Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Diario goloso

Chi l’ha detto che in Inghilterra si mangia male?

04 Agosto 2011
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In auto per due settimane in una piccola ma significativa parte dell’Inghilterra sud-occidentale: nella zona di Devon, Cotswolds, Oxford. Alla scoperta del buon cibo e di ottime birre

di Giovanni Paternò

La nostra vita giornaliera è piena di luoghi comuni: “non esistono più le stagioni”, “gli italiani mangiano pasta e suonano il mandolino”, “i siciliani sono tutti mafiosi”; frasi che quasi sempre non hanno un fondo di verità, ma che impregnano il comune pensiero.

Parecchi “luoghi comuni” riguardano gli inglesi.
Tante volte abbiamo sentito o detto: “gli inglesi hanno la puzza sotto il naso”, “gli inglesi sono sporchi” e specialmente “in Inghilterra si mangia male”.
Dopo quattro giorni trascorsi a Londra, con coraggio e un pizzico di avventura abbiamo noleggiato una macchina e, avventurandoci per la prima volta nella impegnativa esperienza della guida a sinistra, abbiamo girato per oltre due settimane in una piccola ma significativa parte dell’Inghilterra: Devon, Cornovaglia, Cotswolds, Oxford.
Questa regione sud-occidentale è tra le più belle ed interessanti, comprendendo: le dolci colline del Dartmoor National Park, le selvagge coste e gli incastonati villaggi della Cornovaglia, le splendide cattedrali gotiche, gli austeri Colleges di Oxford (dove, frotte di turisti a parte, ti sembra che da un momento all’altro debba spuntare Harry Potter), i fantastici paesini delle Cotswolds, in cui le case sembrano riportarci al tempo del medioevo e il culto dei fiori, degli arbusti e dei rampicanti ti inebria in ogni angolo.


 Una casa delle Cotswolds

 Abbiamo potuto così verificare che niente è più falso dei suddetti pregiudizi sul popolo di Albione.
Sempre abbiamo incontrato gente sorridente, pronta ad aiutarci, gentile, che si sforzava di comprendere il nostro raffazzonato inglese, che spesso attaccava bottone per prima, magari chiedendoti se avessi bisogno di aiuto e poi di dove venissi e dove andassi.
Ovunque la pulizia era estrema: nelle strade, nei locali pubblici (specie nei relativi WC!), negli alberghi e B&B, nei ristoranti.
Così arriviamo a quanto più interessa i quattro lettori che abbiano avuto la pazienza di leggerci fin qui: è vero che in Inghilterra si mangi male e comunque in maniera monotona, con pochi piatti cucinati con grassi e burro in quantità?
Ebbene, se le bellezze dei luoghi, dei palazzi, delle cattedrali ci avevano affascinato (d’altra parte se eravamo andati in Inghilterra qualcosa di bello doveva pur esserci), se la cortesia della gente ci aveva meravigliato, ciò che più si è rilevata come la più gradita ed inimmaginabile sorpresa è stato lo scoprire che in Inghilterra si mangia bene, molto bene.
Uno dei quattro lettori obietterà che siamo stati fortunati; ma la fortuna può favorirti in qualche sporadica occasione, non sempre come è stato nel nostro caso. Il secondo affermerà che abbiamo effettuato una lunga ed accurata ricerca su tante guide gastronomiche e quindi siamo andati sul sicuro. Dobbiamo deluderlo perchè la ricerca chiaramente c’è stata, ma abbastanza breve e semplice. Ci siamo basati sulla lettura, selettiva e critica, delle recensioni che si trovano nel più importante e diffuso sito web di giudizi nel settore turistico, cioè su tripadvisor.it. Lì, abbiamo scartato i locali troppo economici, le caffetterie e le hamburgherie, dove magari si mangia anche bene, ma che non avrebbero soddisfatto le esigenze di due amanti del buon cibo, presentato bene, servito con una certa attenzione e in un locale dove poteva rivelarsi piacevole passare una serata.
Altra fonte delle nostre informazioni è stata la normalissima guida Inghilterra di Lonely Planet. Questa casa editrice, specializzata per i viaggi “fai da te”, fino a poco tempo fa era indicata per chi volesse viaggiare nel segno del risparmio. Nelle ultime edizioni si è evoluta e suggerisce anche alberghi e ristoranti per un turista che intende spendere il giusto per un servizio di classe.
Il terzo lettore, sorridendo, ci contesterà che abbiamo scelto ristoranti costosi e premiati, per cui è facile cascar bene. Rimarrà meravigliato perché i locali scelti hanno presentato un conto praticamente allineato a quello che avremmo pagato in un nostro ristorante o in una buona trattoria.
Il conto in venti pasti, per due persone, è stato compreso dai 35 agli 83 € includendo sempre due pinte di ottima birra o una bottiglia di vino spagnolo.


