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Scenari

Silvana Ballotta (BS): più visione e coraggio per l’export del vino italiano. E sul Vinitaly…

01 Marzo 2021

Il vino a un bivio. Il 2020 è un anno che ha segnato un modo di essere sul mercato. C’è un prima 2020 e un dopo 2020. E oggi se si vuol resistere bisogna galoppare.

E lo dice senza mezzi termini una che di mercati, quelli stranieri soprattutto, se ne intende moltissimo. Silvana Ballotta è a capo di Business Strategies, società con sede a Firenze che sull’internazionalizzazione ha sviluppato un know how straordinario. Pertanto, sentirla di questi tempi, incerti e confusi, può essere di molto aiuto. In sintesi lei ci dice alcune cose. Ai produttori dice: va bene la digitalizzazione, ma serve più visione, più coraggio e più bravura nel cercare direttamente la clientela. Sulla Cina consiglia al mondo del vino di seguire l’approccio delle griffe della moda italiana, sull’America ci spiega quali vini sta privilegiando il consumatore. E sul Vinitaly? Vabbè, leggete l’intervista…

Come si è chiuso l’export del vino italiano nel 2020 secondo il vostro osservatorio?
“Non si è chiuso malissimo in realtà, almeno rispetto alle attese. I numeri sono noti, gli scambi internazionali di vino a livello globale hanno fatto registrare un calo a doppia cifra mentre l’Italia ha patito un – 4,6% (secondo i dati Nomisma) che possiamo considerare decisamente contenuto rispetto, per esempio, alla Francia che ha visto decrescere le esportazioni per il 18%. Quindi sì, poteva andare peggio ma le aziende italiane si sono dimostrate per una buona parte vitali, dinamiche e attente. Moltissimi hanno approfittato per avviare importanti trasformazioni digitali, hanno colto l’opportunità per valorizzare la relazione diretta con la clientela e hanno sperimentato con successo un approccio distributivo multicanale. Questo ha consentito non solo di limitare il danno ma anche di gettare le basi per competere sul mercato in futuro”.

Cosa fare per recuperare il terreno perduto?
“Ripartire con la promozione internazionale sfruttando i nuovi canali che si sono venuti a delineare in modo chiaro durante questa pandemia. È necessario agire subito, prima che il mercato sia pienamente ripartito e che il gap tra le aziende che hanno saputo investire e quelle che non lo hanno fatto sia troppo grande da recuperare”.

Con Business Strategies siete molto performanti nei mercati asiatici. Cosa sta accadendo laggiù? Ci sono segnali di ripresa?
“In Cina la ripresa non sembra essere così lontana ed essendo la seconda economia del pianeta, questa è un’ottima notizia per tutti: a rendere questo possibile è l’adozione di una politica di blocchi mirati e monitoraggi rapidi dei nuovi focolai, che riesce sostanzialmente a contenere gli effetti della pandemia. Un fenomeno che ha preso vita a seguito del lockdown in questa nazione è il cosiddetto ‘revenge spending’, vale a dire la fame di shopping da cui derivano più acquisti e/o acquisti di maggior valore; questo comportamento d’acquisto, che generalmente segue le grandi crisi economiche e sociali o anche un grande evento traumatico, ha a che fare con un potere di spesa dei consumatori certamente cambiato e dipende da un generalizzato desiderio di ripresa, di cui acquisti e consumi più consistenti si fanno metafora”.

Il mercato cinese per il vino italiano resta poco esplorato. Cosa manca alle nostre aziende per essere più presenti?
“Una politica commerciale di sistema. Abbiamo vini straordinari ma sono di molte denominazioni diverse. Il consumatore cinese fatica ad assimilarli al “Made in Italy” e a riconoscere loro il valore di “italianità” che tanto è apprezzato dal popolo cinese. Questo non succede in altri settori, per esempio nella moda, è quello il modello cui il vino si dovrebbe ispirare. Il vino italiano non ha un chiaro posizionamento di prezzo e di brand sul mercato cinese, perciò serve una strategia chiara e differenziata per la promozione: è necessario creare e promuovere un brand forte e riconoscibile che si affermi in modo semplice ed efficace. Inoltre, la diffusione della cultura del vino italiano passa per la formazione e l’educazione, elementi necessari per facilitare la comprensione della produzione nazionale, la quale conta centinaia di vitigni autoctoni. Inoltre, nel più grande mercato di e-commerce al mondo le iniziative che si intende mettere in atto non possono prescindere dall’utilizzo dei canali digitali”.

