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Vivere di vino

Ornella Venica: dalla Sicilia una lezione per il mio Friuli

20 Giugno 2012
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Fiera di essere donna, ama i dolci, ricerca l’eleganza e il suo credo è la famiglia.

Moglie, madre e manager, il fattore rosa è la forza propulsiva di Ornella Venica (nella foto), uno dei nomi del vino più legati al mondo del Collio. Lavorando a fianco del marito Gianni, del cognato Giorgio e di Giampaolo, la nuova generazione, è la portavoce di Venica&Vencia, storica azienda di Dolegna del Collio, e di quella mezzaluna al confine tra Italia e Slovenia che conta 1500 ettari di vigneto con una produzione di quasi 9 milioni di bottiglie a denominazione, la perla bianchista dello stivale. Una “fanatica” del territorio, nel suo percorso professionale lo ha difeso e valorizzato con una doppia presidenza al vertice del Consorzio Collio e del Movimento Turismo del Vino, quando questo valore non era ancora diventato un must del marketing. Continua a farlo oggi, ogni giorno, segnando una sola parola nel planning della sua missione: distretto. Ci spiega il perché.

Lei si definisce portavoce di una famiglia del vino, orgogliosa e felice di esserlo. Quanto conta per lei la famiglia nella sua realtà professionale?
“La famiglia è il punto di partenza. L’entità che dà i contenuti alla persona e che riesce a stimolare l’entità singola, a trasferire correttezza ne confronti di se stessi, delle persone e del territorio. Ognuno di noi occupa un ruolo e il coordinamento è fondamentale. Certo il più ingrato, tra virgolette, è quello che spetta a mio marito, perché è il capofamiglia, deve gestire i problemi di ciascuno e di tutto il gruppo”.

Il Collio, piccola realtà enologica d’Italia, che peso sta conquistato nel mercato?
“Le rispondo con un aneddoto. Arrivai in azienda 22 anni fa, allora era solo gestita da mio marito. La prima uscita per presentare i nostri vini la feci nel Colorado, ad Aspen, in un evento che coinvolgeva operatori del luogo. Mi chiesero da dove venissi, orgogliosamente risposi che ero di Dolegna del Collio. Mi risposero “Where is?” Specificai Friuli Venezia Giulia. Di nuovo mi risposero: Where is?” Specificai ancora che si trovava in Italia. Ma ancora non riuscivano a identificare il luogo. Dovetti dire che la cittadina si trovava vicino Venezia, utilizzando un riferimento culturale, l’unico allora conosciuto e legato al nord del nostro Pese. Adesso è un po’ più facile comunicare il mio territorio perché si tratta oggi della zona a Doc leader nel panorama dei bianchi italiani, assieme al Trentino Alto Adige. Ma ancora c’è bisogno di fare una grande opera di comunicazione sulla valenza ambientale di quest'area. E' la sfida di adesso”.

Cosa si dovrebbe fare ancora sul posizionamento territoriale?
“E’ fondamentale l’alleanza strategica con le istituzioni, fare massa critica, il singolo marchio può andare nel mondo ma con costi enormi e coinvolgendo un numero limitato di buyer e operatori turisti. Invece tutti gli attori in campo dovrebbero mettersi in rete istituzioni comprese”.

Pensa ad un modello in particolare?
Il distretto. Lo potremmo diventare con il supporto delle istituzioni. Si dovrebbe fare come è stato fatto in Sicilia, che è la regione che meglio sta comunicando e che più sta facendo passi in avanti. Tra quelle d'Italia una delle più virtuose  dove i finanziamenti sono stati spesi con criterio e i risultati li stanno ottenendo. Quando si parla di fondi non significa regalare lo si deve intendere come cofinanziamento di un progetto. Il distretto nella sua interezza può essere la chiave di svolta perché altrimenti continuiamo ad essere associazioni singole e perdere il punto di arrivo. Dovremmo essere tanti rigagnoli che confluiscono. Non possiamo comunicare il singolo territorio. E questa riflessione la estendo all'Italia intera”.

Il fatto che il Collio sia terra di confine lo considera un vantaggio? Oggi anche punto di partenza per nuovi progetti?
“Si potrebbe pensare a un progetto turistico e di comunicazione di carattere mitteleuropeo che colleghi il Collio con la Slovenia e l'Austria, per chiudere il cerchio ideale che vede proprio il Collio come la porzione mancante. Ma in Italia ci sono difficoltà a raggrupparsi tra le aziende appartenenti persino a province diverse nella stessa regione figuriamoci un piano di tale portata. Basti pensare alle difficoltà insormontabili tra la vallata a nord dello Judrio nel goriziano e quella orientale della provincia di Udine, anche riferite alla sola unificazione o condivisione di servizi come internet.

