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Il caso

“Non fu frode”: assolto l’ex presidente del consorzio del Barolo Orlando Pecchenino

29 Ottobre 2021

“Il fatto non sussiste”.

Questa la decisione della Corte di Appello di Torino dopo la condanna in primo grado a 4 mesi di reclusione per tentata frode che era tata decisa per Orlando Pecchenino. La vicenda risale a parecchi anni fa e la decisione dei giudici è del 2018 (lo raccontavamo in questo articolo>). Nel 2016 l’allora presidente del Consorzio di tutela Barolo, Barbaresco, Alba, Langhe e Dogliani venne raggiunto, insieme al fratello e quindi l’azienda, da una denuncia (che alla fine si è rivelata infondata) in cui si contestava la vinificazione fuori zona dei Barolo dell’azienda che si trova a Dogliani in provincia di Cuneo. Ci fu un sopralluogo da parte dei Nas e Icqrf che ha prodotto l’immediato sequestro di 12 annate di Barolo. Otto annate (2005–2006-2007-2008-2009-2010-2011-2012) in bottiglia stoccate nella cantina di Dogliani che rappresentavano la riserva storica e inoltre vi erano selezioni di particolare pregio, e tre annate stoccate nelle botti nella cantina di Monforte d’Alba 2013-2014-2015. Queste ultime vini in fase di invecchiamento, in attesa di certificazione atti a nebbiolo da Barolo con menzione Bussia e Le Coste di Monforte. “La situazione si è presentata subito nella sua drammaticità – racconta Pecchenino – Tutto il vino Barolo di nostra produzione era stato oggetto di sequestro penale”. Il primo obiettivo per i fratelli Pecchenino era quello di mandare avanti l’azienda. “Dopo aver consultato i miei legali (Luisa Pesce e Fabrizio Mignano, ndr) e richiesto pareri a consulenti, produttori delle diverse zone viticole italiane, abbiamo deciso di chiedere il dissequestro relativo alle annate stoccate nelle botti – prosegue Pecchenino – Per salvare il vino e il mio lavoro, ho dovuto mio malgrado ricorrere al patteggiamento al Tribunale di Asti, condizionatamente al dissequestro del prodotto. Non si poteva aspettare: il vino non poteva essere stoccato nelle botti, senza i dovuti controlli, per gli anni necessari ad attendere l’esito del processo. Avremmo perso tutta la produzione. Anche un’eventuale assoluzione diventava inutile di fronte alla perdita del vino stesso per il suo deterioramento. Abbiamo così ottenuto il rilascio del vino in parte a Barolo e in parte riclassificato a Langhe Nebbiolo”. E per le bottiglie: “La scelta è stata di non arrenderci e discutere la causa in tribunale, a Cuneo – dice Pecchenino – Volevamo e dovevamo arrivare in fondo e dimostrare che in questi anni abbiamo sempre lavorato con onestà e serietà. Questa soluzione è stata resa possibile dalla non deteriorabilità delle bottiglie (conservate in cantina a temperatura e umidità controllate) circostanza che ci avrebbe consentito di dimostrare la nostra estraneità ai fatti che ci venivano attribuiti”.

La vicenda di Pecchenino ha fatto immediatamente il giro dei media nazionali e internazionali. Questo anche per il ruolo istituzionale che ai tempi aveva lo stesso Pecchenino, essende presidente del consorzio del Barolo. “Sono stato eletto nel maggio 2016 con un largo consenso. Penso di aver svolto nel migliore dei modi il mio mandato. Ho svolto il mio incarico con grande passione e impegno senza percepire alcun compenso – die – A febbraio 2018, ho deciso di rassegnare le dimissioni da presidente perché non volevo coinvolgere il Consorzio nelle mie vicende personali. Ringrazio chi mi ha incoraggiato e sostenuto, invitandomi a non dimettermi e ad andare avanti. Ho ritenuto però opportuno salvaguardare l’istituzione Consorzio e dedicarmi alla vicenda per dimostrare la mia, la nostra innocenza, e alla mia azienda che rischiava di non poter andare avanti”. Ora il lieto fine, anche se Pecchenino conclude: “Questa vicenda ha prodotto alla mia azienda, un danno di immagine ed economico incalcolabile. Grandi difficolta fisiche e psicologiche per me, mia moglie, le mie figlie e tutta la famiglia – dice – Oggi finalmente è stata fatta giustizia: siamo stati assolti con formula piena. La soddisfazione di vedere riconosciute le nostre ragioni è enorme seppure siamo ben consapevoli che nessuno ci potrà mai ripagare dell’ingente danno procurato. Considerato che il tutto ha avuto origine dalla denuncia di un privato, mi rimane una grande amarezza. Mi chiedo cosa spinga le persone a danneggiare la vita di una famiglia. Il tempo, in questi casi, è un grande alleato e forse riuscirà, se non a far dimenticare, a stemperare questa brutta esperienza”.

C.d.G.