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Il personaggio

Sergio Zingarelli : “Il futuro di Rocca delle Macìe? Punto tutto sul territorio, sul Chianti Classico, sul Sangiovese”

25 Dicembre 2014
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Cambia il nome dell’attore protagonista. Non più Italo, ma Sergio. Restano immutate la passione familiare per il vino, per la Toscana, e poi quella medesima determinazione a puntare sulla qualità.

Mentre la storia dell’azienda vitivinicola  Rocca delle Macìe, a Castellina in Chianti, in Toscana, iniziata negli anni ’70, prosegue ed evolve. Forte del passato, oggi il produttore Sergio Zingarelli, di origini romane, ma toscano per scelta, ha reimpostato l’azienda,  puntando più che mai sulla qualità, sul territorio e  in particolare sul Sangiovese, anima del Chianti Classico.

Ma facciamo un breve passo indietro. Rocca delle Macìe è nata un po’ per gioco o forse per quella volontà indistruttibile che fa volare alta un’idea e non si arresta finché non la vede realizzata. La storia è quella di un’azienda  nata per opera e volere di un uomo, romano doc, Italo Zingarelli, padre di Sergio, che passa da ring al cinema, diventa produttore, regista e direttore cinematografico per poi fondare la sua azienda vitivinicola, il sogno di una vita, in Toscana.  Una storia, ormai nota, di cui vogliamo conoscere il presente e soprattutto la direzione futura.
Incontriamo a Castellina in Chianti, proprio nel borgo di Rocca delle Macìe, dove oggi vive con la moglie e i figli, Sergio Zingarelli, (adesso Presidente del Consorzio di Tutela del Chianti Classico).

Lei ha radici romane. E una passione per la Magica Roma. La Toscana come si colloca nella sua vita?
“La Toscana è la mia vita. Verissimo. Ho radici romane. Roma rimane la terra in cui sono nato e dove è nato mio padre. Tifo solo e unicamente per la Roma, ma in Toscana c’è la mia passione, qui ho fatto nascere i miei figli, e poi mio padre diceva sempre: “Possiamo sentirci più toscani dei toscani, perché loro sono obbligati ad esserlo, noi la Toscana l’abbiamo scelta”. Roma rimane una città a cui sono legato, dove ritrovo amici e familiari nei week end”.

Parliamo di Rocca delle Macìe. Cosa ricorda degli inizi a fianco di suo padre.
“Rocca delle Macìe è nata quasi per gioco. Mio padre ha sempre avuto il sogno di avere un azienda vitivinicola e quando ha avuto la possibilità di fare l'investimento non ha esitato. Ricordo che dopo aver girato “Io sto con gli Ippopotami” in Sud Africa, tornò a casa con una visione chiara. Era giunto il momento di concretizzare il suo sogno. Mi fa sorridere pensare che ha cominciato comprando  una biblioteca di libri sul vino per passare poi ad all’acquisto di un’azienda che ha trovato qui nel Chianti: una fattoria quasi fatiscente con case diroccate, appartenente a due famiglie di ex mezzadri che stavano per abbandonarla. I passi successivi sono segnati da un’estensione sempre maggiore. Nel luglio del ‘73 compra le Macìe (65 ettari), poi Sant'Alfonso tra i comuni di Castellina in Chianti e Poggibonsi (130 ettari). Nel ‘79 costruisce il borgo, impianta i primi 100 ettari di vigna e nell'80 inizia l'attività commerciale vera  propria. In quegli anni ha avuto la  fortuna di entrare in una cerchia di aziende che avevano deciso di produrre un vino innovativo dell’epoca, il Galestro, e grazie al fatto che potevano produrlo solo 14 aziende, ottiene risultati importanti con un’esplosione commerciale negli inizi degli anni ‘90. Io sono entrato in azienda nel ‘84, occupandomi soprattutto della parte commerciale. Oggi siamo una delle più importanti aziende toscane in America”.