E cosa offre BS alle aziende o ai consorzi? Raccontateci un po’ gli obiettivi raggiunti in questi anni…
“Business Strategies aiuta le piccole e medie imprese italiane ad avviare e condurre percorsi di internazionalizzazione in particolare sfruttando le opportunità create dai finanziamenti europei. Seguiamo le aziende dall’inizio alla fine dei processi di internazionalizzazione: analisi approfondita dello stato dell’azienda, valutazione delle possibilità di finanziamento, stesura e gestione del progetto, proposte operative di internazionalizzazione su paesi terzi, oltre che affiancamento commerciale e marketing. Siamo leader in questo settore perché siamo stati primi a coglierne le potenzialità e perché ci siamo dotati di una piattaforma proprietaria certificata interattiva dedicata specificatamente alla gestione dei progetti Ocm. Anche grazie a questa, negli ultimi 10 anni abbiamo supportato circa 600 aziende, finalizzando circa 250 progetti, per oltre 75 milioni di euro di contributi comunitari ottenuti a finanziamento di 150 milioni di euro di progetti di promozione con una media di rendicontato del 94%”.

Le regole e la disponibilità finanziaria per l’Ocm promozione stanno tenendo conto del momento difficile oppure no?
“Per quanto riguarda l’annualità 2019/2020 sì, le regole sono state adattate con uno slittamento della data di scadenza (dal 31 dicembre 2020 al 31 marzo 2021) e con l’esonero dall’obbligo della spesa dell’80% del contributo richiesto. Possibilità che per l’annualità 2020/2021 non è ancora stata prevista. Tuttavia, le pratiche burocratiche non sono state semplificate: sia per la presentazione che per la rendicontazione dei progetti le procedure sono macchinose e andrebbero snellite al più presto. È il momento di dimostrare che i nostri amministratori vogliono effettivamente supportare le aziende, senza l’appesantimento burocratico inutile e controproducente”.

Come vedete questo 2021 per il vino italiano?
“Con gli strumenti giusti potrebbe sicuramente essere un’annata positiva: tra le strategie da mettere in campo da subito per il prossimo futuro figura il ‘fare sistema’ per affrontare i mercati internazionali valorizzando le identità e le storie dei territori per mantenere il valore dei nostri vini. Raccontare i nostri prodotti ovunque nel mondo e non solo nei Paesi tradizionalmente meta per il nostro export, garantire la sicurezza dell’occupazione al settore, consolidando i mercati di export già avviati e, infine, studiare insieme modalità di relazione diretta con il cliente. Mai come oggi abbiamo bisogno di imprenditori visionari, ossia capaci di avere visione sul futuro e coraggiosi per intraprendere strade di innovazione e sviluppo”.

Secondo lei si farà il Vinitaly? E comunque cosa accadrà al vino italiano senza fiere?
“Non amo fare previsioni, meno che mai in questi tempi. Il vino italiano saprà vivere anche senza fiere, ma certamente uno strumento fieristico innovativo, più adeguato alla mutata realtà delle aziende e dei mercati, sarà – quando ci sarà – di grande aiuto a tutto il settore”.

Qual è la percezione del vino italiano nei mercati esteri più conosciuti da voi? Contano di più le aziende, i territori, le tipologie o cos’altro?
“Negli Stati Uniti si registra un interesse crescente nei confronti dell’ampia varietà delle denominazioni enologiche italiane e la richiesta di vini certificati è in crescita. Tuttavia, a seguito della pandemia il consumatore statunitense adesso è interessato o a vini di prezzo alto (Top range, Ultra premium e Super premium) o a vini di prezzo basso (Commercial premium e Value), la fascia media è quella che fatica di più anche perché, in termini di identità, è quella in cui è più difficile distinguersi. In Cina invece, come detto in precedenza, è necessario un processo di consolidamento e sensibilizzazione del consumatore verso la ‘cultura del vino’. Qui il vino è ancora considerato un dono di classe, il cui acquisto avviene sulla base dello status symbol che esso rappresenta”.

E il rischio di dazi doganali sul vino è sempre dietro l’angolo?
“Almeno per il 2021 sembrerebbe di no, abbiamo ricevuto solo pochi mesi fa la notizia dell’esclusione dei vini italiani dai nuovi dazi USA, che così facendo non ha aggravato il complesso quadro dell’economia enoica negli Stati Uniti e ha scongiurato il rischio di danni irreparabili per le eccellenze agroalimentari e per una filiera che era già stata messa a dura prova. Ad essere invece colpiti saranno ancora una volta i nostri vicini vini francesi, già pesantemente penalizzati dai dazi al 25% introdotti nell’ottobre 2019”.

C.d.G.