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Scenari

Fabio Sireci, Feudo Montoni: “Dobbiamo raccontare al mondo un’altra Sicilia a partire dal grano autoctono”

24 Settembre 2014
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Il produttore di vino fa un appello alle istituzioni per la tutela delle produzioni locali e chiede perché il progetto Born in Sicily sia stato abbandonato

Durante l’estate appena trascorsa, ha ricevuto la visita della sua importatrice di vino in Corea.

Insieme però non hanno parlato dei suoi vini pronti a conquistare la Corea del Sud (i primi ordini, circa diciottomila bottiglie pronte a partire, verranno evasi tra Ottobre e Novembre), di mercati e del boom di export delle aziende vinicole italiane in Asia. O del fatto che il vino in Corea non è più destinato soltanto ad un consumatore d’elite, ma sta approdando a settori sempre più ampi di pubblico. Inaspettatamente Fabio Sireci, titolare dell’azienda Feudo Montoni, ed Hellen-Wu (la sua compagnia è il distributore esclusivo delle aziende Olitalia, Barilla, Riso Scotti, Ferrarelle & Natia, Oro e Ronco) hanno parlato di alcune ricette italiane dal sapore antico che presto saranno raccolte in un libro, delle sette mamme italiane che ne saranno protagoniste (tra queste anche quella di Sireci)  e di grano. E del fatto che pochi in Corea del Sud lo hanno mai visto o lo hanno mai toccato.

“Eppure – spiega Fabio Sireci – i numeri parlano chiaro. La società di Hellen – Wu, per fare un esempio, fattura tredici milioni di euro e importa ogni anno 120 contener di olio da 40 piedi e 40 contener di pasta da 40 piedi pari a circa ottocento tonnellate”.  Della Sicilia poi spesso i coreani ignorano anche la posizione geografica. Figuriamoci se sono a conoscenza del fatto che nell’antichità l’isola è stata celebre soprattutto per la produzione del grano abbondantissima (non a caso durante la dominazione romana la Sicilia era chiamata il granaio di Roma) e coltivato già nel IV millennio a. C. . In Corea del Sud (ma anche altrove) ignorano, insomma, che nella terra del Gattopardo la storia ha lasciato tracce dappertutto come memorie condivise da riscoprire, che hanno aiutato a definire e ad unire la civiltà mediterranea.

Dove ricercare allora le ragioni di questo impasse? Fabio Sireci su questo argomento non ha dubbi: “Stiamo costruendo un mondo virtuale, un mondo da cartolina che non racconta davvero la bontà dei prodotti fin dall’origine. La vera Sicilia da promuovere è un’altra. E’ fatta di terra coltivata, di agricoltura e di un paesaggio agrario da riscoprire. Per questo motivo durante, la visita di Hellen in Sicilia, ho preso due sacchi di grano che lei non aveva mai visto e siamo andati a Roccapalumba presso il mulino Fiaccati. Un mulino ad acqua, costruito nel 1887, dove si fa realmente la molitura, e qui abbiamo ottenuto una farina di una dolcezza incredibile dalla quale abbiamo ricavato delle fettuccine. Perché allora – mi chiedo – i grandi marchi, ambasciatori della pasta nel mondo, non fanno conoscere da vicino il grano al consumatore straniero? La stessa Hellen, dopo questa esperienza, mi ha chiesto come mai i siciliani non invitano gli importatori stranieri di tutto il mondo, per raccontare i grani autoctoni moliti a pietra naturale e patrimonio genetico appartenente alla biodiversità mediterranea”.

Secondo alcune recenti pubblicazioni scientifiche è ormai riconosciuto all’unisono il fatto che il frumento duro rappresenti la materia prima sia per la produzione di pasta sia per la preparazione del pane e del cous cous nei Paesi che si affacciano nel Mar Mediterraneo. Gli stessi studiosi sostengono inoltre che anche in altri Paesi lo stesso cereale è ampiamente usato per produrre un’ampia gamma di prodotti principali per l’alimentazione (il Chapatis in India,il bulgur in Turchia, tortillas e mote in America Meridionale e Centrale per fare alcuni esempi). Per non parlare del loro benefico apporto sulla salute.
Un orientamento ormai mondiale che deve, però, ricordarsi di dare una nuova dignità all’agricoltura e all’agricoltore. Del resto lo stesso Catone il Censore ricordava nel De agri cultura al figlio Marco che l’agricoltore è un “Vir bonus, Marce fili, colendi peritus, cuius ferramenta splendent”.    

E ancora: “Bisognerebbe potenziare” continua Fabio Sireci “le politiche regionali siciliane di sostegno al  settore cerealicolo tutelando l’agricoltura e il vero made in Italy. Perché i grandi marchi non acquistano il grano siciliano? Dario Cartabellotta – già Assessore all’Agricoltura siciliana – stava portando avanti un grande progetto, il Born in Sicily, nel quale tutti noi credevamo molto. Perché è stato abbandonato? Una legge ad hoc dovrebbe, poi, informare il consumatore sulla reale provenienza del grano in modo che sia lui a scegliere quale pasta o pane acquistare. Grazie al vino italiano che ha fatto da apripista è certamente possibile veicolare questo nostro grande patrimonio in tutto il mondo. Spero tanto che il mio appello sia condiviso da molti  e che si inizi a dare voce anche agli agricoltori, rimasti per troppo tempo nell’ombra”.  

Rosa Russo