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Le grandi trattorie italiane/2. La Brinca a Ne e il pesto a regola d’arte

13 Giugno 2022
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di Alessandra Meldolesi

C’è qualcosa di magico nelle trattorie sincere.

Se i grandi ristoranti, gli stellati, i fine dining, sono luoghi dove l’autore decanta la sua poesia o la sua prosa, a seconda degli stili, in questi esercizi popolari, fortunosamente scampati al falso progresso pasoliniano, la narrazione scorre diversamente: è qualcosa di collettivo e impersonale, come il grande repertorio delle favole o delle canzoni epiche, che il trattore di volta in volta si incarica di interpretare. Perché in fondo, a chi è dato sapere quale massaia e in che circostanza abbia inventato il pesto alla genovese oppure la cima? Sergio Circella, quando lo si incontra, è esattamente questo: una voce fuori del tempo, ma ben radicata nei suoi luoghi: il villaggio di Ne, che sembra compendiare fin dal nome il carattere parco più che avaro di una terra che ha messo in versi il Novecento italiano. Ed è bello fermarsi ad ascoltare i racconti delle sue genti, che il turismo ha fissato in un’autenticità a tratti scontrosa, ma sempre appassionata, come i sapori dei suoi vini. È una fortuna, probabilmente, poter raccontare nei piatti una terra come questa, per la ricchezza di giacimenti narrativi e umani, non meno che gastronomici. Qui nel 1987 Sergio, con i fratelli Roberto e Andrea, ha aperto la sua “caneva con fundego de vin”, dall’etimo longobardo di un posto segreto, dove preservare dalle ruberie alimenti rifugio. Il luogo era una bottega con frantoio e mulino ereditata da nonno Tugnin e nonna Virginin, risalente agli anni ’30 e passata per i loro cinque figli. Dove la dedica era alla vecchia proprietaria della casa colonica ottocentesca, Teresina dei Brinche; l’idea quella di proporre le ricette di mamma Franca, utilizzando materie prime interamente locali.

“Allora mi sono confrontato con personaggi come Giovanni Rebora, ho consultato gli anziani, molti dei quali purtroppo sono scomparsi, senza smettere di studiare i pochi testi che abbiamo, perché quasi solo la cucina genovese ha lasciato tracce di sé – racconta oggi Sergio – Così ho scoperto il perché del sancrau, i nostri crauti mediterraneizzati con erbe aromatiche e acciughe, nati dal transito delle truppe austriache nella valle. Oppure il nostro prebugiun, che non è una misticanza di erbe spontanee variabili da zona a zona, come in tutta la Liguria, ma una mescolanza a caldo di patate e cavolo nero, altrove farina di mais e fagioli. Le patate quarantine sono protagoniste anche della baciocca, torta anticamente cotta nella campana circondata dalla brace, sul pavimento in pietra. Abbiamo contribuito a salvarle, perché gli artigiani li aiuti comprando il prodotto, anche quando non ne hai bisogno e devi creare ricette ad hoc”.

Ed è un’anima che ancora batte nel cuore della Brinca, chiocciola con bottiglia e formaggio dal 1998, tre gamberi dal 2004, primo anno di assegnazione della guida: non solo osteria, ma anche orto, bottega del proprio laboratorio di produzione ed enoteca, grazie a una cantina straordinaria, dove riposa la memoria di una tradizione enologica eroica, a torto considerata minore, quella dei Testalonga, dei De Battè e degli Sciacchetrà familiari nelle botticelle museali. Mentre un autentico reliquiario custodisce le bottiglie di Don Raffaele Ferretti, parroco del paese per 30 anni, amico di famiglia e cultore di rossi piemontesi, che affondano nel tempo fino ai primi anni ‘60. A occuparsi delle materie prime è sempre Sergio, che scova come un segugio formaggi rari della Val d’Aveto e della Valle Sturla, batte il mercatino di Conscenti, laddove l’orto non arriva, saccheggia i sacchi in juta ricolmi di grani antichi e legumi dimenticati. Racconti da cui nascono altri racconti, come nelle Mille e una notte. Ma la tradizione, come sanno i poeti, va anche conquistata, non solo ereditata. La nuova generazione dei Circella, quella di Simone e Matteo, rispettivamente cuoco e sommelier, ha innestato sulla sapienza antica uno sguardo nuovo, con una diversa attenzione verso la leggerezza e le tecniche contemporanee, affiancate a quelle ancestrali. Premiato dalla Michelin quale migliore sommelier d’Italia nel 2021, Matteo sta anche producendo il suo vino naturale a Riomaggiore.

