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Scenari

Slow Food sulla carne sintetica: “Più che il cibo del futuro forse è l’affare del futuro”

18 Novembre 2022
Barbara Nappini Barbara Nappini

“Secondo chi sta sperimentando la carne sintetica per l’immissione sul mercato, innanzitutto americano, ma presto europeo e mondiale, è il cibo del futuro.

Lo sarebbe per il suo valore etico, visto che eviterebbe la macellazione di animali, ma anche ambientale, perché consentirebbe di fare a meno degli allevamenti. Etica e ambiente ne accompagnano la narrazione. Ma a ben guardare sembra più l’affare del futuro per un bel po’ di gruppi finanziari e multinazionali. Il rischio evidente è che il cibo, diventato una commodity, una merce di scambio sui grandi mercati internazionali come tante altre, diventi oggetto di una deriva tecnologica che lo priva di qualunque significato culturale, del legame con i territori e con le comunità che ci vivono, con i loro saperi e tradizioni”, dichiara Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia, commentando il primo via libera negli Stati Uniti. Sotto il profilo ambientale l’impatto della carne sintetica è tutt’altro che indifferente, per via dei grandi consumi energetici dei bioreattori necessari alla sua produzione. Un dato importante, ma non sufficientemente rilevato, è che i prodotti a base di carne coltivata sono iperprocessati, contengono coloranti, aromatizzanti, addensanti, necessari per conferire loro la forma di hamburger o crocchetta, per dare consistenza e sapore di carne. La carne è sviluppata grazie a ormoni e lieviti ogm. Come del resto i sostituti della carne a base vegetale, già sul mercato anche in Italia.

“Secondo Slow Food il futuro di una produzione alimentare buona, pulita e giusta per tutti è nella scelta più consapevole delle proteine da portare in tavola. Dobbiamo ridurre i consumi di carne e privilegiare, in alternativa alle carni da allevamenti industriali, prodotti di aziende sostenibili dove gli animali sono allevati con rispetto. La riduzione nel consumo di carne può essere compensata con legumi da coltivazioni che rispettano la terra e non con la soia proveniente da altri continenti, frutto di monocolture che impoveriscono e avvelenano comunità e territori. Non c’è bisogno di altri sostituti altamente processati”, continua Nappini. Che dire inoltre dei finanziatori del settore, alcuni dei quali sono le stesse multinazionali responsabili dei danni prodotti dal sistema agroalimentare e zootecnico negli ultimi decenni? Tra i finanziatori della ricerca sulla carne in vitro ci sono ad esempio anche Cargill e Tyson Foods. Come evitare che questo nuovo mercato sia occupato e controllato da potenti corporations?

A breve l’Unione europea affronterà decisioni analoghe e i consumatori dovranno essere tutelati. Se sarà possibile definire in etichetta i prodotti da agricoltura cellulare con termini quali “carne” o “hamburger” o “bistecca”, la confusione sul mercato sarà totale. La trasparenza in etichetta è cruciale, è lo strumento più importante a disposizione dei consumatori per sapere cosa mettono nel carrello e fa parte di questo principio non consentire l’uso di termini fuorvianti. Già nel 2020 Slow Food aveva realizzato la ricerca I sostituti della carne, esaminando vari studi scientifici per approfondire gli effetti della loro introduzione sul mercato, con un’attenzione particolare alle implicazioni sulla salute umana, l’ambiente, il mondo produttivo. Il marketing sbrigativo a favore della carne coltivata e dei sostituti della carne ottenuti da cellule vegetali, potrebbero colpire non solo l’allevamento industrializzato che sta minando le risorse del pianeta, ma anche gli allevatori sostenibili e virtuosi, più fragili, già penalizzati dal mercato e poco sostenuti delle istituzioni. Un ulteriore approfondimento inoltre è il recente position paper di Slow Food Oltre il benessere: gli animali d’allevamento meritano rispetto, in cui è presente un’ampia analisi del tema della carne in vitro.

C.d.G.