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Cosa leggo

Le due leggi dei porcini

16 Gennaio 2010
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COSA LEGGO

I consigli di Carmelo Chiaramonte per rispettare i funghi in cucina tra ironia e saggezza

Le due leggi dei porcini

Per gentile concessione dell’editore edizioni Estemporanee pubblichiamo uno dei capitoli del libro “L’estetica del fungo -Tra filosofia e gusto” di Tony Saccucci e Carmelo Chiaramonte dedicato alla cottura in cucina con i consigli dello chef modicano. 

Ora, per avvicinarmi al fornello dovrò elencare due leggi che io seguo in modo naturale per rispettare il profumo di questi fiori muti e muffosi. Per prima cosa denuncio pubblicamente come e chi può rovinarli.

Come si rovinano i funghi e chi può farlo
Lasciandoli in frigorifero tre giorni. Chi non ha tempo o fa sempre l’amore.
Lavandoli con l’acqua. Gli amanti dell’igiene e del sapone.
Cuocendoli col pomodoro. Quelli che il pomodoro lo metterebbero anche nel caffè.
Sbollentandoli prima di cuocerli in qualsiasi modo. I principianti.
Lasciandoli a bagno con acqua e sale per disinfettarli. Chi non riesce a vivere senza amuchina.
Accostandoli come ingrediente, in quelle ricette in cui si usano formaggi plasticosi e salumi seriali di grande, immensa fabbrica. Il contemporaneo frettoloso.
Buttandoli sul soffitto della cucina per farli insaporire anche del pavimento in cui ha camminato il tuo ultimo amore. Il cuoco futurista.
Scottandoli in padella con aglio e tre monete d’argento. Il nostalgico gattopardiano ed il cuoco superstizioso.
Prendendo i funghi in mano per fare venti minuti di footing intorno alla propria dimora. Gli ossessionati che vanno a tutti i corsi… di cucina.

Come rispettare il porcino
La mia legge, o meglio quella che mi ha dettato il mio naso (e per questo arbitraria, anarchica, ma religiosamente pagana) mi fa vedere il fungo nella sua potenza aromatica. Se potessi non lo taglierei neanche.
Comunque, per prima cosa bisogna andare sulla parte più laboriosa e antipatica della fase pulizia porcino. Da come è sporco un porcino si capisce il grado di attenzione di chi ha raccolto e portato al cuoco il cesto. Il pennello a setola rigida cancella i granelli di terra. Un panno di carta umida o un po’ di stoffa tolgono le sfumature sfocate di fanghiglia. Il coltello ad uncino s’insinua qua e là per i sassolini che si nascondono dovunque. È bene mozzare la radice per conservarli al fresco. Ognuno scelga se conservare anche quelli che hanno un po’ di abitanti. Io se li cucino per me non mi faccio problemi. Se invece i porcini abitati sono destinati a bocche sconosciute li scarto.
Comunque vada, la verità del cuoco che distingue è quella per cui in un porcino ce ne sono due e cioè il gambo e la cappella. Il primo è un ciclista gregario. Una colonna che regge la corona. Spesso il cuoco distratto li accomuna e li cuoce insieme. A parer mio il gambo si può sempre sottoporre al calore, mentre la corona del fungo va rispettata per quello che vale e tenuta cruda.
Un risotto può essere allietato dai gambi trifolati ma la cappella deve avere il piacere di coronare il piatto grattugiandola sopra a crudo. Altro dettaglio aromatico, di grande importanza, è quello di dare il giusto distinguo alle diverse note di profumo del porcino. Quello che sboccia sotto il castagno è sempre diverso da quello nato sotto la quercia.

 

Agata Polizzi