Un’eredità importante. Ma i tempi cambiano in fretta e il mercato anche.  Non si può più pensare solo in termini di espansione numerica. Su cosa punta oggi Rocca delle Macìe?
“Crescendo ho capito che era giunto il momento di dare una nuova impostazione all’azienda. Negli anni ‘90 ci ritenevamo abbastanza soddisfatti, ma occorreva fare una scelta: continuare ad espanderci o crescere puntando sulla qualità e dunque su un posizionamento ancora più alto nel mercato. Abbiamo scelto la qualità”.

Tradotto in azioni?  Cosa ha significato tutto ciò in termini di scelte strategiche?
“C’è stata un rivisitazione di tutto il patrimonio viticolo; nel 2000 un acquisto di due aziende in Maremma (la tenuta Campomaccione con 80 ettari e la fattoria Casamaria con 67 ettari) destinate alla produzione del Morellino di Scansano e del Vermentino e di alcune basi per i nostri vini più importanti. Poi abbiamo comprato un’altra tenuta qui a Castellina in Chienti di circa 12 ettari. Abbiamo impostato tutta l’azienda per la ricerca di un prodotto utile per i vini che volevamo produrre, puntando tutto sul Sangiovese. Non più su uve internazionali come negli anni ‘ 90. Oggi scommettiamo sul nostro vitigno con tecniche diverse rispetto a 50 anni fa.  Per fare ciò però dovevamo innovare i vigneti ancora in produzione, quindi abbiamo fatto un grosso sforzo estirpandoli per sostituirli con vigneti che potessero dare la materia prima che ci serviva. Questo è stato l’investimento più importante insieme ad un lento riposizionamento che oggi ci restituisce ottimi risultati, anche se c’è ancora tanta strada da fare”.

E oltre alla rivisitazione del patrimonio viticolo?
“Contemporaneamente abbiamo deciso di cambiare la tipologia dei prodotti, lasciando al passato colorazioni spinte e piacevolezza alcolica per orientarci verso vini più gentili ed eleganti. Per accelerare su ciò, ci siamo avvalsi della consulenza di Lorenzo Landi, prima agronomo e dopo enologo, che cura in maniera maniacale la parte viticola. Oggi cerchiamo di impostare il vigneto in modo da non diradare l’uva successivamente: dalla fase della potatura decidiamo la quantità di uva da produrre per  pianta nei vigneti selezionati, per poi verificarne la qualità migliore. Consapevoli poi del fatto che cambiano i risultati qualitativi in base al clima e alle esposizioni, abbiamo fatto della diversificazione dei nostri terreni un punto di forza: la nostra peculiarità, che ci permette di monitorare la materia prima, privilegiando la qualità. Dal 2013 al 2014 infatti abbiamo avuto qualità diverse su vigneti con esposizioni diverse. In qualche caso, le migliori uve le abbiamo ottenute dai vigneti esposti peggio e non nella “maniera perfetta”, sud/sud ovest, come molti dicono . Nel 2013 per esempio l’annata è stata così calda che nei terreni più freschi, esposti a nord, siamo riusciti ad ottenere i prodotti migliori”.

Come inquadrare in cifre Rocca delle Maciè?
“Produciamo 3 milioni e mezzo di bottiglie e diventiamo sempre più un’azienda di Chianti Classico. Forse anche per ciò mi sono meritato, fino ad aprile del prossimo anno, la presidenza del Consorzio.  Calcolando che sono il primo presidente a non essere toscano, è motivo di orgoglio.  La gamma della produzione è ampia:  15 rossi, 7 bianchi, a cui aggiungiamo 4 specialità”.

Quale la vostra posizione nei mercati Italiano ed Estero?
“Il marcato italiano negli ultimi anni è calato d’importanza e questo per vari fattori. Innanzitutto si consuma meno vino e poi c’è una sempre più spiccata regionalizzazione dei consumi. All’estero  cresciamo; siamo presenti soprattutto nei principali mercati, USA e Canada. Negli Stati Uniti vendiamo più che in Italia. Il terzo mercato è quello tedesco, a seguire mercati medio grandi (Inghilterra, Brasile, Belgio, Olanda, Francia, Russia)”.

