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Scenari

Vinitaly nel mese di giugno, “sì” o “no”? La parola a produttori e consorzi di tutela

12 Gennaio 2021
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Pareri diversi: c’è chi dice che farlo in estate è tardi chi sostiene che è una vetrina irrinunciabile. Sullo sfondo la paura della pandemia. Ma c’è chi si sta organizzando con varie alternative

di Francesca Landolina

Mancano cinque mesi al Vinitaly o almeno a quella data segnata sul calendario con la speranza di tornare alla kermesse più importante per il mondo del vino in Italia: 20–23 giugno 2021. Di certo le incognite sono tante, si naviga a vista ma l’orizzonte è lontano e i pareri dei produttori si dividono tra chi salterebbe il giro e chi ci crede o almeno cerca di crederci fino all’ultimo giorno utile. Abbiamo sentito alcuni produttori e alcuni presidenti e direttori di Consorzi di Tutela. “Per un consorzio come il nostro – dice Carlotta Gori, direttore del Consorzio Vino Chianti Classico – il Vinitaly è fondamentale; ad oggi è difficile fare previsioni, ma se ci saranno le condizioni per farlo in serenità, noi ci saremo, in prima linea. Lavoriamo nell’ottica di un paese in ripartenza. E se il Paese riparte deve farlo consapevole del fatto che le fiere non saranno identiche al passato, ma bisogna pur ripartire”. Favorevole al Vinitaly anche Sandro Gini, presidente del Consorzio del Soave, che afferma: “Abbiamo iniziato gennaio in modo triste, ma se avremo la possibilità di tornare in sicurezza, facciamolo. Il Vinitaly sarebbe un ritorno, forse rivisto in una chiave più ristretta, ma comunque un inizio nuovo che serva da sveglia. Ripartiamo con il motore al minimo ma non lasciamo raffreddare la macchina”. Un parere quest’ultimo che trova d’accordo anche Camilla Lunelli, titolare assieme ai familiari di Cantine Ferrari, a Trento: “Se la situazione lo consentirà saremo felici di ripartire. Un Vinitaly sottotono però non farebbe onore alla kermesse. Serve serenità oppure si riparta in grande stile nel 2022”.

(Gaetano Morella e Angiolino Maule)

Non è rassegnato a cedere, al momento, neppure Angiolino Maule, produttore e anche fondatore della manifestazione VinNatur, parallela alla kermesse veronese, che afferma: “Fare il Vinitaly è una buona idea per risvegliare il mercato, per dire che non siamo morti, che siamo vivi. Stiamo a guardare per decidere, fino alla fine attendiamo un risvolto positivo, Covid permettendo”. Punti di vista e visioni di chi pensa soprattutto alla valenza simbolica ed emotiva che potrebbe avere questo Vinitaly 2021. Straordinario per il tempo in cui si terrebbe, ristretto, ridimensionato, ma comunque utile. Non tutti però la pensano così. Le perplessità sono forti, sia per la situazione pandemica attuale sia per l’utilità commerciale di una fiera a giugno quando “i giochi sono fatti”, come afferma lapidario il produttore pugliese Gaetano Morella da Manduria: “Bisogna assumersi la responsabilità morale di dire no”. Un parere più deciso, realista? Simile la visione del vignaiolo siciliano Fabio Sireci della cantina Feudo Montoni, che afferma: “A mio avviso un Vinitaly nel 2021, a giugno, è inutile. La leadership tedesca insegna. Il ProWein è stato sospeso perché se qualcosa si fa, deve essere conveniente. Quanti e quali importatori verrebbero a giugno a Verona? Anche volendo provarci, giugno è un periodo amorfo. Penso che non si farà”. Apprezzare ogni sforzo è lodevole, ma le perplessità sulla manifestazione diventano sempre più reali. “Ipotizzando che la manifestazione venga confermata e che possa sorprendentemente svolgersi in maniera normale, credo comunque che un buon numero di produttori potrebbe rinunciarvi perché la presenza di giornalisti e buyer probabilmente sarebbe inferiore rispetto a quella degli anni passati, ma anche perché molti produttori potrebbero voler investire diversamente le risorse economiche aziendali in un anno comunque ancora condizionato dalla pandemia”, afferma Antonio Benanti, presidente del Consorzio Etna Doc.

(Antonio Benanti e Camilla Lunelli)

