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L'intervista

Piero Cella: “O cambia la testa dei vignaioli, o la Sardegna rimarrà un’eterna incompiuta”

12 Novembre 2020

di Giorgio Vaiana

Il suo amore per la Sardegna lo percepisci subito. Bastano le prime parole.

Piero Cella, enologo e titolare dell’azienda vitivinicola Quartomoro di Arborea, in provincia di Oristano, risponde con garbo alle nostre domande. E lo fa sempre prendendosi qualche secondo prima di iniziare a parlare. Quasi a voler pesare e pensare con cura le parole. Ma per tutto il tempo della nostra chiacchierata telefonica, Cella lascia sempre trasparire la passione per il suo lavoro da enologo e quella per la sua terra, la Sardegna. Un nome su tutti ha cambiato la sua vita: quello di Giacomo Tachis, “il mio maestro”, dice. “Ma in realtà – prosegue Cella – Tachis è stato il maestro di tantissimi produttori della Sardegna. Stiamo parlando degli anni ’90. Lui è riuscito a creare la sensibilità e l’approccio giusto nella produzione e promozione del vino. Aveva una visione unica e straordinaria, tipica dei geni. Ecco dopo Tachis c’è stato il vero exploit”. Cella non ha dubbi. E’ questo il periodo in cui la “Sardegna del vino” acquisisce consapevolezza, “in cui – aggiunge Cella – il livello tecnico medio diventa molto elevato e oggi abbiamo la fortuna, cosa che c’è in altre regioni italiane, di avere un approccio completo al mondo del vino, in tutte le sue sfumature. E quindi c’è la grande azienda che fa qualità, quella da un milione di bottiglie che tiene alto il valore del suo vino e le produzioni di nicchia che stano lavorando molto sul concetto di sostenibilità, quindi molto legato alla questione “vini naturali”. Ora si fanno vini con una grande identità territoriale”.

Già perché la Sardegna è orgogliosa dei suoi vitigni autoctoni, Vermentino e Cannonau in primis: “Non ci siamo lasciati attrarre dai vitigni internazionali – spiega Cella – che sono presenti, ma in maniera molto complementare. Ecco abbiamo perseguito l’obiettivo della valorizzazione dell’autoctono che al momento paga a livello di immagine nel mondo. A livello qualitativo si sta facendo qualche passo in avanti, anche se di strada ne rimane tanta da fare”. Per Cella c’è un problema: “Non riusciamo, noi produttori, a fare massa critica, massa condivisa, a remare tutti nella stessa direzione – dice – Dovremmo cercare di diventare effettivamente una regione di peso, dal punto di vista enologico. E mi fa ancora più rabbia quando penso a tutto il potenziale inespresso. Diciamo che abbiamo seriamente la necessità di una cabina di regia, ma non fatta da politici. Devono essere gli stessi produttori. La politica non può decidere per noi, lei deve essere al nostro servizio. Ora il passo deve venire dal mondo delle filiere e se non riusciamo a capire questo diventeremo sempre più una regione che fa qualità, ma che non viene percepita come un sistema funzionante nella promozione. E’ una cosa che lamento da tempo, ognuno pensa al proprio orticello. Ma credo che sia una forma culturale. Ci vorrebbe un bravissimo psichiatra per cambiare la testa dei produttori della Sardegna”.

La vendemmia 2020 è ormai alle spalle e Cella traccia un bilancio: “Siamo tornati a delle produzioni di discreto spessore quantitativo – dice – e anche la qualità ci sta gratificando. Abbiamo avuto temperature ideali rispetto alle tre ultime annate che ci hanno fatto penare. Nonostante qualche gelata improvvisa, invece, quest’anno è stata un’annata interessante per il Vermentino, sia per la quantità che per la qualità. Meno produzione di Cannonau, invece, anche se non riesco a dire una cifra del calo, ma dal punto di vista qualitativo sono soddisfatto”. Cella è consulente di decine di aziende in Sardegna: “Adoro poter condividere questo percorso con le aziende – dice – Ho sempre l’obiettivo di valorizzare la terra. La mia azienda, invece, è un piccolo laboratorio di idee ed errori che mi consente di sperimentare attraverso la nostra diversità varietale le tecniche ancestrali, che sì appartengono al passato, ma le vedo come “futuribili”. Mi piace toccare con mano ogni dettaglio della parte tecnica per cercare di valorizzare al massimo la viticultura, attraverso la storia e la tradizione delle gestualità”. Poi un pensiero sul vino naturale: “Il tipo di approccio è fantastico – dice – Ma attenzione: dobbiamo pensare alla sostenibilità economica. E questo tipo di agricoltura non lo è. Tutto deve essere sempre sostenuto dalla capacità imprenditoriale e, come ho detto, dalla sostenibilità economica di un progetto. Non si può escludere questo dettaglio. Abbiamo sempre più bisogno di aziende che abbiano più stabilità economica, culturale e sociale”. E il futuro? Come immagina la Sardegna del vino tra dieci anni? “Domanda complessa – conclude Cella – Credo che se non riusciamo a creare un tavolo di confronto e di condivisione, la Sardegna rimarrà un po’ come quella azienda che sta per emergere, ma che non riuscirà ad esprimere mai il valore massimo della sua potenzialità”.