.>sangiovesepurosangue.it/ ).

Organizzata da Davide Bonucci dell’Enoclub Siena con l’apporto tecnico dell’agenzia Riserva Grande di Marco Cum è arrivata alla sua V edizione, grazie all’ampio consenso di pubblico e critica della Capitale. “Non si tratta di presentare i produttori più blasonati del Chianti o di Montalcino: si parla di sangiovese e di quei territori che godono di una determinata vocazione attraverso produttori che sono riusciti a darne una personale interpretazione, nel rispetto dell’identità geografica” spiega l’organizzatore.

Ma chi è Davide Bonucci? Per capirne il personaggio occorre partire da una premessa fondamentale, non tanto che ha lavorato come architetto e ha poi deciso di lanciarsi nel trading finanziario, quanto le sue origini: è di Siena ed è della contrada della Chiocciola. Tra le storiche contrade che ogni anno si contendono il famoso Palio, è l’unica che per lunghezza va oltre le mura della città e idealmente ha sempre accolto “quelli di fuori”, i contadini, diventando rappresentativa dell’animo popolare e popolano.

Ed è proprio quest’animo contadino che ha spinto Davide nella ricerca delle sue origini, di bisnonni mezzadri che si sono riscattati acquistando i terreni dove per anni hanno faticato per farla diventare la terra una realtà redditizia. Così come tanti altri produttori: Montalcino nel dopoguerra non era la realtà glamour di oggi ma un contado come tanti altri che ha patito la fame. Le famiglie che hanno saputo resistere nel perseverare a produrre, oggi ne raccolgono i frutti, come i Baricci, i Pacenti, i Lambardi, Zannone e tanti altri, oggi produttori di successo. L’importanza del legame con le radici agricole è testimoniato da un luogo dedicato alla memoria contadina, il Museo della Mezzadria di Buonconvento.

Lasciamo a Davide Bonucci la parola. Come è nata questa passione?
Nel 2007 ho iniziato ad occuparmi dell’Enoclub Siena: con un gruppo di amici appassionati di vini, tra cui anche alcuni produttori, ci si dedicava a scoprire e conoscere i grandi vini: dalla Borgogna, allo Champagne e anche al Piemonte. Bevendo mi sono reso conto di quanto il vino fosse interessante da un punto di vista culturale ed emozionale, per uno come me che prima di arrivare a questo si è occupato di trading finanziario per anni, è stato un bel salto. Questo mi ha portato a fare una ricerca del mio passato, fortemente intriso di storia contadina, dandomi opportunità di approfondire aspetti inediti legati alla cultura locale.

Dove nasce l’idea di organizzare eventi per fare conoscere il sangiovese?
Inizialmente ci riunivamo in trattorie o a casa di amici per il piacere di bere vecchie annate ormai introvabili e capirne l’evoluzione nel tempo. Piano piano è aumentato anche l’interesse verso il territorio locale e la curiosità tra i produttori di conoscersi e di assaggiare vini di altre zone per scoprire nuove interpretazioni. Col tempo ci siamo resi conto che le esigenze dei piccoli produttori, non venivano prese in considerazione: per esempio, parlando di grandi numeri, il Consorzio del Chianti Classico conta all’incirca 650 produttori e sono i produttori più grandi ad avere la voce grossa. Emblematico è il caso di Montevertine che è uscito dal disciplinare declassando il vino a Igt per trovare una sua tipicità che altrimenti sarebbe stata soffocata da certi parametri ed è oggi un vino di grande successo.