Le pompe per la birra Ale

Andando a Londra il goloso non può esimersi dal compiere ogni sforzo e qualsiasi tentativo per riuscire a sedersi ad un tavolo del Gordon Ramsey Restaurant, l’unico tristellato Michelin britannico della capitale (ce ne sarebbe un altro, ma è di un francese, un certo Alain Ducasse) di quel grande cuoco e grandissimo imprenditore e comunicatore gastronomico che è l’omonimo proprietario e di cui parleremo diffusamente nella prossima puntata del Diario. Quella meravigliosa serata è costata 396 € sempre per due persone, compreso la mancia obbligatoria e gli ottimi vini al bicchiere abbinato ad ogni portata solo per lo scrivente, visto che la gentile consorte è praticamente astemia. Secondo noi un prezzo non eccessivo e assolutamente adeguato all’indimenticabile esperienza.
Il quarto lettore a questo punto ci chiederà cosa ha di speciale la cucina inglese.
Di speciale niente, ma considerato che nel passato la loro cucina non brillava per fantasia, per diversificazione, che faceva largo uso di non salutari grassi animali, gli chef inglesi hanno stravolto il tutto e comunque partendo dalle loro materie prime, spesso addirittura vantando il km zero, hanno preso ispirazione dalla cucina mediterranea, cominciando ad usare moltissimo gli ortaggi, le insalate, gli aromi delle piante officinali e specialmente si stanno convertendo all’olio di oliva. Con gradita sorpresa abbiamo scoperto che molti loro piatti erano cucinati con l’olio, che spesso sul tavolo faceva bella mostra una bottiglia di extravergine, quasi sempre italiano, con nostro compiacimento. Molte volte, quando ci servivano il cestino del pane lo accompagnavano non più con la terrina del loro ottimo burro, ma con una ciotolina di profumato olio e aceto balsamico, per cui, affamati, esaurivamo immediatamente il pane, spesso caldo, facendo zuppetta.
A proposito, ci rivolgiamo ai produttori di extravergine: dedicatevi al mercato inglese, che apprezza il nostro olio ed è in grande espansione.
Nel menu sono costantemente presenti piatti di carne, dalle bistecche al pollo, dalle sgaloppine all’agnello, portate di pesce sia di mare sia di fiume, piatti vegetariani (nella foto a destra) o addirittura vegani. Per fortuna di noi italiani mai abbiamo trovato quella orribile pasta scotta a contorno del piatto principale, cosa purtroppo diffusa nelle cucine di tanti altri paesi. Invece spesso, se non quasi sempre, era proposto un piatto di pasta con condimenti all’apparenza invitanti; qualche volta abbiamo notato la presenza di risotti. I dessert sono in genere abbastanza leggeri, con la quasi assenza di grasse creme di burro e la presenza di ottimi sorbetti per lasciare la bocca pulita.
La moderna cucina inglese sa equilibrare bene i sapori e fa grande uso di aromi; le cotture sono a punto, mai trovato un piatto eccessivamente o inadeguatamente cotto; le consistenze piacevoli e gli accoppiamenti degli ingredienti curati ed equilibrati.
E’ praticamente finita l’epoca del Yorkshire pudding (nella foto a sinistra), una specie di immangiabile soufflè che sa di uovo, dei soliti stufati di carne trita o delle zuppe di legumi, vegetali e grassi, buone solo per riempirsi la pancia ed andare a lavorare, magari in miniera; difficile trovare quello che forse è l’unico piatto che hanno diffuso nel mondo: il roast beef.
 L’unico piatto sempre ed ovunque uguale è quello della colazione all’inglese (nella foto): due uova e bacon fritti, salsiccia, fagioli stufati, funghi in padella, pomodoro grigliato.
Sempre grande cura nelle presentazioni ma senza cadere nell’esagerato, in genere ottime stoviglie e ambienti curati, anche quelli semplici, particolare attenzione nei dettagli. Gentilezza nel servizio che, in alcuni ristoranti che non avevano particolari pretese, era curato da pochi camerieri che comunque riuscivano a svolgere il loro compito con assoluta sufficienza.
La carta dei vini è abbastanza curata e in sintonia con la classe del locale. La Gran Bretagna praticamente non produce vino accettabile per cui le bottiglie proposte sono in maggioranza francesi, poi spagnole, italiane ed anche extraeuropee. In compenso ha ottime birre, specie le ale, quelle birre con poco gas che, se non in bottiglia, sono spillate con una pompa a mano e non con la semplice pressione dell’effervescenza. Anche qui si sono evoluti: in passato le ale erano servite a temperatura ambiente, che per tutti gli altri popoli non era proprio il massimo. Ora invece sono proposte refrigerate, alla giusta temperatura, evitando quell’eccesso di freddo che impedisce l’apprezzamento dei profumi. Con grande meraviglia abbiamo constatato che in molti pubs e ristoranti servivano la birra Peroni accanto a qualche olandese o tedesca; altro segnale dell’apertura mentale e del superamento dello sciovinismo che nel passato aveva pervaso la cultura anglosassone.
In una nazione multietnica quale il Regno Unito non possono mancare i ristoranti di altre nazioni. Diffusissimi quelli indiani, seguiti dagli italiani, mentre i francesi, pur non essendo molto presenti, hanno una certa influenza sulla moderna cucina inglese. Amando la cucina indiana, abbiamo provato due ristoranti e siamo rimasti impressionati dal sapiente uso delle spezie, dai piatti dai gusti forti e nello stesso tempo equilibrati, tanto da giudicarli addirittura superiori a quelli che avevamo provato nei nostri viaggi in India.
Se i quattro lettori avranno la pazienza di continuare a leggerci, nelle prossime puntate parleremo nel dettaglio dei ristoranti che più ci hanno colpito e dove potrebbero recarsi per condividere o confutare i nostri giudizi e per visitare le bellezze naturali e architettoniche di questo paese che tanto ci ha favorevolmente impressionato.

… to be continued.