In carta è un trionfo di lattughine ripiene di cervella, che danzano scioglievoli in bocca nella foglia verde, evanescente come una tunica di Isadora Duncan, paste fresche condite col tocco o la salsa di nocciole di Chiavari, cime cotte nel forno a legna, biancomangiare e Sacripantina. Fino ad antichissime ricette riscoperte, che entrano a far parte delle chansons de geste. Per esempio la torta lavagnexe risalente alla trecentesca corte dei Fieschi, signori del Levante ligure, attinta dal Libro per cuoco di Anonimo Veneziano: un pasticcio di pollastro, rigaglie, formaggio, zafferano, progenitore delle tipiche torte liguri, dalla pasqualina in avanti. Il pesto, poi, è un piccolo capolavoro di sapienza. “Noi siamo molto intransigenti: lo prepariamo al mortaio, rigorosamente in marmo bianco di Carrara. E la differenza è abissale – spiega Sergio – Battendo la fogliolina fresca velocemente, consente di estrarre gli oli essenziali senza che il calore pregiudichi i profumi. Per questo è fondamentale usare un basilico genovese dalla fogliolina minuta, preso direttamente dalla pianta e non cimato. La sequenza, poi, è ben precisa: partiamo dal sale grosso e dall’aglio ligure di Vessalico, che è elegante e poco piccante. Ed è l’origine del pesto: il pestun, che fin dal Medioevo veniva preparato sulle galee genovesi per combattere lo scorbuto. Solo nell’Ottocento si sono aggiunti il basilico, che messo subito si guasterebbe, e i formaggi. Ma è impossibile fornire dosi precise, perché gli ingredienti cambiano secondo la stagione. L’aglio, per esempio, da giovane ha note fruttate, poi via via che si secca diventa piccante. Quindi bisogna assaggiare di continuo. E solo alla fine si versa l’olio, che altrimenti schizzerebbe ovunque, per fluidificare. Quindi il pesto è un crocevia di luoghi: oltre il Taro storicamente è stato tutto un viavai di formaggi, la Sardegna era un’antica colonia genovese, il sale è sempre stato commerciato a Genova, i pinoli venivano da Pisa, mentre basilico, aglio e olio erano locali”.

Con la pandemia poi si sono realizzati cambiamenti che i Circella avevano già in animo: la riduzione dei coperti, da un centinaio a 70, accomodati su tavoli rotondi e ben distanziati con una mise en place più curata, senza gruppi né cerimonie. Nessuno stravolgimento in ristorante chic, però, solo una maggiore attenzione. E sono cambiati i degustazione: oggi sono due, il Tradizionale e quello Grande ideato dai ragazzi di giorno in giorno, con possibilità di abbinamenti anche arditi e qualche portata di mare che fa capolino, dal brandacujun alle acciughe in scabeccio, ma solo quando escono i pescherecci del Tigullio, da maggio a settembre.

Cùndigiun Levantino

“È un piatto che di solito esce come fuori carta, perché dipende dall’orto. Allude a un insieme di verdure diverse, cotte e crude, fagiolini, patate, pomodori, una galletta che si impregna di vinaigrette, uovo sodo, acciughe, tonno. Nella sua semplicità estiva, ha una matrice importante nella cucina genovese, ma noi lo chiamiamo “levantino” per qualche piccolo dettaglio. L’abbinamento non è semplice, per la parte di aceto e per l’acciuga. Può starci bene un macerato in contrasto, per esempio di Daniele Parma”.

