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Il caso

Ormai non c’è pane senza grani antichi. Ma in Sicilia se ne produce il 2 per cento

11 Giugno 2018
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(ph Vincenzo Ganci)

Fateci caso. Ormai non c'è panificio in una grande città siciliana o in un piccolo centro che non esponga cartelli con la scritta “Qui pane con farine di grani antichi”. 

Lo stesso dicasi per molte pizzerie dove il grano antico è un must ormai quasi irrinunciabile quasi quanto la lievitazione naturale o il lievito madre. Oppure prendete il caso dei tanti pastifici artigianali che stanno affiorando in una Sicilia che sulla pasta di grano duro ha un primato storico inconfutabile e da rilanciare. Tutto da grani antichi. Peccato poi scoprire citando i dati dell'efficiente associazione Simenza che sui 290 mila ettari destinati in Sicilia ad oggi alla coltivazione di grano, solo seimila sono gli ettari coltivati con le varietà cosiddette antiche come Russello, Tumminia, Perciasacchi, Bidi, Nero delle Madonie e così via. Un pugno di spighe. 

L'elenco dei grani antichi comprende in Sicilia venti varietà registrate. Abbiamo cominciato a prendere confidenza con nomi a molti di noi sconosciuti (ma non lo erano per i nostri nonni). Ed è indubbio che questi grani hanno una marcia in più sotto alcuni aspetti. Non tutti si prestano per la pizza, non tutti per il pane. Ma hanno altri vantaggi. Sono un perfetto incrocio che affonda le radici nei secoli tra il saper fare dell'uomo e l'ambiente. Hanno un glutine debole. Una grande digeribilità. Magari resistono meglio al caldo. E soprattutto hanno rese produttive più basse. E quindi anche un prezzo di mercato più alto. In media si parla di 50 centesimi al chilo contro i 20 delle varietà moderne. Ecco dunque il motivo del tanto declamare. E visto che parliamo del due per cento della farina prodotta in Sicilia ci viene il dubbio che anche sui grani antichi possa ripetersi l'effetto Pistacchio di Bronte. Ovvero quel periodo (ne abbiamo parlato anche qui) in cui tutto ciò che somigliava a un pistacchio – venduto come frutta secca o proposto in piatti o dolci – doveva innegabilmente provenire dal paese etneo riconosciuto per la sua eccelsa qualità. Occhio, dunque. I consumatori evoluti non hanno molti strumenti per difendersi. Ma chiedere ogni tanto al fornaio di turno chi è il fornitore di farine può essere utile. Domandare qualcosa su come viene prodotta la farina può aiutare. Essere curiosi su cosa utilizza il nostro pizzaiolo di fiducia può alimentare la nostra piacevolezza. Domandate, cari lettori, chiedete. E siate consumatori esigenti e consapevoli. Per evitare che di antico ci sia solo il vizio della truffa ai danni nostri.

F.C.