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L'intervista

Ruenza Santandrea: “In Romagna si fanno grandi vini. Ma serve tanta promozione”

11 Agosto 2020
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La nostra intervista a Ruenza Santandrea, neo-presidente del consorzio vini di Romangna. Con lei parliamo del presente e del futuro della denominazione che sta sempre di più acquisendo consensi. 

E’ stata eletta da poco come nuovo presidente del consorzio vini di Romagna. Ruenza Santandrea è la prima donna, in 58 anni di vita di consorzio, ad avere questo ruolo. “Anche se nel 2020 non dovrebbe fare più notizia”, dice lei. Oltre 110 soci che rappresentano l’80 per cento del vino romagnolo, per una produzione che supera 110 milioni di bottiglie (più di 16 milioni le bottiglie Doc e più di 95 milioni quelle Igt). La Doc è nata nel 1967, sintesi delle Doc Sangiovese, Albana Spumante, Pagadebit, Trebbiano, Cagnina. Il disciplinare unico Romagna è avvenuto nel 2011 con DM del 22 settembre Un disciplinare che in 9 anni ha subìto ben 9 modifiche. Con la Santandrea parliamo a 360 gradi della situazione dei vini in Romagna.

Aspettative per questa vendemmia?
“La vendemmia 2020 si presenta positiva. Le uve sono molto sane, l’impressione è di una vendemmia di buona qualità e contenuta in quantità. Molto dipende ovviamente dal clima del mese di agosto. L’andamento climatico è al momento favorevole, con buone escursioni termiche notte-giorno (tranne che nei giorni più recenti)”.

Quali sono le zone di riferimento della Doc?
“Per descrivere il territorio della Doc, semplifico dicendo che è la Romagna. Siccome, però, nessuno ne conosce i confini, diciamo che possiamo prendere a riferimento la via Emilia, da Castel San Pietro (Bo) a Rimini, passando per Imola (Bo), Faenza (Ra), Forlì e Cesena, scendendo nella pianura ravennate fino alla San Vitale per la DOC del Trebbiano. La Romagna del vino, praticamente, si è insediata sui territori che furono dei Galli Lingoni e dei Galli Senoni, nella Provincia Flaminia di Traiano che poi fece parte dell’Esarcato bizantino d’Italia, per rimanere poi per secoli ai margini dello Stato Pontificio”.

La Romagna, però, non è solo mare…
“E’ vero, della Romagna si conosce solo il mare. Colpa nostra. Dopo il “viaggio enoico” di Mario Soldati, pochissimi si sono spinti nei mille borghi delle nostre colline a scoprirne bontà e bellezze. Il paesaggio romagnolo è composito e vario, mai noioso e mai banale, persino in piano, dove città piene di mosaici e di pievi fanno da cornice alle bollicine di Trebbiano, da sempre sinonimo di festa. A sud della via Emilia è un susseguirsi di colline e di borghi circondati dall’oro dei grappoli dell’Albana e dalla “perla nera” della Romagna: il nostro Sangiovese. Un territorio tutto da scoprire: il mare è solo la punta dell’iceberg, oltre al mare c’è di più. Si pensi solo ai vari parchi naturali: passiamo dalle foreste casentinesi, al parco della vena del gesso, a quello del Delta del Po. E le città? Si va dalle vestigia romano-bizantine di Ravenna (tutti dovrebbero farsi estasiare dai mosaici di Classe e dall’austera imponenza del mausoleo di Teodorico), al bianco ponte di Tiberio che ci introduce nella Rimini dei Malatesta; da qui la Via consolare ci porta alla Rocca di Cesena, a San Mercuriale a Forlì, alla neoclassica Faenza, per approdare alla Rocca e ai palazzi in mattoni rossi di Imola. Sono d’obbligo le piccole deviazioni sui colli, nei vari borghi, tutti da scoprire: da Sant’Arcangelo a Pennabilli, a Sogliano, da Castrocaro a Brisighella, da Dozza a Castel San Pietro, senza dimenticare che anche nella “Bassa” ci sono pievi meravigliose (da Campiano, a Bagnacavallo, ad Argenta) e si può ritornare al mare passando per la città d’acqua di Comacchio. Ma come faccio a nominarle tutte le bellezze da scoprire in Romagna?”

