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Scenari

Latte crudo e un paiolo di rame sul fuoco: il cacio di Genazzano diventa Presìdio Slow Food

04 Settembre 2023
cacio di Genazzano cacio di Genazzano

Alle porte di Roma, sulle prime pendici dei monti Prenestini, due aziende agricole producono un pecorino a latte crudo appena diventato Presidio Slow Food: il cacio di Genazzano. Un formaggio dalla storia pluricentenaria, le cui più antiche citazioni risalgono al Seicento, quando il cacio era usato anche come moneta di scambio. Ma più di tutto, questo formaggio ha rappresentato per lungo tempo un’importante risorsa alimentare per le famiglie contadine che ne hanno tramandato, generazione dopo generazione, le modalità di preparazione. Un consumo limitato quasi esclusivamente a livello famigliare che, nel tempo, ne ha ridotto drasticamente la disponibilità in commercio, fino quasi alla scomparsa.

Rigorosamente a latte crudo…
Da anni Slow Food si impegna a diffondere la consapevolezza del valore del latte crudo, quello cioè che, dopo la mungitura, non viene né pastorizzato né termizzato. Un latte che conserva nutrienti, vitamine, enzimi, fermenti lattici e che trasferisce ai formaggi gli aromi e i profumi delle erbe e dei fiori del territorio di cui gli animali si sono alimentati. Far conoscere e promuovere i formaggi a latte crudo, secondo Slow Food, significa sostenere il lavoro di pastori, casari e affinatori, e al tempo stesso combattere la standardizzazione delle pratiche produttive e l’omologazione dei sapori di cui l’industria casearia, abituata a ricorrere a latti pastorizzati e a fermenti industriali, è responsabile. La straordinarietà del cacio di Genazzano sta quindi proprio nel modo in cui l’ambiente, il clima e il pascolo naturale si ritrovano nel latte. Una ricchezza che i produttori sono impegnati a conservare: “Da un anno stanno convertendo i pascoli in prati stabili – spiega il referente Slow Food del Presidio, Loris Pergolini – cioè in prati ricchi di essenze naturali, preziose per la biodiversità del suolo e importanti nell’alimentazione degli animali. Il processo richiederà ancora almeno quattro anni, durante i quali va allentata la pressione del pascolo su questi prati, affinché si rigenerino. Per le aziende sarà un periodo impegnativo, perché non potranno essere produttivi come prima, ma che si tradurrà in un aumento di valore del pascolo e, di conseguenza, anche del latte e del cacio: guardare più alla qualità che alla quantità è un bene”.

… e ancora con un paiolo di rame
Il latte, preziosissima materia prima ottenuta dalle tre razze ovine ammesse dal disciplinare di produzione (Comisana, Sarda e Massese, più i relativi incroci), viene poi scaldato in un paiolo di rame stagnato fino ai 35-38 gradi, mentre la coagulazione avviene con caglio animale. La tecnica tradizionale prevede la rottura della cagliata in due modi diversi: il taglio a nocciola per il cacio fresco, che verrà stagionato almeno un mese, quello a chicco di mais per la versione stagionata almeno sei mesi. La differenza, spiega il referente dei due produttori del Presidio, Luca D’Ottavi, sta nella dimensione dei pezzi di cagliata: più sono piccoli, minore sarà l’umidità al suo interno, la condizione migliore per una stagionatura più lunga. Dopo lo spurgo del siero, avviene la cottura della pasta: a 40 oppure a 45 gradi, sempre a seconda del grado di stagionatura desiderato. Infine, la salatura e il riposo. “Il cacio di Genazzano l’abbiamo sempre fatto – conclude D’Ottavi – ma in realtà non lo sapevamo nemmeno. Da quando, circa vent’anni fa, abbiamo sostituito le vacche con le pecore, abbiamo semplicemente seguito le indicazioni dei pastori locali: il formaggio cambia, stagione dopo stagione, in base a ciò che i nostri ovini mangiano. È davvero un prodotto in funzione del territorio”.