E il mercato asiatico?
“C’è da lavorare. Siamo presenti abbastanza bene in Giappone, Taiwan e Vietman. Si parla tanto della Cina: è ancora un paese prematuro, ma da seguire. Lì occorre seminare tanto perché è enorme potenzialmente, ma il segmento dei vini medi ne soffre. In quel mercato vanno bene o i vini dal prezzo bassissimo  o le grandi griffe. Il Chianti Classico ha difficoltà. Bisognerebbe lavorare sul grande nome”.

A proposito di Chianti Classico. Ci sono due vini di punta Rocca delle Macìe entrati di diritto nella nuova denominazione istituita dal Consorzio di Tutela del Chianti Classico: Gran Selezione Sergio Zingarelli 2010 e Gran Selezione Riserva di Fizzano 2011.
“Quando il Consorzio, nel 2013, ha presentato la “Chianti Classico Revolution”, avevo nelle mani un vino, il cui percorso era nato 16 anni prima con il reimpianto di tutti i vigneti Sangiovese della tenuta Le Macìe. Volevo dargli il mio nome. Probabilmente sarebbe diventato un altro IGT, dato che lo volevo in una produzione limitata e ad un prezzo più elevato, considerata la qualità. Ma con la nuova denominazione, abbiamo preso il coraggio a due mani e deciso di farlo entrare nella Gran Selezione, tipologia in cui ha trovato la giusta collocazione. È prodotto con 90% di Sangiovere e  10%  di Colorino. Mentre altri hanno dovuto far transitare un prodotto preesistente da una categoria a questa,noi eravamo pronti con il nuovo vino. L’impatto è stato positivo. Abbiamo scelto un’etichetta semplice , essenziale, con il marchio in gomma lacca. Il primo anno abbiamo fatto 5.200 bottiglie, 400 magnum e 100 doppie magnum. La politica di prezzo dettata dalla qualità lo colloca in una fascia alta (32 euro franco cantina).È un vino che descrive il territorio, ha grande piacevolezza, una lunghezza incredibile, non è potentissimo ma è ciò che volevo. Non ti sorprende quando arriva al palato, ma per come vi rimane dopo che lo hai buttato giù. Gentile, armonico ed elegante, quello che volevo. Mentre con Riserva di Fizzano, anche noi abbiamo fatto un passaggio dalla categoria Riserva alla Gran Selezione. Al Vinitaly in anteprima ci sarà la Gran Selezione Sergio Zingarelli 2011”.

Il futuro di Rocca delle Macìe dunque? Quali gli aspetti cruciali?
“Secondo me oggi la difficoltà delle aziende risiede nel riuscire a  trovare la giusta dimensione con ciò che si vuole fare ed essere. Penso che noi abbiamo trovato la strada corretta. Dobbiamo confermare e consolidare il lavoro degli ultimi anni fondato sulla qualità e su un segmento di mercato sempre più alto, e per far questo ritengo fondamentale il giusto mix tra management e apporto familiare. Spero che i miei figli si innamorino come ci siamo innamorati noi di questo mondo. E già lo dimostrano. Giulia si occupa della parte ricettiva e della comunicazione. Andrea sta cominciando a seguirmi sull’attività commerciale. Dall’equilibrio tra ragione commerciale e passione familiare penso che si arrivi al piacere di trasmettere su ogni bottiglia venduta  il calore di una famiglia e l’energia che si impiega per produrre. Dal vino meno caro a quello più caro, quando al ristorante si stappa una mia bottiglia, a me fa piacere, ma il piacere è doppio se al primo sorso emerge un sorriso. Non siamo stampatori di bulloni, ma creatori di qualcosa che rende più piacevole la vita. Questa è sempre stata l’impostazione di mio padre e Rocca delle Macìe, criticata o non criticata, amata o non amata, continuerà ad averla, immutata”.

Francesca Landolina