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Il caso

La “guerra” del Grillo a Marsala: “Attenti a snaturare il lavoro degli artigiani del vino”

10 Luglio 2017
Fabio_Ferracane_in_vigna Fabio_Ferracane_in_vigna


(Fabio Ferracane)

Era ovvio che le parole di Nino Barraco, raccolte in una nostra intervista (leggi qui), avrebbero avuto una eco formidabile. Barraco “ha dato il la” perché i produttori marsalesi prendessero coscienza (ancora di più) di quello che sta per succedere. 

Con l'obbligo di dichiarare in etichetta “Grillo” e “Nero d'Avola” solo se si tratta di vini Doc Sicilia, questa parte della Sicilia occidentale, che lavora principalmente con questi due vitigni, rischia di “affossare” nei meandri dei “vini tutti uguali”. Il Grillo storicamente nasce da queste parti, tra le saline e i paesaggi mozzafiati al tramonto che potrebbero diventare patrimonio Unesco. Un vitigno, il Grillo, che si presta a una vinificazione ossidativa. E che sta catturando sempre di più le attenzioni dei mercati del mondo. Ma la Doc Sicilia ha un po' modificato i piani di alcuni produttori: perché la scritta “Grillo” (o Nero d'Avola) potrà essere dichiarata solo se Doc Sicilia. Quindi che rispetta un disciplinare. E, ad oggi, molti dei vini prodotti dai vignaioli marsalesi, non rientrebbero nella Doc Sicilia. “Dobbiamo dare merito a Nino di aver detto queste cose – dice Fabio Ferracane, dell'omonima cantina marsalese – Lui è sempre il primo a dar voce alle nostre problematiche. La Doc Sicilia snaturalizza il nostro modo di essere artigiani del vino di Marsala”. 

Il disciplinare, infatti, è la questione spinosa: “Il colore, l'acidità volatile, il carico di pectine, sono tutti parametri che i nostri vini non avrebbero – dice Fabio – E io in etichetta non potrei scrivere “Magico Grillo”. Ma per quale motivo? La mia clientela, parlo non solo di quella siciliana, ma soprattutto di quella che acquista i miei vini al Nord e all'estero, ormai è legata tradizionalmente a questa indicazione. Vuole sapere subito con gli occhi quello che sta bevendo”. Insomma ok la tutela dei grandi, dice Fabio, “ma si rispetti il fatto che sul territorio ci sono ancora piccoli produttori che fanno il vino in maniera artigianale, senza fretta, che sperimentano. I big del vino siciliano vanno rispettati, per carità, ma la Doc Sicilia si ricordi delle nostre esigenze e della nostra fetta di mercato che è sempre più richiesta”. Perché come diceva Barraco, infatti, le piccole produzioni artigianali stanno sempre di più conquistando le attenzioni degli eno-appassionati. E non solo. “Noi facciamo vini che sanno di territorio, profumano dei nostri vigneti – dice Fabio – utilizziamo lieviti indigeni e pochissimi solfiti. Sono le nostre caratteristiche e i nostri punti di forza che il disciplinare della Doc Sicilia vuole toglierci. Noi, però, amiamo questi vini fatti in casa. E non possiamo arrenderci a fare vini “tutti uguali””.

Anche Giuseppina De Bartoli la pensa come Nino e Fabio: “Si tratta delle solite Doc e leggi del vino che non tengono conto del concetto di territorio, di storicità, di qualità e verità di produzione e andamento delle annate – dice – Si vuole standardizzare tutto, come sempre. Il nostro Grappoli del Grillo, che produciamo da 1991, è stato più volte “bocciato” dalla Doc, pur proveniendo da bassissime rese, vendemmie manuali, selezione su selezione dei grappoli, utilizzo di soli lieviti indigeni e mille altre attenzioni. Più Grillo di così è difficile. Eppure… Chi ha stabilito i parametri di questa Doc? Su cosa si basa? A chi giova tutto ciò? Non certo alla qualità e alla garanzia per i consumatori, che rischiano di non poter leggere in etichetta con quale vitigno è stato prodotto un vino, se questo non passa i parametri di questa Doc. Per non parlare appunto che l'identità storica del Grillo per la produzione dei vini ossidativi e da invecchiamento verrà totalmente persa”.

“Credo che ci siano degli spiragli di discussione – dice Fabio – ma dobbiamo agire in fretta. E tutti insieme. Fare la Doc Sicilia con i miei vini? Io non la farò. E se resta il disciplinare? Penserò a qualcos'altro”. 

G.V.