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Scenari

Bianchello del Metauro, 50 anni di Doc: “Ora le Marche puntano sulle produzioni autoctone”

10 Giugno 2019
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(Il brindisi con i produttori di Bianchello del Matauro)

di Francesca Landolina, Fano

C’è una varietà di uva nelle Marche, quasi dimenticata nel panorama vitivinicolo italiano, che oggi rivive una fase di rinascita. È il Bianchello del Metauro, autoctono bianco e prima Doc ad essere approvata nella provincia di Pesaro Urbino (1969). 

Tra le 20 denominazioni del vino marchigiano (15 sono tutelate dall’Imt Istituto marchigiano di tutela vini), dimostra la piacevolezza del vino marittimo, suo punto di forza, insieme ad altri come la stabilità produttiva, il miglioramento qualitativo e la fidelizzazione di un mercato, che seppure prevalentemente locale e regionale, mantiene una produzione regolare dal 2011 al 2018. Poco più di 1 milione di bottiglie. “Con una forte identità il Bianchello del Metauro Doc si è ritagliato uno spazio che ha fatto proprio. C’è stabilità nei vigneti, gli imbottigliatori sono passati da 26 a 30, ed è importante il ricambio generazionale che rompe il muro dell’atavica chiusura marchigiana”, afferma Alberto Mazzoni, direttore dell’istituto di tutela vini marchigiani al convegno “Vini da Mare”, organizzato a Fano, per celebrare i 50 anni della piccola denominazione che vanta 2.226 anni di storia (il Bianchello è stato un alleato di Roma contro le truppe cartaginesi e galliche nella storica battaglia del Metauro del 2017 a.C. ed era famoso anche nel Rinascimento). 


(Alberto Mazzoni)

La denominazione, tutelata dall’Imt, si estende lungo il basso e medio corso del fiume Metauro, dove i vigneti si distribuiscono tra i comuni di Fano, Cartoceto, Saltara, Serrungarina, Montefelcino, Isola del Piano, Fossombrone, San Ippolito, Montemaggiore, San Giorgio, Piagge, San Costanzo, Orciano, Barchi, Fratterosa, l'isola amministrativa “Cavallara” del comune di Mondavio e parte dei territori comunali di Urbino e di Fermignano. Parliamo di una realtà di dimensioni contenute (200 gli ettari vitati) ma che negli anni ha saputo evolversi, passando dall’immagine di vino semplice e di grande bevibilità a un prodotto di maggiore personalità e longevità. Il disciplinare prevede che l’uva Bianchello possa essere tagliata al 5 per cento con la Malvasia bianca, ma la denominazione è ormai vicinissima al Bianchello in purezza. L’uva è molto produttiva, arrivando ai 140 quintali medi per ettaro ma i più selettivi scendono mediamente fino a 80 – 90. Complessivamente la Doc conta 66 viticoltori, 21 vinificatori, 30 imbottigliatori. E la produzione è di 10.712 ettolitri di vino certificati nel 2018 per oltre 1 milione di bottiglie (1.280.667).


(Antonio Centocanti, presidente Imt)

A dispetto della qualità e della sua identificazione come vino marittimo italiano, di ottime potenzialità, il suo prezzo medio è piuttosto basso. Si va dai 3,50 ai 6 euro, franco cantina. Il mercato locale rimane la linfa vitale dei piccoli produttori, che in media producono 50 mila bottiglie ciascuno. Solo 4 detengono l’80 per cento della produzione (Morelli, Guerrieri, Lucarelli e Fiorini). Quasi un terzo del vino prodotto tuttavia è venduto sfuso. Il costo medio per un ettaro di vigna ammonta a circa 25 mila euro e le piccole aziende puntano alla multifunzionalità, che rimane un’ancora di salvezza e anche un punto di forza, rafforzando il legame con il territorio e facendo leva sul turismo. Poco ancora l’export, appena il 10 per cento. Ma adesso si punta alla crescita del valore e all’enoturismo. Il valore del prodotto? “Il problema non è il vino, ma i produttori che sono i primi a non credere nel loro prodotto – senza molto tergiversare è lo stesso Mazzoni ad affermarlo – Se le Marche, in generale, sono rimaste indietro è perché è mancata la consapevolezza del valore di ciò che si aveva”. Su cosa puntare? “I vini marchigiani che hanno retto oggi sono il Verdicchio, il Pecorino e il Bianchello, quei vini insomma con una forte identità territoriale. Dobbiamo sfruttare l’enoturismo, il segnale positivo è che il Bianchello del Metauro ha tenuto una posizione importante nel tempo, non arretra davanti un mercato del vino che è sotto l’euro, in caduta libera. Per questo vino non ci sono prezzi straordinari, è vero, ma c’è tenuta. I produttori devono credere di più nel loro prodotto e migliorarne la qualità. Con gli investimenti messi in campo (Ocm e Prs Misura 1.33 e 3.2) abbiamo toccato il massimo per quelle che sono le nostre possibilità, stiamo tenendo una posizione forte per salvaguardare tutti, ma le normative mettono sempre più paletti, a scapito dei piccoli frammentati. L’adesione ai progetti promozionali è però cresciuta e questo è un buon segno di fiducia, perché il nostro problema è che, da autentici campanilisti, ci sottovalutiamo. Nel 2020 giocheremo una partita importante, ma ricordiamo che sono i produttori a fare grande una denominazione”.

  

Le ambizioni non mancano, ma occorre fare squadra. “Le marche alte riscoprono il mondo del vino, ma la via maestra è aggregarsi, la sola strada che ci può permettere di raggiungere obiettivi concreti”, sono le parole di Antonio Centocanti, presidente dell’Imt. “Vogliamo essere la Svizzera dell’agroalimentare. In un momento difficile bisogna investire e sfruttare le risorse del sistema agroalimentare. Abbiamo il problema della frammentazione aziendale, è vero. E per vincere, aggregarsi è un percorso obbligato per andare all’estero; dobbiamo creare la nostra nicchia di mercato nel mondo. Il terremoto del 24 agosto ci ha stroncato, ma dobbiamo ricominciare”. Tutto passa dunque attraverso l’urgenza di aggregare, per combattere la frammentazione aziendale. Nelle Marche del resto è mancata un’attività cooperativa importante. Nell’areale del Bianchello, per esempio, il cooperativismo non ha retto. E questo in realtà non è stato affatto un vantaggio. “Accanto alla piccola e media imprenditoria privata, ci doveva stare anche il mondo della cooperazione, che gioca un ruolo importante, come nel Veneto per esempio. Non è stato fatto un passo giusto”, commenta Mazzoni. 

Per la piccola Doc è però tempo di ricominciare e di crederci. Sono 15 le aziende aggregate che hanno partecipato alla manifestazione e al convegno “Vino da mare”, per raccontare la tipicità di un prodotto, che a pieno titolo può fregiarsi dell’appellativo di vino marittimo. Non esiste in realtà una codifica standard dei vini marittimi, ma Nomisma Wine Monitor traccia il quadro di sintesi dell’andamento dei consumi e dell’export dei vini marittimi top (leggi questo articolo). La leva turistica avvantaggia lo storico cinquantenne, ma adesso è il momento di lavorare alla crescita qualitativa e identitaria della denominazione. Con gli anni il desiderio di dare al bianco Doc una maggiore importanza ha spinto i produttori anche alla produzione del Bianchello Superiore, accanto alle bollicine e al passito. Ma dei nostri migliori assaggi ve ne parleremo in un prossimo articolo.