Tra i tanti problemi legati alla realtà territoriale, cosa ha rappresentato lo scandalo Brunellopoli?
Sicuramente un duro colpo all’immagine e alla credibilità costruita nel tempo da un lato, e per contro ha rappresentato anche un’occasione di pulizia e di chiarezza: noi facemmo una petizione affinché si ripartisse su un percorso concentrato sulla tradizione. Inizialmente il gusto era più spinto verso una morbidezza eccessiva dovuta a lunghe maturazioni in legno, per accontentare le esigenze di chi doveva bere piuttosto che mostrare le capacità del vitigno e dell’uva nel descrivere un territorio unico della Toscana e quindi dell’Italia. Forzature per assecondare il mercato, per inseguire questa moda partita dagli Stati Uniti per via di certa critica enologica americana: riviste come Wine Spectator, erano molto orientate verso questo gusto e di conseguenza riuscivano incidere sul quantitativo esportato. Anche certe guide italiane si erano orientate verso un Brunello più compiacente. Delle sacche di resistenza ci son sempre state che hanno spinto sulla tradizione. E oltre ai produttori mi viene in mente anche Franco Ziliani che è stato molto onesto nell’esprimere dubbi sull’autenticità di certi vini e della corrispondenza con i vitigni: doveva essere 100% sangiovese e c’era il netto sospetto che ci fossero altri vitigni.

Il rilancio territoriale è avvenuto solo per opera dei locali?
Molto si deve a quei produttori che hanno saputo ascoltare e rilanciare il territorio, e anche a turisti tedeschi, inglesi e americani spesso venivano in vacanza e si innamoravano di zone come il Chianti Classico o di Montalcino, il che ha comportato una maggiore conoscenza all’estero di quest’area geografica che è indissolubilmente legata alla sua enogastronomia. Gli stranieri sono stati determinanti per i Supertuscan, ma oggi si assiste a un crollo del mercato interno, cui in parte bilanciano i numeri positivi dell’export. Almeno per quanto riguarda la Toscana. Diverso è il caso della Romagna che ha sempre contato quasi esclusivamente di un mercato interno.

Qual è l’obiettivo di Sangiovese purosangue a Roma?
E’ la piazza culturalmente e commercialmente piu importante. Ci interessava l’impatto a livello di critica e di visibilità da parte degli appassionati, stampa di settore, blogger e anche dei centri di cultura come Ais, Fisar. Dare un quadro inedito di quello che è il sangiovese nelle sue declinazioni autoctone interregionali, per questo per esempio parliamo di sangiovese di Montalcino e non di Brunello, al di là dell’inquadramento delle singole denominazioni. Offrire una chiave di lettura zona per zona, alla ricerca della vera voce di un territorio che non si è stati in grado di comprendere, la cui morfologia ricca di alberese, galestro, calcare e argilla, se da un lato offre una certa omogeneità morfologica pur essendo diverso geologicamente come nella zona di Montalcino, il Chianti Classico è estremamente diverso da nord a sud con aree geologiche non ben definite che si intrecciano tra di loro anche in porzioni molto piccole e la ricerca di Sangiovese purosangue punta a questo: far capire la diversità della stessa zona. Non è scontato che due produttori della stessa zona facciano vini diversi, dipende anche dall’esposizione,  e non ultimo dal carattere del produttore che inevitabilmente influenza il suo vino.

Hai nominato alcune associazioni presenti a Roma. Il tuo è un punto di vista indipendente da queste realtà associative?
Ah immagino tu ti riferisca all’Ais e Fis. Credo che in entrambi ci siano persone appassionate e preparate. Forse cambia il modus operandi: Fis ha uno stile più aggressivo, probabilmente è anche giusto così perché deve rendere conto alla sua casa editrice, ed è normale si sentisse un po’ stretta all’interno dell’Ais intesa come associazione senza scopo di lucro. Ecco, direi che aggregano appassionati con idee diverse dal punto di vista dell’esposizione e delle strategie.

Il progetto di Davide Bonucci con Sangiovese Purosangue è ambizioso perché vuole essere itinerante, partendo da Roma per proseguire un po’ ovunque in Italia e anche fuori: se organizzi un evento fatto bene nella Capitale, questo poi diventa un ottimo biglietto da visita. E in futuro si tende ad ampliare anche con altre zone interessanti della viticoltura italiana e ai prodotti dell’enogastronomia tipica: prossimo appuntamento l’1 e 2 marzo per “Il Barolo nel cuore”, stessa location. A conferma che a Roma non scorre solo il Tevere.

Rocco Caridi