Ingredienti per 4 persone

  • Pomodori 3
  • Cipolla mezza
  • Uova 2
  • Acciughe Sotto Sale 8 filetti
  • Patata 1
  • Fagiolini 10
  • Radicchio verde 1 ciuffo
  • Olive Taggiasche
  • Capperi
  • Basilico 1 ciuffo
  • Aglio 2 spicchi
  • Origano
  • Sale
  • Olio Extravergine D’oliva Riviera Ligure DOP
  • Focaccia Genovese all’olio 2 fette
  • Acqua di pomodoro

Procedimento

Far bollire le uova in un pentolino per circa sette minuti. A parte lessare i fagiolini e le patate sbucciate e tagliate precedentemente a fette. Lavare e asciugare tutte le verdure. Affettare pomodori non troppo maturi, tagliare a striscioline il radicchio e la cipolla. Quindi condire i pomodori con un pestato di aglio, olio, origano, sale e infine cipolla. In una fondina adagiare il radicchio, quindi aggiungere i pomodori conditi, le foglie di basilico fresco spezzettate con le mani, le olive taggiasche, i capperi sciacquati in acqua, i filetti di acciughe lavati, le uova con i fagiolini e le patate lesse. Servire con l’acqua di pomodoro e la focaccia bruscata a parte.

Lattughe ripiene in brodo

“È il classico piatto genovese del Lunedì dell’Angelo, Pasquetta. Le carni e le verdure avanzate dal grande pranzo di Pasqua si tritavano tutte insieme e si avvolgevano in una foglia di lattuga, a rappresentare il voler fare un po’ di penitenza… A seconda delle zone della Liguria si usava mangiarle così in bianco oppure con l’aggiunta direttamente nella zuppiera di un pizzico di tocco alla genovese, il sugo di carne aromatico fatto con il pomodoro, che tingeva il brodo al momento del servizio. Così preparate, le lattughine possono valere come antipasto, primo piatto o come piatto di mezzo dopo le paste asciutte. Per l’abbinamento si può cercare un rossettino leggero, come un Grignolino”.

Ingredienti per 4 persone (5 lattughe a persona)

  • circa 20 foglie di lattuga
  • 150 g di carne di vitello magra
  • 50 g di cervella
  • una manciata di pinoli
  • 1 rosso d’uovo
  • 2 cucchiai di Parmigiano Reggiano
  • una cipolla
  • una carota
  • rosmarino
  • maggiorana
  • aglio
  • olio extravergine di oliva

Per il brodo

  • 200 g di gallina e di manzo

Procedimento

Sbollentare le foglie di lattuga a vapore o in acqua calda per pochi istanti, in modo da ammorbidirle e renderle adatte alla preparazione degli involtini. Stenderle su un telo. Mettere in un tegame con un filo d’olio la carne di vitello tagliata a pezzetti con i pinoli, la cipolla, la carota e il rosmarino. Rosolare il tutto per 10 minuti. Lasciare raffreddare e tritare finemente, aggiungendo la maggiorana, l’aglio e il rosso d’uovo che farà da legante. L’amalgama ottenuto deve essere ridotto in palline con un cucchiaio e disposto al centro delle foglie stese sul telo. Arrotolare così da formare delle noci. Disporre in un tegame e infornare per circa 15 minuti a 180 °C. A parte preparare il brodo con la gallina e il manzo. Le lattughe ripiene calde verranno messe nella zuppiera aggiungendo delicatamente il brodo caldo e poi servite direttamente. Al momento si potrà aggiungere del Parmigiano.

La Brinca Trattoria e Bottega
Via Campo di Ne, 58 – Ne (Genova)
T. 0185 337480
www.labrinca.it
labrinca@labrinca.it
Chiuso: lunedì. A pranzo aperto sabato, domenica e festivi
Ferie: variabili
Carte di credito: tutte accettate
Parcheggio: sì

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