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Robert Camuto: “Altrove al Sud ho visto l’intreccio indissolubile tra vino e cibo”

15 Giugno 2022

di Titti Casiello

“Altrove a sud. Il Vino, il cibo, l’anima dell’Italia” – edito da Edizioni Ampelos – è l’ultima fatica letteraria di Robert Camuto, scrittore e giornalista americano che da oltre 20 anni ha fatto dell’Europa la sua terra d’elezione.

Diventato già un successo negli Stati Uniti, “Altrove al sud” nasce da un’estate d’amore a Vico Equense, di quando a dieci anni il piccolo Camuto, scopre quella piccola cittadina arroccata con affaccio privilegiato sul Mediterraneo, lì a sud di Napoli, per conoscere i luoghi della sua infanzia, terra dei suoi nonni. E sono proprio quei ricordi indelebili, mai sbiaditi nella memoria e che profumavano di file di bucato stesi, di torte fatte in casa al limone, di miscela di caffè, che hanno portato, cinquant’anni dopo, il corrispondente in Italia per Wine Spectator, nuovamente sulle tracce della sua famiglia in un crescendo di tradizioni e accenni pacati di modernità cui si è concessa lentamente la cittadina di Vico. E’ da qui che Camuto inizia il suo viaggio: in un percorso autobiografico che dalla Campania, risale nella Roma antica, attraversa le terre abruzzesi per poi rotolare e perdersi nel sud italiano, raccontando, con tutto lo stupore di un fanciullino, di quell’intreccio indissolubile tra storie di cibo e di vino italiano. Perché “i meridionali non bevono il vino per il gusto di farlo, ma per accompagnarlo al cibo e per convivialità”.

“Se mangi le acciughe senza vino il gusto copre tutto il resto” ed è così, infatti, che nel suo viaggio in Calabria, il Cirò bianco di Giuseppe Ippolito vale a confermare la regola di questo connubio o, se si vuole, anche a confermare le sproporzioni nelle quantità alle quali il meridione è abituato, se dinanzi a un calice di Gaglioppo e a una buona porzione di calamari ripieni e alici fritte il padre di Cataldo Calabretta ebbe, comunque, da sottolineare che Robert “non mangiava niente”. Ma gli occhi dello scrittore guardano anche alle contraddizioni di un territorio devastato dalla corruzione e dalla mala gestione pubblica, per passare poi alla verde Irpinia, quasi fosse un piccolo angolo di paradiso, concesso a, quelli che lui stesso definisce come, i tre moschettieri: Giovanni Ascione, Sabino Loffredo e Luigi Tecce. Sono loro che portano Camuto alla scoperta di quell’altrove campano, fatto non solo di Fiano, Greco e Aglianico, ma anche di Casavecchia, di Pallagrello, di autoctoni sconosciuti e dimenticati, ma soprattutto di tradizioni antiche e custodite. E così le pagine paiono prendere sostanza e profumare degli odori rilasciati da una mozzarella ancora calda mangiata al volo in macchina con Ascione mentre si dirigeva nella sua cantina lì a Vitulazio. E nella minuscola Montefredane, dove il Fiano di Sabino Loffredo di Pietracupa, riesce addirittura a diventare un mero sfondo dinanzi all’entusiasmo divagante generato dai peperoni cucinati da “Zia Pasqualina” nella sua osteria. Perché la Campania è questo, si nutre di semplicità, come gli ricorda la filosofia profusagli da Luigi Tecce dinanzi a quell’aglianico bevuto in sua compagnia e sostenuto da carne arrosto e funghi alla brace mentre si parlava di architettura e geologia.

“Ho compreso due delle più grandi ricchezze del Sud Italia. Una è sicuramente la sua magnificenza: la natura rigogliosa arricchita dagli strati culturali accumulatisi in migliaia di anni. L’altra è il suo ritmo elegante, lungo e lento come un pomeriggio d’estate”. Come quelli assolati vissuti sull’Etna, dove in un viaggio di sola andata sulla Muntagna le sue parole diventano teletrasportanti, perché l’Etna è così: “Attrae le persone a sé, indipendentemente dalle loro radici”. Pagine che rimandano ai luoghi del convivio, come quello di Sandro di Bella e del suo “Cave Ox” a Solicchiata o de “Il buongustaio dell’Etna” di Pippo Calà a Randazzo, lì dove i viticoltori forestieri, da Frank Cornellisen a Marco De Grazia, passando per Andrea Franchetti, hanno dato via al grande fenomeno dei vini dell’Etna. E in una narrazione, che diventa sempre più un crescendo, il racconto diventa zeppo di particolari, quando a prendere forma sono, poi, i lineamenti dei viticoltori “autoctoni” e pare, così, assumere le fattezze di un personaggio del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, Alberto Aiello Graci in un’immagine della persona che si sovrappone a quell’ indimenticabile calice di Arcuria Sopra il pozzo 2015 bevuto al ristorante “Terra mia” di Solicchiata tra un’insalata di finocchi e arance e un maiale arrosto con i carciofi. Storie, queste, come gli incontri con Giuseppe Russo e Ciro Biondi, che arrivano al lettore con una viva sensazione di sentire alle proprie spalle la catena montuosa dei Nebrodi mentre il fiume Alcantara scorre in sottofondo, per arrivare poi alla “resistenza viticola” con quel catanese “orgoglioso che rispettava solo le leggi superiori della tradizione isolana”: Salvo Foti.

Le pagine di “Altrove al sud” sono, tutte, avvincenti, per un lettore che è “costretto” a chiudere gli occhi e a viaggiare con Camuto tra i vulcani del Vulture o nel Sagrantino umbro tra i dialoghi con Gianmpaolo Tabarrini o tra i tavoli rustici in compagnia di Francesco Valentini e Emidio Pepe, perché la vita, al sud, “scorre ricca” e “il vero centro della vita si svolge” [..]sotto forma di caffè, di gelato [..] o di un bicchiere di vino”. Ma ora “mi stanno richiamando, per tornare al tavolo”, e come in un cerchio perfetto da Vico Equense si ritorna nuovamente a Vico Equense, tra i vini della Costiera Amalfitana di Marisa Cuomo, da Gennarino Esposito e al suo ristorante Torre del Saracino, e poi da suo cugino Vittorio a mangiare un piatto di spaghetti alle vongole che “sarebbe senza dubbio il mio proverbiale ultimo pasto, ma sarei molto più felice se fosse il prossimo”.

Altrove al Sud
Robert V. Camuto
Prefazione di Luigi Moio
Edizioni Ampelos
Prezzo: 23 euro