Simile la visione di Alberto Mazzoni, direttore dell’Istituto Marchigiano di Tutela Vini (Imt): “Vinitaly è una vetrina importate, dovrà tornare quando si potrà. L’aggregazione è la primaria causa di contagio e come si gestiranno gli assaggi, le degustazioni e perfino le conversazioni? A giugno poi siamo troppo in avanti. Si vende a marzo. Bisogna reinventarsi, dare ossigeno al sistema e trovare soluzioni alternative a sostegno delle imprese, con la vendita di prossimità e con l’inserimento politico in Gdo delle piccole e medie imprese con prezzi remunerativi e con una campagna di comunicazione generale dell’agroalimentare certificato”. C’è dunque chi guarda oltre, nell’attesa di tempi migliori, senza stare ad attendere quella fiera che potrebbe non essere più utile dal punto di vista commerciale. La voglia di ripartire è diffusa, ma come? “Ambiamo tutti alla ripartenza, ma a giugno ha poco senso – afferma Matteo Ascheri, presidente del Consorzio di Tutela di Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani – Il Vinitaly potrebbe avere più una valenza simbolica. Il mondo del vino ha subito ripercussioni gravi. Ad inizio estate, molte decisioni commerciali saranno già prese. Ci sono troppe incognite oggi. Allora sì, se il Vinitaly serve ad incoraggiare le imprese, magari con prezzi più contenuti. Sappiamo che lo strumento fiera è in sé un po’ stanco. Una volta, era l’unico modo per incontrarsi, ma quel valore si è perso nel tempo. Per le piccole aziende ci possono essere fiere più specializzate”. Che non sia utile un Vinitaly a giugno dal punto di vista commerciale sono in tanti a pensarlo, ma non tutti. “Non è vero che i giochi sono fatti, i giochi sono sempre da fare”, dice con convinzione Maule. E dello stesso parere è Camilla Lunelli: “Sappiamo tutti che giugno non è il periodo ideale per una fiera, ma se il Vinitaly si potrà fare, non è escluso che non abbia anche un’utilità commerciale”.

(Domenicantonio Silipo e Gianmaria Cesari)

I dubbi comunque rimangono. “Con quale spirito andare ad una manifestazione che non sarà più la stessa cosa?” – afferma il produttore calabrese Domenicantonio Silipo patron della cantina Casa Comerci – “Ho delle perplessità se andare o meno. Perché l’impegno è notevole e davanti a noi c’è solo l’ignoto”. C’è tanta confusione in molti casi ma pure chi sente che mancano i riti, la convivialità, gli incontri di cui il mondo del vino vive. Ne parla Stefano Di Marzo, presidente del Consorzio Vini d’Irpinia e titolare dell’azienda Torricino: “Non mi rincuora pensare che la fiera di Verona salti. Significherebbe ripiombare nel baratro dell’isolamento. Vinitaly non è solo conoscere nuovi clienti, ma è anche una proiezione di vita dell’azienda. Farne a meno è una perdita, è una sofferenza. Mi auguro fino all’ultimo giorno utile che si faccia. C’è un bisogno emotivo più che commerciale”. Se così è, se il bisogno emotivo è più forte di quello commerciale, allora c’è chi dice sì al Vinitaly, anche in un periodo poco utile, riconoscendo la straordinarietà di un evento in un anno fuori dal comune. I punti di vista si alternano tra attese, consapevolezze e speranze. Diverse invece le considerazioni di chi valuta la funzione principale della fiera di Verona: l’utilità commerciale ed economica, a fronte di un costo per le aziende non proprio leggero. Le piccole aziende si interrogano sempre di più su quanto possa essere incisiva la presenza al Vinitaly. “Penso che nell’ultimo periodo il Vinitaly sia stato più una fiera del Triveneto. Gli affari veri si fanno al ProWein o in giro per il mondo – dice Sireci -. Non dico che non sia un piacere incontrarsi tutti a Verona, ma si conclude poco. Penso che le piccole aziende possano farne a meno, perché il valore commerciale della fiera è basso. Il “rito” del vino preferisco farlo in azienda o girando il mondo. Forse non è così per le grandi ma una piccola impresa può uscire dal “circo” e trovare altre strade”. Una considerazione, quella di Sireci, che accomuna le piccole aziende.

(Fabio Sireci)

A pensarla così anche Silipo: “La fiera di Verona è una vecchia manifestazione e una manifestazione vecchia. Bisogna reinventarla, perché ha fatto il suo tempo. Il mondo del vino è fatto da una miriade di piccole e medie imprese che mostrano inventiva. E la pandemia ha tirato fuori e portato alla luce modi diversi per raccontarsi, anche più capaci di esprimere il concetto di territorialità”. Le cose starebbero cambiando insomma e così la pensa anche Gianmaria Cesari, titolare della cantina Umberto Cesari di Castel San Pietro Terme, in provincia di Bologna. “Un Vinitaly a giugno? È prematuro dirlo adesso, ma rendiamoci conto del fatto che nel mondo del vino è in atto una rivoluzione. Siamo stati abituati alle fiere del passato, al contatto, a prenderci cura del “trade”, trascurando quel consumatore finale che oggi è al centro della scena. La sfida nuova è la multi-canalità. Le alternative alle fiere sono gli strumenti digitali, i webinar, le degustazioni e le presentazioni online, i social media. Credo che anche le fiere non potranno più sottovalutare l’impatto della digitalizzazione sul mondo del vino; impatto che la pandemia ha solo accelerato. Ci sono nuovi canali che rappresentano fonti di reddito e che sono una valida alternativa ai costi notevoli, un tempo sostenibili, delle vecchie fiere”. Vinitaly sì o Vinitaly no dunque? Si vedrà a breve; nel frattempo tra la voglia di ripartire e le nostalgiche immagini di un glorioso passato, soffia il vento del cambiamento. Forse questa esperienza servirà a reinventarsi, ad andare incontro alle esigenze di tutti, a connettere e a connettersi? Qualcuno lo sta già facendo.