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Tendenze

Contraffazione alimentare, problematiche: disinformazione, accordi bilaterali, incorerenza europea nei criteri delle Doc

08 Aprile 2013
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Paolo De Castro durante il dibattito

Al Vinitaly si parla non solo di Made in Italy ma anche di Contraffazione alimentare.

Interviene Paolo De Castro, presidente della Commissione agricola del Parlamento europeo: “Su questo tema si inizia ora, è solo un avvio. Manca la cultura europea perché l'interesse è limitato a pochi paesi sui futuri 28, attendendo la Croazia a luglio” esordisce. Quale la strategia europea? “Lavorare per applicare le norme europee in Europa e guardare a quelle internazionali da dove spesso arrivano le battaglie che spesso entrano in contrasto”. De Castro è soddisfatto sul successo del pacchetto qualità approvato ma esorta ad “insistere in questa battaglia culturale e andare incontro alle aziende ed ai consorzio” Porta ad esempio il caso del marchio del prosciutto di Parma che ha perso la battaglia contro un'azienda canadese che può utilizzarlo secondo la normativa. Circa sette miliardi di euro, ecco il valore del mercato del falso made in Italy agroalimentare secondo l'indagine realizzata dal CENSIS nel 2012 per il ministero dello Sviluppo Economico.

Ad ospitare il convegno sulla Contraffazione delle indicazioni Geografiche italiane e la violazione del Made in Italy è lo spazio del Ministero delle Politiche Agricole al Palaexpo. Ha aperto i lavori l'avvocato Daniela Mainini, presidente del Consiglio Nazionale Anticontraffazione e autrice del libro”Fatto in Italia, no Made in Italy”. “Occorre che la politica si riappropri della tematica della lotta alla contraffazione ed i risultati raggiungi negli ultimi due anni sono un punto di inizio, e non un successo” dice la Mainini che continua “è necessario distinguere se il prodotto è stato realizzato completamente o solo nella fase finale di trasformazione del prodotto che deve essere chiarito dal punto di vista delle materie prime agroalimentari”.

E' intervenuto Giorgio Bocedi, avvocato nel campo della Proprietà Intellettuale e delle indicazioni Geografiche, e ha spiegato il nuovo regolamento 1151/12 sui regimi di qualità dei prodotti agricoli (ad esclusione dei vini). Ha voluto chiarire che la Specialità Tradizionale Garantita non è una denominazione geografica, sottolineando poi l'obbligo degli Stati Membri sull'avvio “d'ufficio” di procedure di controllo in caso di dubbio di contraffazione e di supporto economico alle certificazioni. E sull'attestato di certificazione puntualizza anche Luigi Disegna, presidente CSQA Certificazioni per lui  traccia deve essere sempre più rigida ed inequivocabile rispetto all'origine del prodotto ed al suo radicamento culturale nel territorio.

Luigi Giavi, direttore del Consorzio di Tutela della Doc Prosecco, in riferimento al tema del piano di controllo ha lamentato, durante l'incontro, lo sfruttamento della notorietà del nome “prosecco” più del “Doc”. E fa un sorriso sarcastico quando Giavi porta come esempio il “prosequito” cioè il monito al Prosecco, emblema del rischio della cattiva informazione.

Si è dibattutto anche sull'incoerenza europea, la mancanza di omogeneità dei criteri delle denominazioni di origine su scala mondiale e dei singoli accordi bilaterali. Berdard O'Connor,  avvocato dello studio legale internazionale NCTM: “La Comunità Europea fatica sullo scenario internazionale ed è necessario risolvere i conflitti”. Per  Giuseppe Liberatore, presidente del sistema associativo tra Consorzi, che ci sono accordi bilaterali che minano il successo degli obiettivi di tutela delle denominazioni locali. Altra questione è l'utilizzo di “nomi generici che, sottolinea Liberatore, demoliscono la valenza specifica delle denominazioni italiane da tutelare a livello normativo. Per farlo, aiutare le imprese a certificare i propri prodotti”. Ha chiuso la tavola rotonda Ezio Palissetti, consigliere di Valoritalia, che espone e ripropone uno dei problemi comuni al settore vitivinicolo: seguire e certificare tutto il processo produttivo. “Da non dimenticare – dice Palisetti – che colpire negativamente l'immagine del prodotto significa minare anche il territorio a 360 gradi”. Seconda questione: l'informazione sulla mole di lavoro che c'è dietro la certificazione. “È un ritardo culturale, dice Palisetti, che danneggia tutti gli operatori ed indebolisce il ruolo dei rappresentanti italiani nelle istituzioni internazionali”.

È una delle parole chiave più importanti cui far riferimento per le sfide future: disinformazione. Da qui si parte per dare sostegno alle imprese e alle strategie degli stakeholders locali.

Lucrezia Balducci