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Dove mangio

Notti pisane

25 Maggio 2012
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di Massimiliano Montes 

“A Pisa non ci sono tanti posti per poter mangiare e bere a buoni livelli”.

Questa diceria riduttiva sulla città della torre è stata ampiamente smentita nel corso di una sola serata. Un tour di locali dove la regola è bere e mangiare bene, guidato da un amico pisano estimatore del buon vino, ha assolutamente ribaltato questa convinzione.
 


 Braque Bistrot

Aperitivo da Braque Bistrot con una buona bottiglia di Rosso di Montalcino Baricci 2010, salumi, e piccole preparazioni gastronomiche. Locale carino, con tavolini esterni, in via Mercanti 15, proprio al centro storico. Ha una buona carta dei vini e merita sicuramente più di un aperitivo, è anche possibile infatti cenare bevendo vino di buon livello. Il Baricci 2010 strappa un sorriso. Un Rosso d’altri tempi, dove frutto e florealità non si trasformano in facile piacioneria. Sostenuto dalla tipica, e non stemperata, acidità del sangiovese, con tannini meravigliosamente ruvidi.

Su Nello Baricci, uno dei fondatori del consorzio Brunello di Montalcino, fioriscono leggende ed aneddoti. Produce da sempre 13.000 bottiglie di Brunello e 18.000 bottiglie di Rosso e a chi gli chiede perché non abbia mai incrementato la produzione risponde che non ha spazio in cantina. Se cerchi di carpire i suoi segreti, ti racconta che il vino si fa da solo: “Io lo metto in botte e vado in vacanza, poi quando torno è fatto”. Se poi gli chiedi come controlla le temperature di fermentazione ti risponde che “apre le finestre”. Magari non sarà tutto vero, anche perché ha a contratto uno dei più gettonati enologi di Montalcino, Paolo Vagaggini, però fa intuire la personalità di Nello.


Osteria dei Cavalieri

Cena all’Osteria dei Cavalieri, in via San Frediano 16, dove abbiamo gustato un splendido menù interamente di cucina locale, e bevuto qualcosa che rimarrà scolpito nella nostra memoria. Apertura con un generoso assaggio di Santa Marta 2006 di Leonardo Salustri, un Sangiovese della Maremma, sia in senso reale che figurato. Dalle pendici del Monte Amiata un Montecucco Doc dritto ed avvolgente, con un stupefacente rapporto prezzo/qualità: 9,50 euro per una bottiglia che entra nel cuore. 

A seguire uno Schiena d’Asino 1999 di Mastrojanni, Brunello di Montalcino semplicemente commovente. Naso intenso ed elegante che inizialmente lascia trapelare aromi di lavanda ed amarena. Roteando il calice emergono anche sottili note di cappero, viola e ginestra. Il palato coinvolge, con tannini setosi e raffinati, ed un’acidità sottile ed elegante. La retrolfazione ci dona nuovamente gli aromi di lavanda e marasca. Dopo dodici anni il frutto è ancora tutto lì. Un’amarena matura ma lontana da quei sentori di confettura che caratterizzano i vini più evoluti: cerca la tua attenzione, rivaleggia con gli aromi terziari, conquista il centro dell’immagine gustativa. Un grande ricordo per un grande vino. 

A bottiglia finita ci chiediamo cosa poter bere dopo un vino del genere. La risposta ce la offre Ettore Masi, il patron del ristorante, che porta sorridendo un altro Brunello, una Riserva 1979 de Il Colle. L’azienda nasce nel 1972, fondata da Alberto Carli ed è oggi condotta dalle figlie, Caterina, che si occupa di vigne e vinificazione, e Luisa, addetta a marketing e pubbliche relazioni. I vini de Il Colle nascono con la consulenza di Giulio Gambelli, e sono vinificati in maniera del tutto naturale, con fermentazioni spontanee senza inoculo di lieviti selezionati.

Il 1979 è stata la seconda annata di Brunello prodotta dalla famiglia Carli. La prima cosa che stupisce di questa bottiglia è il perfetto stato di conservazione. Il profilo varietale del Sangiovese è intatto, senza alcun segno di ossidazione. Ben bilanciato tra frutto, ancora evidente e succoso, e terziari non eccessivamente evoluti. La serata si rivela una vera gioia per i nostri sensi.   
 
Dulcis in fundo, dopocena da Cecco Rivolta, Piazza delle Vettovaglie 4, “che se no Maurizio si offende”. E per fortuna che non si è offeso: con un sorriso disarmante, e l’occhietto furbo, tira fuori una bottiglia completamente ammuffita che fatico a riconoscere. Un Chianti Rufina Selvapiana Riserva 1967. Cavolo, penso, è più vecchia di me! Chissà come sarà… Ma questa bottiglia si è rivelata una lezione di vita, mai giudicare dalle apparenze. Miracolosamente stappata senza sbriciolare il sughero, riusciamo a versare un vino rosso brillante tendente al granato. Nessun segno visivo di ossidazione, un bel colore trasparente e vivo. Il naso è stupefacente per un vino di 45 anni, nessuna nota ossidativa, conservazione perfetta. Accostando il calice senza roteare emerge un chiaro sentore agrumato che ricorda il cedro, subito seguito da un’amarena quasi acerba. Alla roteazione una florealità di campo è seguita da sottili note di salamoia e di nuovo dall’amarena e dal lampone. Al primo sorso è l’acidità ciò che meraviglia maggiormente. Ci hanno insegnato che il tempo la neutralizza, e percepire un’acidità così evidente in un vino così vecchio lascia perplessi.  I tannini sono anch’essi giovanili: non c’è che dire, porta bene gli anni questo Chianti Rufina. La retrolfazione è calda ed avvolgente, e richiama il frutto e la florealità di campo. Inutile sottolineare che la persistenza è da manuale.

Questo era il Chianti. Un grande vino. Immenso nella sua profondità e complessità. Questo era il Chianti prima che la stoltezza di sedicenti esperti di mercato radesse al suolo uno dei migliori terroir d’Italia e mandasse al macero secoli di esperienza e tonnellate di grandi uve, immolate sull’altare di un presunto mercato. Non è vero che il mercato richiede vini edulcorati, deacidificati e non astringenti. Forse un mercato infantile abituato ai succhi di pera, ma bisogna ricordare che i bambini non comprano e non bevono vino. Il vino è per gli adulti.

La verità è che per chi produce vino con metodi seriali, da catena di montaggio, Cabernet Sauvignon e Merlot sono più facili da gestire, addomesticabili, e con margini di errore più bassi rispetto al ruvido e scontroso Sangiovese. L’interesse dei produttori industriali, e non il mercato, ha rovinato il Chianti. Questa bottiglia di Selvapiana deve essere un chiaro monito per altri territori, come quello di Montalcino, dove la miopia di pochi investitori economici rischia di deteriorare l’intero comprensorio.

Una considerazione finale sui vini bevuti: nessuno aveva sentori legnosi di caramello e vaniglia. Dai più giovani al Selvapiana di mezza età, tutti sono stati affinati in acciaio o botti grandi. No barrique.  
 
Braqué Bistrot
via Mercanti, 15
56127 – Pisa (PI)
cell. 338.5098417
 
Osteria dei Cavalieri
via San Frediano, 16 – Pisa
tel. 050 580858
info@osteriacavalieri.pisa.it
http://www.osteriacavalieri.pisa.it/
 
Cecco Rivolta
Piazza delle Vettovaglie, 4
56127 – Pisa
cell. 3473253540
http://www.ceccorivolta.it/