Si dice che i romagnoli abbiano un caratteraccio…
“Caratteraccio il nostro? Non poteva essere diversamente, con questo impasto di popoli diversi che qui sono arrivati e mescolati, dagli Etruschi, alle varie tribù galliche, ai Bizantini. Tanto accoglienti quanto sanguigni”.

Che vini sono i vostri?
“Sono vini diversi e con questa terra e questo background culturale, non potrebbe essere diversamente. I vini “storici”, che poi sono anche quelli più diffusi sul territorio, sono Sangiovese e Albana in collina e Trebbiano, coltivato in gran parte in pianura. Sono vitigni la cui presenza in Regione si perde nella notte dei tempi. Sul sito del Consorzio sono riportate le epoche dei vari documenti certi. Il Sangiovese, coltivato nelle provincie di Bologna, Forlì-Cesena, Ravenna e Rimini, esprime al meglio le sue caratteristiche nelle categorie superiore e riserva, per le quali si presta molta attenzione alla raccolta delle uve al giusto grado di maturazione, per conferire al vino un bel colore rosso rubino con riflessi violacei, sentori di viola e ciliegia, mantenendo una bella freschezza e una bella bevibilità. Giovane si accosta sia a piatti di pasta e carne sia di pesce. Il riserva ha una struttura potente che ben si abbina alla cucina romagnola che tutti conoscete. Le “50 sfumature” di Sangiovese, ovvero le diverse espressioni di un vitigno molto sensibile all’ambiente, sono da ricercare nelle Sottozone, in bottiglie che si fregiano della Menzione geografica aggiuntiva specifica in etichetta. L’Albana è un vino bianco straordinario, che esprime il meglio di sé nelle tipologie secco e passito. È un vino bianco importante, giallo paglierino tendente al dorato, con un fruttato deciso (note di frutta gialla) e una struttura potente: di lei si dice che sia un rosso travestito da bianco. La troviamo coltivata in una stretta fascia collinare che attraversa le province di Bologna, Forlì/Cesena e Ravenna. E infine il Trebbiano, soprattutto nella pianura, da sempre spumantizzato. Di colore paglierino, sapido e armonico, sprigiona in bocca una bella freschezza. La sua coltivazione interessa tutte le province romagnole da Bologna a Rimini. Dalla vendemmia 2019 è possibile produrre Romagna Bianco Spumante Doc e Romagna Rosato Spumante Doc – i cui disciplinari prevedono, rispettivamente, una base di Trebbiano e una di Sangiovese prevalenti (minimo 70%) – che possono fregiarsi del marchio collettivo europeo “Novebolle”. E poi ci sono le Doc “minori”, ma solo per quantità, perché esprimono anch’esse prodotti di sicuro interesse: Pagadebit, Cagnina, Rebola”.

Ci parli del Pagadebit…
“Il Pagadebit (da uve Bombino bianco), oltre ad avere un nome accattivante derivante dall’essere molto rustico e capace di produrre anche in annate difficili, si coltiva nelle province di Forlì-Cesena, Ravenna e Rimini. Di colore paglierino, profumi caratteristici di biancospino, dal sapore erbaceo e armonico, molto versatile, comincia a essere conosciuto ed apprezzato anche all’estero”.

Qual è il punto di forza e quale quello di criticità del vino romagnolo?
“Il punto di forza e criticità è lo stesso. Il territorio romagnolo che esprime questi vini e la loro qualità è poco conosciuto (criticità), ma quando lo si conosce piace molto e questo è un punto di forza, vuol dire che ci sono ampi margini di miglioramento”.

I suoi progetti per il mandato da presidente?
“Per i progetti di medio-lungo respiro, tutti i soci sono mobilitati su una discussione incentrata sull’identità, che deve emergere dall’esplorazione di vari aspetti (storia, territorio, cibo, turismo e strumenti di comunicazione), che andrà a sintesi in autunno. Posso anticipare che abbiamo la forte convinzione che lavorare molto sul far conoscere il nostro territorio sia la leva per far conoscere meglio i nostri vini in Italia e all’estero. La Romagna è conosciuta per due cose: il mare e l’ospitalità. I nostri progetti intendono comunicare che c’è un’altra Romagna, sconosciuta e affascinante, cui non manca né storia (tanta e anche molto violenta), paesaggi da sogno, bellezza architettonica, borghi deliziosi, artigianato di qualità, cibo – l’Artusi dice tutto! – e vini meravigliosi. Ci vorrà tempo, ma si può fare”.

F.C.