Fuori dai confini nazionali chi è il più bravo a comunicare il territorio?
“I francesi ovviamente. Curano il territorio come casa loro. Non posso dimenticare quando sono andata a visitare le maison della Champagne come Roederer o Pol Roger, ho potutto constatare un'ospitalità strepitosa. I francesi hanno rispetto del proprio territorio e dell’ospite. Loro hanno capito l’importanza di saper accogliere. Parametro fondamentale che noi cantine in Italia dobbiamo tenere in considerazione”.
 
Per lei qual è il punto di forza dei vini del Collio?
“La longevità. Possono durare per 10 anni. Così come si può aprire un bianco della Borgogna dopo 20 anni allo stesso può avvenire con i nostri bianchi. E stiamo in quest’ultimo periodo comunicando questo valore aggiunto, facendo in modo che la territorialità venga fuori dalla longevità. In azienda lavoriamo in tal senso oramai, portanto l’apparato radicale a sforzarsi per trovare nutrimento in profondità, affinché diventi estrattore dello spirito di quel territorio”.

Il vitigno che più la sorprende o che le piace bere.
Il Pinot bianco.

Perché?
Esprime l’eleganza e le potenzialità di una terra che è il cuore della Vecchia Europa Ha un carattere che può sembrare inizialmente discreto, è elgante anche se ha una struttura che rimane impressa. Lo paragonerei ad un abito di Armani o, guardando fuori dall’Italia, al mondo di Hermes o di Chanel.

Quando lo beve?
Nei momenti di relax e di chiacchiere con gli amici.

Un rosso del cuore?
Il Refosco. Perché mi ricorda quello che faceva mio padre. Ed è il primo vino, il primo assaggio di cui ho memoria.

Nel vostro sito fate comunicazione sulle annate per educare l'utente su questo tema. Per lei la migliore in assoluto?
“Sono due la 1996 per quanto riguarda il nostro Pinot Bianco e la 2001 del Ronco delle Mele Sauvignon”.

Essere donna la aiuta nel suo lavoro?
“Si. Il mio ruolo è rispettato e devo dire che provengo da un ambiente di lavoro maschilista. Prima di incontrare mio marito lavoravo come geometra in uno studio di progettazione tecnica all’interno delle Ferrovie dello Stato, può immaginare in che contensto stavo. Conta tanto l’indole femminile ma non mi piace parlare di quote rosa. L’importante è fare valere la propria sensibilità ed  essere se stesse avendo anche il coraggio di mostrare il sorriso o una lacrima”.

Quanto contano per lei i ricordi?
“Sono una donna che vive alla giornata. Non ricordo i sogni di bambina. Ogni giorno sorge il sole, ogni giornata è nuova vita e ogni giorno bisogna ascoltarsi con il cuore e la mente. Non sono legata al passato, certo mi ha portato ad essere la Ornella di adesso  ma cerco vivere intensamente quello che sto facendo. C’è sempre un appiglio su ciò che sarà domani. Nell’oggi c’è sempre, per me, qualcosa di incompleto, un lavoro o progetto che sono costretta a rimandare a domani. Sono proiettata al futuro”. 
 
Ornella e Gianni come sono nella vita?
“Premetto che viviamo in azienda e dagli uffici all’appartamento c’è solo una rampa di scale. Quando entriamo in casa continuiamo a parlare di lavoro. Alla fine è inevitabile. Ma io amo consultarmi con mio marito su qualsiasi decisione o aspetto inerente alla cantina. Siamo una coppia di vita quando partiamo in vacanza. Lì ritorniamo ad essere come tutte le altre famiglie. Per noi il legame è la cosa più importante e va al di là dell’istituzione del matrimonio stesso. Pensi che abbiamo voluto sposarci in occasione del primo compleanno di nostra figlia”.

Ultima domanda, a parte il vino la sua più grande passione?
“I dolci. A pranzo non mi faccio mai mancare qualcosa di dolce o addirittura faccio un intero pasto con il dolce. Ogni giorno ho bisogno di zuccheri”.

E le analisi che dicono?
“Perfette. Evidentemente per il mio temperamento brucio molto”.

M.L.